STUDI CONFARTIGIANATO – Riforma delle partecipate locali, il 44,6% delle partecipazioni non è conforme alla normativa
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) varato dal Governo italiano ad aprile del 2021 prevede 134 interventi per investimenti e 63 riforme. Si tratta il più vasto programma di riforme degli ultimi decenni, da cui si attendono effetti rilevanti sui processi di crescita. Dall’attuazione delle riforme chiave del PNRR – su concorrenza, giustizia e pubblica amministrazione – si stima nel lungo periodo una maggiore crescita di 3,3 punti. Un impatto rilevante, per un Paese attanagliato da eccessiva burocrazia, scarsa qualità dei servizi pubblici e bassa crescita: nei primi vent’anni del XXI secolo, tra il 2000 e il 2019, il PIL dell’Italia è cresciuto al tasso medio annuo del 0,2%, 1,2 punti in meno della media degli altri 18 paesi dell’Eurozona.
Per garantire gli effetti su produttività e crescita, le riforme vanno avviate, monitorate e implementate. Serve una governance efficiente, con gli uffici della Pubblica amministrazione capaci di progettare e attuare gli interventi, integrandoli nell’attività ordinaria dello Stato e delle amministrazioni locali, misurando e controllando i risultati. Se queste condizioni non si attuano, il processo di riforma è destinato a non manifestare effetti.
Un caso di riforma poco efficace è certamente quello della razionalizzazione delle partecipate pubbliche locali contenuta nel Testo unico del 2016. Ad oltre cinque anni dalla riforma permangono diffuse situazioni anomale. Nel rapporto del MEF sulle partecipazioni detenute delle amministrazioni pubbliche per il 2019 si evidenzia che quasi una partecipazione su due (11.152 pari al 44,6%) non è conforme alla normativa. Per il 72,7% di queste, le pubbliche amministrazioni hanno espresso la volontà di mantenimento, nonostante l’obbligo di razionalizzazione disposto dal Testo Unico.
Una riforma, per essere efficace, deve essere accompagnata da un adeguato sistema di incentivi e sanzioni. Nel caso in esame, per le società partecipate che non rispettano il parametro sui dipendenti – con il numero dei dipendenti pari a zero o superiore al numero degli amministratori – il 69,6% delle amministrazioni hanno dichiarato di voler mantenere la partecipazione nella società, senza azioni di razionalizzazione. Analogamente, per le società con il fatturato medio non in linea la normativa, nel 72,5% delle partecipazioni le amministrazioni hanno manifestato la volontà di mantenere comunque la partecipazione nella società, senza intervenire.
Last but not least, le partecipate locali operano frequentemente in condizioni di scarsa concorrenza. Già nel Country report del 2019, la Commissione europea evidenziava che “la mancanza di procedure competitive per l’aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi e delle concessioni per i beni pubblici incide negativamente sulla qualità (e sul costo) dei servizi”.
Nell’ultima ricognizione della Corte dei conti, gli affidamenti diretti (in house) da parte degli enti rappresentano il 92,9% del totale di 18.251 affidamenti e l’86,3% dell’impegno annuale di 11.018 milioni di euro, mentre risultano affidati mediante gara solo il restante 9,0% degli affidamenti, per 1.501 milioni di euro, pari al 13,7% del totale. In particolare, nei settori dei servizi strumentali l’applicazione dei meccanismi concorrenziali diventa marginale: solo il 2,9% del valore dei servizi acquistati viene affidato con le gare.
Una maggiore concorrenzialità selezionerebbe le imprese più efficienti, con effetti positivi su produttività, investimenti e costo dei servizi per i cittadini, favorendo la crescita economica.