STUDI CONFARTIGIANATO – Il Made in Italy nel Regno Unito vale 22 miliardi di euro, Italia prima in Ue per export moda e mobili. Le incertezze della Brexit
L’analisi dei dati Istat pubblicati ieri evidenziano che, dopo la battuta d’arresto di ottobre, a novembre 2020 l’export verso i paesi extra Ue torna a salire in ottica congiunturale (+2,7%) e anche su base annua segna una crescita (+1,4%). Nei primi 11 mesi del 2020 l’export extra Ue scende dell’11,0%, con una maggiore accentuazione per Russia (-10,7%), Regno Unito (-13,6%) e India (-26,0%), mentre registrano una maggiore tenuta i mercati di Cina (-2,6%) e Svizzera (-3,5%); cali più ampi, anche se inferiori alla media, per Giappone (-7,4%), Stati Uniti (-8,0%) e Turchia (-8,9%).
Sulle relazioni commerciali tra Italia e Regno Unito grava l’incertezza delle condizioni della Brexit. Sul mercato del Regno Unito il made in Italy – ultimi dodici mesi a novembre 2020 – vale 22.064 milioni di euro e tra gennaio e novembre di quest’anno le imprese italiane hanno registrato 3.169 milioni di euro in meno di vendite sul mercato britannico. L’export sul mercato britannico scende all’1,3% del PIL, dopo aver toccato un massimo relativo dell’1,4% del PIL nel 2019, non lontano dal massimo storico del 2000 (1,5%).
L’export verso il Regno Unito presenta una significativa specializzazione per i prodotti alimentari e bevande (14,9% dell’export totale verso il Regno Unito rispetto alla quota di 9,1% verso il Mondo), Mezzi di trasporto (quota di 13,0% verso il Regno Unito rispetto 10,2% verso Mondo) e Moda (quota di 12,4% verso il Regno Unito rispetto al 10,7% verso il Mondo). L’Italia è il 5° paese Ue esportatore verso il Regno Unito, dietro a Germania, Paesi bassi, Francia e Belgio, ma sale al primo posto per Abbigliamento, Pelle, Mobili e al secondo posto per Bevande, Prodotti in metallo, Macchinari e attrezzature.
L’esposizione dei territori sul mercato britannico – L’export manifatturiero verso il Regno Unito vale, in media nazionale, l’1,4% del valore aggiunto. Valori superiore alla media per Emilia-Romagna con export verso UK che vale 2,9% del valore aggiunto regionale, Toscana con 2,3%, Veneto con 2,2%, Friuli-Venezia Giulia, Basilicata e Abruzzo con 1,8% e Piemonte con 1,7%.
Valori più che doppi della media della propensione ad esportare sul mercato britannico si registrano ad Arezzo, con l’export che vale il 12,6% del valore aggiunto, Frosinone con 6,9%, Piacenza con 6,4%, Chieti con 4,7%, Pordenone con 3,9%, Reggio nell’Emilia con 3,6%, Modena e Parma con 3,5%, Belluno e Treviso con 3,2%, Vercelli, Novara e Vicenza con 3,1%, Asti e Ravenna con 3,0%.
Le incertezze della Brexit, il rischio no deal – A pochi giorni dal termine del periodo di transizione connesso con l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea dello scorso 31 gennaio 2020, sono ancora in corso i negoziati per un accordo, sui quali grava l’incertezza del no deal. E in questo non auspicabile scenario, sono proprio i comparti di maggiore specializzazione del made in Italy sul mercato britannico quelli che risulterebbero maggiormente penalizzati dato che in assenza di accordi commerciali – come evidenziato in una nostra precedente analisi – i rapporti tra Ue e Regno Unito sarebbero regolati dalle norme dell’Organizzazione mondiale del commercio, con l’applicazione della clausola della “nazione più favorita” (Most Favoured Nation, Mfn), che determinerebbe dazi elevati per agroalimentare per abbigliamento, calzature, autoveicoli. Nel complesso food, moda e auto valgono un terzo (32,3%) del made in Italy nel Regno Unito.
Le recenti stime della Sace indicano che una Brexit no deal determinerebbe una perdita di export per il 2021 del 12,1% pari, in rapporto alle vendite degli ultimi dodici mesi, ad oltre 2,6 miliardi di euro, riportando le esportazioni verso il mercato britannico su livelli inferiori a quelli del 2013.