Trump minaccia dazi sull’UE: cosa rischia l’export italiano?

Dopo aver imposto tariffe del 25% su Messico e Canada e del 10% sulla Cina, Donald Trump, sembra pronto a scatenare una nuova ondata di protezionismo contro l’Unione Europea. Il presidente degli Stati Uniti ha annunciato l’intenzione di imporre dazi aggiuntivi sulle importazioni europee, una decisione che potrebbe riscrivere gli equilibri del commercio internazionale. Per l’Italia, uno dei principali partner commerciali degli USA, le conseguenze sarebbero significative, con impatti diretti sull’export e sulla competitività delle imprese.

Gli Stati Uniti, la prima economia al mondo, hanno chiuso il 2024 con un PIL di 29.168 miliardi di dollari, pari al 26,5% del PIL globale e superiore del 50,3% rispetto all’Unione Europea. L’economia americana è cresciuta del 2,8%, mentre l’inflazione PCE è scesa dal 3,8% al 2,5%, segnando un andamento stabile[1]. Tuttavia, la strategia del 47° presidente USA, che punta a rilanciare l’industria nazionale attraverso politiche protezionistiche, solleva interrogativi: se da un lato mira a rafforzare la produzione interna, dall’altro rischia di penalizzare i partner commerciali e le stesse aziende statunitensi che dipendono dalle importazioni di beni intermedi per le loro filiere produttive.

Il commercio tra le due sponde dell’Atlantico si distingue per un netto surplus a favore dell’Europa: secondo i dati Eurostat[2], nel 2023 i Paesi dell’UE venduto beni negli Stati Unite per oltre 503 miliardi di euro; mentre le importazioni dagli USA si sono fermate a 347 miliardi, evidenziando un saldo commerciale positivo di quasi 157 miliardi di euro per il vecchio Continente.

Per il nostro Paese, gli Stati Uniti rappresentano un mercato chiave, essendo il terzo partner commerciale dopo Germania e Francia. Nel 2024, le esportazioni italiane verso gli USA hanno raggiunto i 66,4 miliardi di euro, pari al 10,7% del totale dell’export nazionale[3]. Secondo i dati di Confartigianato, il Made in Italy ha consolidato la sua presenza oltreoceano grazie alla crescita di settori strategici: il farmaceutico ha registrato un aumento del +19,5%, seguito da alimentare, bevande e tabacco (+18%), apparecchi elettrici (+12,1%) e macchinari (+3,7%). A guidare l’export sono soprattutto Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana, con volumi rispettivamente di 13,5, 10,7 e 10,2 miliardi di euro. Tuttavia, con l’inasprimento dei dazi annunciato dall’amministrazione Trump, la competitività delle imprese italiane negli Stati Uniti rischia di essere compromessa, mettendo sotto pressione proprio quei settori che negli ultimi anni hanno trainato la crescita.

Se l’amministrazione Trump dovesse davvero alzare i dazi fino al 10% o al 20%, l’export italiano rischierebbe di subire una brusca frenata. Le stime parlano di un calo rispettivamente del 4,3% o addirittura del 16,8%, con effetti a catena su diversi settori chiave. A soffrire di più sarebbero la moda, l’agroalimentare, la meccanica e l’automotive, comparti in cui le piccole e micro-imprese italiane giocano un ruolo determinante. Secondo Confartigianato su dati Istat[4], anche settori come il legno, i metalli, la gioielleria e l’occhialeria – che nel 2024 hanno generato 17,9 miliardi di euro di export – potrebbero subire contraccolpi significativi.

Per le aziende italiane, l’aumento dei dazi statunitensi, si tradurrebbe in una sfida diretta: le imprese esportatrici potrebbero vedere una riduzione della domanda dagli USA, con margini di profitto più stretti e la necessità di rivedere strategie commerciali e catene di fornitura.

Valdis Dombrovskis, Commissario UE per l’Economia, ha dichiarato che l’Europa è pronta a difendere i propri interessi. Come già accaduto durante la prima amministrazione Trump, l’UE potrebbe rispondere con misure proporzionate, rilanciando la guerra dei dazi. Nel 2018, l’aumento delle tariffe su acciaio e alluminio aveva portato l’Europa a imporre ritorsioni su prodotti iconici americani, come Harley-Davidson e whiskey. Uno scenario simile rischierebbe di destabilizzare nuovamente il commercio globale, con effetti a lungo termine su entrambe le sponde dell’Atlantico.

A complicare ulteriormente il quadro, le tensioni commerciali hanno già avuto ripercussioni sui mercati valutari. Il dollaro si è rafforzato del 2,3% rispetto all’euro, arrivando fino al minimo di 1,0146, il livello più basso dal novembre 2022. Questo apprezzamento della valuta statunitense rende più costose le importazioni, non solo dagli USA, ma anche da gran parte dei paesi extra europei (Cina in primis) nei quali si tende ancora a pagare i fornitori in dollari.Per gli esportatori, invece, il rischio è che i vantaggi di un dollaro più forte non bastino a compensare l’incremento dei dazi.

Gli aggiustamenti valutari (e monetari) potrebbero anche rivelarsi un boomerang per lo stesso Trump, che rischia di trovarsi in un circolo vizioso nel quale la forza del dollaro compensa parzialmente gli effetti dei dazi, ma continua a stimolare l’inflazione USA, costringendo la Fed a mantenere alti i tassi di interesse, cosa che rafforzerebbe ulteriormente il dollaro.
In questo scenario non mi sento di escludere pressioni da parte di Trump ai vertici della banca centrale, una strategia molto pericolosa che potrebbe anche portare a un calo di fiducia generalizzato nel debito USA.

[1] https://www.bea.gov/data/gdp/gross-domestic-product

[2] https://ec.europa.eu/eurostat/web/products-eurostat-news/w/ddn-20240311-1?utm_source=chatgpt.com

[3]https://www.confartigianato.it/2025/01/mercati-esteri-con-dazi-usa-a-rischio-64-mld-di-export-granelli-reagire-con-qualita-made-in-italy/

[4] https://www.confartigianato.it/2024/11/studi-stati-uniti-italia-1-esportatore-ue-nei-settori-di-micro-e-piccola-impresa-con-172-miliardi-e-di-export/

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