STUDI CONFARTIGIANATO – Con la pandemia salgono a 1,4 milioni i giovani under 30 (15,7%) né in formazione né che si offrono sul mercato del lavoro
Uno degli indicatori statistici che descrive la partecipazione dei giovani al mercato del lavoro misura la quota di coloro che non hanno un lavoro, né sono inseriti un percorso di istruzione o formazione (NEET, acronimo di Not in Education, Employment or Training).
Nel confronto internazionale, tra gli Stati membri dell’Unione Europea si osserva un’ampia variabilità nei tassi di NEET. Nel 2020, per le persone di età compresa tra 15 e 29 anni, l’incidenza di soggetti non occupati (disoccupati o inattivi, al di fuori della forza lavoro) e non inseriti in un percorso formativo e di istruzione risulta più contenuta nei Paesi Bassi (5,7%), in Svezia (7,2%), in Lussemburgo (7,7%) e Germania (8,6%). Sono undici gli Stati membri che hanno registrato tassi di NEET superiori alla media UE del 13,7%. Tra questi, la quota più elevata di giovani di età compresa tra 15 e 29 anni né occupati né iscritti a corsi di istruzione e formazione si registra in Italia (23,3%) davanti a Grecia (18,7%), Bulgaria (18,1%) e Spagna (17,3%).
Un confronto tra Italia e Paesi Bassi, gli Stati membri dell’UE con i tassi di NEET più alti e più bassi nel 2020, rivela che la percentuale di NEET è 4,1 volte più alta tra gli under 30 italiani che tra i giovani olandesi.
In generale è più probabile che le giovani donne non abbiano né un lavoro né un’istruzione e una formazione: nel 2020, un quarto (25,4%) delle giovani donne (di età compresa tra 15 e 29 anni) in Italia sono NEET, di 4 punti percentuali superiore alla corrispondente quota dei giovani uomini. Il divario di genere tende ad aumenta in funzione dell’età.
Nell’anno della pandemia, con gli effetti del lockdown sul mercato del lavoro, la presenza dei NEET torna a salire, dopo una costante riduzione tra il 2014 e il 2019. L’analisi dei dati in serie storica trimestrale evidenzia nel corso 2021 un ritorno alla diminuzione dell’indicatore.
Lo scoppio della pandemia, la diffusione lavoro sommerso, il mismatch tra domanda e offerta lavoro – che si intreccia pericolosamente con gli effetti sull’offerta dei sussidi pubblici – mettono in luce specifiche criticità nella transizione tra scuola e lavoro. Ai temi della formazione dei giovani e dell’emergenza educativa in Italia è dedicato il primo ‘Quaderno’ della Fondazione Germozzi, presieduta da Giulio Sapelli, con la prefazione di Marco Granelli e nel quale l’Ufficio Studi Confartigianato ha curato una ampia analisi degli indicatori del mercato del lavoro giovanile, tra cui anche la quota di NEET under 30.
Il segmento più critico: i NEET inattivi – Entrando nel dettaglio dell’analisi sui tassi NEET per condizione professionale, si evidenzia che in Italia il 15,7% dei giovani fino a 29 anni oltre a non essere né un percorso di istruzione o formazione, non si offre nemmeno sul mercato del lavoro, un tasso quasi doppio dell’8,6% della media UE e il più alto tra i 27 paesi dell’Unione europea, davanti a Bulgaria (14,7%) e Romania (14,7%).
Un aspetto più critico per l’Italia è dato dall’aumento nel 2020 di 1,7 punti percentuali di questa quota di NEET under 30 che non si offrono sul mercato del lavoro, il secondo incremento più elevato nell’Unione europea, dopo i +2,8 punti registrati in Irlanda.
I NEET inattivi rappresentano, in valore assoluto, un segmento consistente della popolazione giovanile, pari, nel 2020, a 1 milione 412 mila giovani under 30, saliti di 146 mila unità (+11,6%) rispetto al 2019. Di questi, 707 mila appartengono alla forza lavoro potenziale – somma di coloro che non cercano attivamente un lavoro, ma sono disponibili a lavorare e di coloro che cercano lavoro, ma non sono subito disponibili – mentre 704 mila non cercano e non sono disponibili al lavoro.
In parallelo alla elevata presenza di NEET inattivi, come evidenziato da nostre recenti analisi, si osserva il paradossale aumento della difficoltà di reperimento del personale, particolarmente marcato per le professioni specializzate.
Le regioni – In chiave territoriale la quota di NEET più elevata della media si riscontra in sette regioni del Mezzogiorno: Sicilia con 37,5%, Calabria con 34,6%, Campania con 34,5%, Puglia con 29,4%, Molise con 28,3%, Basilicata con 26,3% e Sardegna con 26,1%. Seguono il Lazio con 22,4%, prima regione del Centro, Abruzzo con 20,7% Liguria con 20,1% prima regione del Nord, Piemonte con 18,8% e Umbria con 18,7%. Quote contenute per Emilia-Romagna con 15,9%, Veneto con 14,7%, Provincia Autonoma Trento con 14,6% Friuli-Venezia Giulia con 13,6% e Provincia Autonoma Bolzano, con il tasso più basso del 12,4%.
Gli aumenti maggiori nel 2020 – più del doppio della media nazionale – si riscontrano per Molise e Umbria, dove la quota di NEET sale di 3,6 punti rispetto a quella del 2019, Piemonte con +3,2 p.p., Provincia Autonoma Bolzano con +2,7 p.p., Lombardia e Marche con +2,6 p.p..
Nel confronto tra 248 regioni europee, Sicilia, Campania e Calabria, dopo la Guyana francese, sono le regioni europee con la maggiore criticità di inclusione dei giovani nei percorsi lavorativi e formativi. Tra la trenta regioni europee con il tasso più altro di NEET, sette sono italiane.