Vaccini anticovid e privacy
I vaccini anticovid, che si stanno proponendo e somministrando per ora ad alcune fasce della popolazione, stanno suscitando temi e dubbi collegati alla privacy. E ciò nelle ottiche contrapposte di chi, da un lato, desidererebbe sfruttare l’avvenuta vaccinazione per poter avere libero e sicuro accesso a determinati luoghi ed attività (ad esempio, agli stadi, agli aeroporti, ma le declinazioni sono numerose) e di chi, invece, dal lato opposto, teme di subire discriminazioni per l’avvenuta o meno vaccinazione: nella maggior parte dei casi sarà la scelta di non vaccinarsi o l’impossibilità di farlo (pensiamo a colori i quali, per pregressi problemi di salute o allergie, non potranno ricevere il vaccino).
La prima premessa, doverosa, è che non v’è alcuna norma che imponga la vaccinazione anticovid come un obbligo.
La seconda premessa, necessaria per comprendere il tema, è inerente al Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), ovvero il sistema elettronico consultabile on line, nel quale sono inseriti “dati e documenti digitali relativi all’intera storia clinica di una persona” generati sia da strutture sanitarie pubbliche che da quelle private, ivi compresi quelli inerenti all’avvenuta vaccinazione anticovid. È importante comprendere i presupposti di alimentazione e consultazione di tale fascicolo, che rappresenta, dunque, di per sé, un preziosissimo data base dei dati inerenti alla vaccinazione della popolazione italiana.
L’alimentazione del FSE è, ora, automatica e, dunque, l’annotazione dell’avvenuta vaccinazione anticovid avviene indipendentemente dal consenso del soggetto interessato.
Questa la situazione a seguito del decreto-legge n. 34/2020, il cui articolo 11 ha abrogato l’articolo 12, comma 3-bis, del decreto-legge 179/2012, ovvero la disposizione per cui il FSE poteva “essere alimentato esclusivamente sulla base del consenso libero e informato da parte dell’assistito”. Ne deriva che non può in alcun modo essere impedita l’annotazione nel FSE di un qualsiasi dato o documento relativo alla storia clinica della persona, né con una revoca del consenso che non viene più richiesto, né con richieste di opposizione al trattamento o simili.
Invece, l’accesso e la consultazione del FSE sono subordinati alla concessione del consenso dell’interessato che è, dunque, necessario per consentire agli operatori sanitari l’accesso (i) per finalità di cura e (ii) nei casi di emergenza sanitaria, rischio grave, imminente ed irreparabile per la sua salute o incolumità fisica. È anche possibile non esprimere alcun consenso alla consultazione da parte di terzi, per cui il FSE rimane consultabile solo dall’interessato.
Senza il consenso dell’interessato, v’è solo la possibilità per le Regioni ed il Ministero della salute di accedervi per finalità di governo e di ricerca, ma senza i dati identificativi diretti dell’interessato e nel rispetto dei principi di indispensabilità, necessità, pertinenza e non eccedenza (sanciti dal noto GDPR).
Quindi, come segnalato dal Garante Privacy, non possono in alcun modo accedere al FSE “periti, compagnie di assicurazione, datori di lavoro, medici legali, terzi non autorizzati”. Ne deriva che il singolo cittadino è l’unico che può disporre della notizia circa la sua vaccinazione anticovid, prestando eventualmente idoneo consenso al suo trattamento, per finalità precise ed indicate.
Un’ultima considerazione in merito alle conseguenze dell’avvenuta vaccinazione nell’ambito lavorativo, tema quanto mai attuale in questo periodo.
Può, dunque, il datore di lavoro chiedere direttamente al dipendente notizie circa l’avvenuta vaccinazione anticovid e trattare questo dato con l’esplicito consenso del dipendente stesso?
La risposta è negativa, perché, in ambito lavorativo, la prestazione del consenso da parte del dipendente non viene considerata un’idonea base giuridica per il trattamento dei dati a lui inerenti. Il consenso non può costituire in tale ambito una valida condizione di liceità in ragione dello squilibrio del rapporto tra titolare (datore di lavoro) e interessato (dipendente) nel contesto lavorativo, che fa presupporre che l’eventuale consenso manifestato dal dipendente non potrebbe mai essere libero ed incondizionato.
E così è stato recentemente chiarito dal Garante Privacy, in apposite FAQ pubblicate in data 17 febbraio 2021 sul “Trattamento di dati relativi alla vaccinazione anti Covid-19 nel contesto lavorativo”.
Il datore di lavoro non può, dunque, chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o copia di documenti che comprovino l‘avvenuta vaccinazione anticovid. Analogamente, il medico competente (qualora ne venisse a conoscenza per essere stato informato) non può comunicare al datore di lavoro i nominativi dei dipendenti vaccinati. Solo il medico competente può infatti trattare i dati sanitari dei lavoratori e tra questi, se del caso, le informazioni relative alla vaccinazione, nell’ambito della sorveglianza sanitaria e in sede di verifica dell’idoneità alla mansione specifica (artt. 25, 39, comma 5 e 41, comma 4, d.lgs. n. 81/2008). Il datore di lavoro può invece acquisire, in base al quadro normativo vigente, i soli giudizi di idoneità alla mansione specifica e le eventuali prescrizioni e/o limitazioni in essi riportati (es. art. 18 comma 1, lett. c), g) e bb) d.lgs. n. 81/2008).
Il datore di lavoro dovrà, pertanto, limitarsi ad attuare le misure indicate dal medico competente nei casi di giudizio di parziale o temporanea inidoneità alla mansione cui è adibito il lavoratore.