STUDI CONFARTIGIANATO – La tassazione ambientale nel nostro Paese è pari al 3,3% del PIL, 0,9 punti superiore al 2,4% della media europea
Il pacchetto del Green Deal adottato lo scorso 14 luglio dalla Commissione europea comprende un mix di interventi in materia di clima, energia, uso del suolo, trasporti e fiscalità finalizzati a ridurre nell’Ue le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55 % entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e raggiungere la neutralità climatica per il 2050. Obiettivi ambiziosi, ma che vanno opportunamente coordinati a livello mondiale: l’Unione europea determina l’8,0% delle emissioni globali, meno di un terzo del 27,9% della Cina e poco meno della metà del 14,5% degli Usa.
Tra gli interventi è prevista la revisione della direttiva sulla tassazione dell’energia. Su questo fronte va ricordato che il divario tra il carico fiscale complessivo dell’Italia e quello dell’Ue è pressoché interamente determinato dalla tassazione ambientale, che nel nostro Paese è pari al 3,3% del PIL, 0,9 punti superiore al 2,4% della media europea. Con riferimento alla tassazione per unità di energia impiegata, l’Italia è seconda nell’Ue solo alla Danimarca.
In Italia l’80,8% dei 58,7 miliardi di euro di tassazione ambientale si riferisce all’energia, con il 44,1% del gettito che deriva da accise su oli minerali e il 26,2% da imposte su energia elettrica e oneri di sistema per le fonti rinnovabili. Il report ‘Economia e ambiente’ recentemente pubblicato dall’Istat evidenzia che la quota di gettito ambientale corrisposto dalle attività economiche è salito dal 38% del 2008 al 44% nel 2018.
Attualmente il prelievo finalizzato alla tutela dell’ambiente non sembra rispettare in modo rigoroso il principio ‘chi inquina paga’, al centro della legislazione ambientale dell’Unione europea. L’Italia è al 5° posto nell’Unione europea a 27 per prelievo fiscale ambientale, mentre scende al 18° posto per intensità di emissioni di CO2. Nel confronto tra le due maggiori economie manifatturiere europee, l’Italia registra emissioni per abitante del 28,7% inferiore a quella della Germania a fronte di una tassazione ambientale superiore dell’85,3% (3,3 punti di PIL a fronte di 1,8 punti della Germania). Nel confronto con la Francia, il divario di emissioni è contenuto (+5,9% per l’Italia) ma si associa ad una maggiore tassazione ambientale pari ad un punto di PIL.
Un caso emblematico dell’elevata pressione fiscale ambientali è quello del gasolio per autotrazione, per il quale l’Italia è al 20° posto per prezzo industriale, ma sale al 1° posto per livello delle accise; di conseguenza il nostro Paese si colloca al 2° posto per prezzo pagato dalle imprese, al netto dell’IVA. In parallelo l’Italia – come evidenziato nel report ‘Le tendenze del trasporto, tra varo del PNRR e ripresa 2021’ predisposto dall’Ufficio Studi per Confartigianato Trasporti, clicca qui per scaricarlo – è il secondo paese dell’Ue, dietro ai Paesi Bassi, per prelievo fiscale del trasporto in rapporto alle emissioni di CO2.
La revisione della tassazione dell’energia, con l’intervento su esenzioni e aliquote ridotte, nel caso dell’Italia dovrà sia considerare l’elevata pressione fiscale ambientale, che correggere le distorsioni esistenti, garantendo più eque condizioni di competitività alle imprese italiane, in particolare per le micro e piccole della manifattura e dell’autotrasporto.
L’analisi nella rubrica ‘Imprese ed energia’ di questa settimana su QE-Quotidiano Energia