Unimpresa: dazi, con la sospensione del Patto di stabilità Ue, per l’Italia 10-12 miliardi

La sospensione del Patto di stabilità nel 2025 permetterebbe all’Italia di disporre di circa 10-12 miliardi di euro in più rispetto allo scenario in cui le nuove regole fiscali restassero pienamente operative. Non si tratta di fondi europei aggiuntivi né di nuova capacità fiscale creata artificialmente, ma di uno spazio di manovra reale, concreto e immediato che verrebbe liberato nei bilanci pubblici grazie alla sospensione dell’obbligo di aggiustamento strutturale previsto dal nuovo Patto.

Secondo i parametri introdotti con la riforma approvata nel 2023, l’Italia è infatti chiamata, dal 2025 in poi, a una riduzione del deficit strutturale pari a 0,5 punti percentuale del Pil all’anno, corrispondente a circa 10 miliardi di euro: una correzione significativa, che in assenza di interventi straordinari andrebbe realizzata attraverso tagli alla spesa pubblica o aumento delle entrate.

È quanto calcola il Centro studi di Unimpresa, secondo cui con l’attivazione della clausola generale di salvaguardia, già utilizzata con efficacia durante la crisi pandemica e successivamente durante la crisi energetica, tale correzione verrebbe sospesa, consentendo al governo di utilizzare appieno la leva del bilancio per sostenere la crescita, difendere la competitività e contrastare gli effetti delle nuove tensioni economiche globali.

«Di fronte all’inasprimento dei dazi commerciali da parte degli Stati Uniti, che corrono il rischio di colpire duramente l’economia europea, la sospensione del Patto di stabilità dell’Unione europea non è una scelta facoltativa: è una necessità, un’urgenza. Le esitazioni di Bruxelles, che si ritiene prematuro discutere l’attivazione della clausola generale di salvaguardia, appaiono incomprensibili e profondamente inadeguate rispetto alla gravità della situazione» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, il contesto internazionale è radicalmente cambiato rispetto a pochi mesi fa: la decisione degli Stati Uniti di imporre nuovi dazi su prodotti europei ad alto valore aggiunto – come auto elettriche, semiconduttori e beni agroalimentari – colpisce direttamente il cuore dell’economia italiana, fortemente orientata all’export.

La perdita potenziale per l’industria europea può arrivare fino a 25 miliardi di euro all’anno, con effetti particolarmente gravi per paesi come l’Italia, dove le esportazioni rappresentano oltre il 30% del Pil. Nel solo comparto automobilistico si stima un impatto negativo tra l’1 e l’1,5% del Pil in un arco di tre anni, a causa della perdita di competitività sui mercati americani.

In questo quadro, mantenere in vigore un Patto che impone limiti rigidi alla spesa pubblica e obbliga a manovre restrittive appare non solo inadeguato, ma dannoso. I margini di bilancio in Italia sono già compressi: il debito pubblico si attesterà nel 2025 sopra il 137% del Pil, la crescita reale sarà attorno all’1% e l’espansione in calo riduce ulteriormente gli spazi di manovra. In assenza della clausola, l’Italia rischia di dover approvare una legge di bilancio 2026 fortemente recessiva, proprio mentre la domanda esterna frena e le imprese chiedono sostegno per affrontare una nuova fase di instabilità commerciale.

L’attivazione della clausola non viola i trattati, anzi: è espressamente prevista proprio per affrontare eventi eccezionali e recessioni significativi. L’adozione di misure protezionistiche da parte di un alleato strategico come gli Stati Uniti, in piena adozione del ciclo elettorale e in prospettiva di un ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, costituisce senza dubbio un evento esterno imprevedibile e fuori dal controllo dei governi europei. Non si tratta dunque di eludere le regole, ma di utilizzare in pieno gli strumenti previsti per affrontare gli shock esogeni.

Rinviare la discussione, come fa oggi la Commissione europea parlando di tempi “prematuri”, significa non cogliere la rapidità e la profondità della crisi che si profila. Il tempo non è alleato della politica fiscale europea: agire adesso significa prevenire danni strutturali, ritardare significa rincorrere le emergenze a costi molto più elevati. L’Europa ha già dimostrato in passato che flessibilità e responsabilità possono convivere. È il momento di dimostrarlo ancora una volta.

«In questo scenario, continuare ad applicare rigidamente i vincoli del Patto di stabilità significa legare le mani agli Stati membri proprio nel momento in cui servono investimenti, protezione dell’occupazione e politiche industriali coraggiose. La clausola generale di salvaguardia, prevista dai trattati europei, non crea nuovo debito, ma permette di usare le risorse disponibili con maggiore flessibilità per rispondere a shock esterni gravi e imprevedibili – come appunto l’attuale escalation commerciale. Bloccare l’utilizzo della clausola di salvaguardia è un errore politico e tecnico, che può trasformarsi in un danno strutturale. Servire e visione: l’Europa ha già dimostrato, durante la pandemia, che sa mettere da parte le rigidità contabili per proteggere imprese e cittadini. Ora deve farlo di nuovo. Non possiamo affrontare una nuova crisi a mani legate. La flessibilità non è un tabù: è l’unico strumento per difendere crescita, lavoro e stabilità sociale» aggiunge il vicepresidente di Unimpresa.

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