STUDI CONFARTIGIANATO – Costo del credito: nel 2022 +170 punti tassi, con effetti negativi su investimenti, produttività e transizione green
L’inasprimento delle condizioni di politica monetaria per combattere l’inflazione sta determinando un rialzo del costo del credito alle imprese che – comprimendo la creazione di valore aggiunto – ha pesanti ricadute recessive sull’economia.
Nonostante il raffreddamento autunnale dei prezzi di petrolio e gas naturale, persiste sull’economia dell’Eurozona un alto tasso di inflazione, che a dicembre è al 9,2% (era 10,1% a novembre). In conseguenza di una maggiore spinta dei prezzi dell’energia, l’inflazione in Italia rimane in doppia cifra collocandosi al 12,3% (era 12,6% a novembre), mentre negli Stati Uniti la crescita dei prezzi al consumo rallenta al 6,5% (era 7,1% a novembre).
Per contrastare l’inflazione, la Bce ha deciso una vigorosa stretta monetaria, aumentando i tassi di interesse di riferimento di 250 punti base tra luglio e dicembre. La Bce ha preannunciato prossimi ulteriori aumenti dei tassi «in misura significativa a un ritmo costante per raggiungere livelli sufficientemente restrittivi da assicurare un ritorno tempestivo dell’inflazione all’obiettivo del 2% nel medio termine». Nella storia dell’euro non hanno precedenti l’intensità della stretta monetaria e la crescita dei prezzi attualmente in corso.
L’analisi delle ultime evidenze sul mercato del credito pubblicate da Banca d’Italia sottolinea la trasmissione della politica monetaria restrittiva sul costo dei prestiti per il sistema produttivo, che amplifica gli straordinari effetti della crisi energetica e caro bollette sui bilanci aziendali.
A novembre 2022 il tasso sui prestiti alle imprese per nuove operazioni con importo fino 1 milione è salito al 3,37% con un aumento di 170 punti base rispetto ad un anno prima, raggiungendo un livello che non si registrava da otto anni (novembre 2014). Solo a gennaio 2012, nel pieno della crisi del debito sovrano, con lo spread BTP-Bund a oltre 400 punti base, si registrò una crescita dei tassi sui prestiti più intensa (+176 punti base) di quella in corso.
Il tasso medio sulle consistenze dei prestiti alle imprese (società non finanziarie) in conto corrente arriva al 3,34%, salendo di 112 punti base nell’arco di dodici mesi.
Un approfondimento sul mercato del credito delle imprese nel report dell’Ufficio Studi ‘Finanza d’impresa, tra crisi energetica e stretta monetaria’. Qui per scaricarlo.
L’accentuata crescita dei tassi in corso potrebbe determinare una pesante frenata dell’economia. Secondo le recenti valutazioni del Fondo monetario internazionale, metà dell’Unione europea sarà in recessione, mentre si delinea il rischio di una eccessiva normalizzazione dei tassi ufficiali.
Nel terzo trimestre 2022, a fianco del rincaro dei tassi di interesse, cade la domanda di credito per gli investimenti. Con una ridotta accumulazione di capitale si determinano ricadute sulla propensione all’innovazione e sulla dinamica della produttività, mentre si frena la sostituzione di impianti meno efficienti, rallentando il contenimento dei consumi di energia e la transizione green delle imprese.
In un contesto di politica fiscale prudente l’aumento dei tassi fa salire la spesa per gli interessi sul debito pubblico, spiazzando gli interventi fiscali a sostegno degli investimenti delle imprese.
La stretta rallenterà il settore immobiliare e delle costruzioni, i comparti che hanno sostenuto la ripresa post-Covid-19: a novembre 2022 il costo dei prestiti per l’acquisto di abitazioni sale al 3,06%, con un aumento di 162 punti base rispetto un anno prima. Anche la spesa delle famiglie per beni di consumo durevoli e di autoveicoli viene penalizzata dall’aumento del costo del credito al consumo, il cui tasso a novembre è salito al 7,66%, con un aumento di 144 punti base in un anno.