Ucraina: Unimpresa, inflazione all’8,4% con il petrolio a 150 dollari, rischio stagflazione
L’inflazione in Italia è destinata a crescere ancora sistematicamente e arrivare, a giugno, all’8,4%. Una inevitabile, ulteriore impennata dell’indice dei prezzi al consumo verrà causata dalle crescenti tensioni per la guerra in Ucraina che stanno alimentando, in particolare, il prezzo del petrolio. Lo segnala il Centro studi di Unimpresa, basando la previsione sull’inflazione con il prezzo del petrolio fino a 150 dollari al barile entro il mese di giugno, mentre, col petrolio a 120 dollari, il caro-vita potrebbe attestarsi al 7,5%: in entrambi i casi una accelerazione significativa che corre il rischio di pregiudicare la crescita economica prevista per il 2022 attorno al 4%. Le pressioni inflattive, cagionate principalmente dall’incremento del petrolio, potrebbero far perdere almeno un punto percentuale di prodotto interno lordo quest’anno e portare, questo il rischio maggiore, a una pesante stagflazione nel 2023, cioè crescita “zero” e caro-vita “galoppante”. «Senza voler in alcun modo ridimensionare il dramma e la tragedia della guerra, patito dal popolo ucraino, va detto che quello dell’inflazione fuori controllo è una sciagura per l’economia e per la nostra in particolare: l’incremento dei prezzi, che si rifletterebbe soprattutto sui prodotti energetici, avrebbe effetti pesantemente negativi sia sui consumi finali delle famiglie sia sulle attività d’impresa, in particolare per quanto riguarda la produzione industriale. Stiamo per avvitarci attorno a una spirale negativa e la luce in fondo al tunnel non si vede» commenta il presidente onorario di Unimpresa, Paolo Longobardi.
Secondo il Centro studi di Unimpresa, col prezzo del petrolio a 150 dollari al barile, l’inflazione a giugno arriverebbe all’8,4% per poi ripiegare, solo in caso di miglioramenti, al 6,8% a settembre. Se, invece, le quotazioni del greggio si fermassero in media, nei prossimi mesi, attorno a quota 120 dollari al barile, l’inflazione si attesterebbe a 7,5% a giugno, per poi flettere al 6,4% a settembre. L’ultimo trimestre dell’anno potrebbe portare, in entrambi i casi, a un ulteriore ribasso dell’inflazione che a fine anno potrebbe attestarsi, rispettivamente al 4,8% col brent a 150 dollari e al 4,2% col brent a 120 dollari. Si tratta di proiezioni suscettibili di improvvise variazioni e correzioni: il quadro internazionale incerto, a cagione del conflitto in corso tra Mosca e Kiev, e non possono essere esclusi incrementi ancora più rilevanti rispetto alle previsioni realizzabili fino a questo momento.
«L’inflazione è spinta al rialzo dal prezzo in crescita di tutti i beni, ma è la componente energetica a contribuire, più di altri, ad alimentare l’aumento dell’indice dei prezzi al consumo. Tale tendenza potrebbe proseguire ancora a lungo e andare avanti anche nel 2023. Il rischio che corriamo, soprattutto per il 2023, è quello della stagflazione ovvero di una stagnazione, cioè assenza di crescita quando l’economia ristagna, accompagnata dall’inflazione, un aumento continuo dei prezzi che aggraverebbe la stessa congiuntura economica sfavorevole» commentano gli analisti di Unimpresa.