Verso nuovi modi di costruire

 Verso nuovi modi di costruire

Vintage wave Japanese vector border, remix of artwork by Katsushika Hokusai

Siamo alla puntata finale di questa rubrica e voglio iniziare questa mia ultima riflessione partendo da un’opera d’arte: la Grande Onda di Kanagawa. Si tratta di una delle “Trentasei vedute del monte Fuji” che Katsushika Hokusai realizzò nel 1830 ed è per me molto significativa perché rappresenta, metaforicamente, il contesto in cui io mi trovo ad operare: l’onda è la spinta che ci porta a fare qualcosa di diverso rispetto a come ci siamo mossi finora e l’incertezza il risultato che ne consegue.

Diciamoci la verità: le imprese di oggi non navigano in acque peggiori rispetto al passato. Se immaginiamo le difficoltà come qualcosa dalla natura imprecisa e contraddittoria, che genera dubbi e imprevedibilità, ci accorgiamo che questo è il campo in cui si sono sempre mosse. La verità è che, mentre fino a qualche decennio fa c’era più casino fuori, oggi l’incertezza ha porte aperte dentro le organizzazioni. Lo dico sempre: non si possono guardare solo gli obiettivi di breve termine, bisogna avere una visione. Innovare nella conservazione non è possibile: bisogna cambiare, affrontare di prua la grande onda e guidare l’equipaggio in questa impresa.

Non è indifferente sapere chi rema. Nelle barche di oggi ci sono persone diverse per provenienza, genere ed età. In base agli ultimi dati Istat riferiti al primo trimestre del 2024, in Italia lavorano 689mila persone di età compresa tra i 65 e i 74 anni e circa un milione e 16mila giovani tra i 20 e i 24 anni. A volte queste persone operano in ambiti diversi, ma in altre si incrociano. Magari lavorano entrambe per la stessa azienda, con uno che è vicino alla pensione e l’altro alla sua prima esperienza lavorativa. Vi siete mai chiesti cosa pensano l’uno dell’altro? E come si relazionano, a loro volta, alla Generazione X – che comprende i nati tra il 1965 e il 1980 – e ai Millennials?

La questione non è di quelle che si possono ignorare. Lo spirito di squadra è uno dei motori principali del successo di un’organizzazione e, soprattutto quando arriva l’onda di cui sopra, è importante muoversi tutti nella stessa direzione. Se però le persone non si rispettano o non riconoscono il valore dell’altro per via dei suoi anni (troppi o troppi pochi), si presenta un problema. Quanti imprenditori si lamentano dei giovani che non vogliono lavorare, senza fare distinzioni? Quante volte gli stagisti non vengono ascoltati perché ultimi arrivati? Quanto spessa si pensa alle figure più senior come dinosauri solo perché non sono a proprio agio con la tecnologia? Basta un pregiudizio a minare la considerazione che uno ha dell’altro.

Un gruppo con cui collaboriamo da tempo si è accorto di avere questo problema e ci ha chiamato per far sì che le varie generazioni di lavoratori al suo interno mettessero da parte le reciproche perplessità e imparassero a convivere in un ambiente di confronto e collaborazione. Lavorare su questo fronte ha permesso all’azienda anche di conoscere meglio i propri dipendenti: un aspetto che potrebbe aiutarla, un domani, a mettere in atto azioni coerenti rispetto alle aspettative dei propri dipendenti e coinvolgerle in modo migliore nel proprio progetto.

Un’indagine di valore presentata lo scorso marzo alla Camera dei deputati ha per esempio mostrato che un Millennial su tre considera la propria età come un ostacolo per ottenere una promozione, e che per i Gen Z il lavoro non è più centrale: per questo, considerano imprescindibile un buon work-life balance. Questo non significa, però, che sono svogliati. L’analisi condotta ha mostrato che tutti, a prescindere dall’età, vogliono migliorare e ampliare le proprie competenze, mentre una ricerca di McKinsey ha rivelato che la prospettiva di svolgere un lavoro significativo e sviluppare la propria carriera attrae tanto i giovani quanto i meno. Sono simili tra le varie fasce di età anche le motivazioni che spingono a lasciare un determinato ruolo ed è generale l’interesse alla flessibilità: le new entries la apprezzano perché permette loro di dedicarsi ad altro, mentre chi è più in là ne vuole usufruire soprattutto per conciliare gli impegni familiari.

Arriviamo quindi alle conclusioni. La costruzione della resilienza, l’engagement, la gestione dello stress, la comunicazione e le difficoltà dovute all’intergenerazionalità non sono urgenze e non rientreranno mai nei KPI. Eppure non c’è errore più grande per un’organizzazione che sottovalutare questi aspetti, che impattano ogni giorno sulla propria esistenza e dovrebbero essere affrontati in modo continuativo e prolungato. Se non ci accorgiamo che le persone che lavorano per noi sono esseri umani con diverse necessità e personalità, se non pensiamo che ci muoviamo in un ambiente con risorse limitate, se non investiamo nella formazione e se non guardiamo al domani, rimarremo una macchia e mai un grande quadro come l’onda. Impariamo a cavalcarla.

Immagine di rawpixel.com su Freepik

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