Sostenibilità d’impresa, un’occasione solo per grandi?
I risultati dello studio realizzato da CNA nel mese di settembre (con il coinvolgimento di più di 1000 imprese associate) consentono di prendere atto che anche gli imprenditori che guidano piccole e piccolissime realtà produttive sono convinti della necessità di svolgere un ruolo attivo nel percorso verso la sostenibilità d’impresa (73,4% delle risposte). Chi si orienta in questo senso dimostra di non sentirsi affatto una sorta di “riserva speciale” esentata da ogni coinvolgimento al riguardo. Difficile dunque continuare a rappresentarle come i “granelli” di un mondo pulviscolare che si sente estraneo alle grandi istanze globali di interesse collettivo, delle quali sono “ben altri” a doversi occupare.
Arrivano addirittura all’82,4% del totale gli imprenditori convinti che nel mondo del prossimo futuro non ci sarà spazio per chi non sarà in grado o non vorrà coltivare la dimensione della sostenibilità nelle sue diverse accezioni, ambientali ma anche sociali. A ben vedere è più o meno quello che quasi tutti pensano per quanto concerne la digitalizzazione dei processi produttivi. Non a caso, digitale e transizione ecologica sono i due “cuori pulsanti” del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
C’è poi da dire che il grande motore di questa convinzione diffusa non si alimenta di un carburante ideologico: tutt’altro. Quelli che sono in gioco sono soprattutto interessi reali: al primo posto il contenimento dei costi di approvvigionamento di energia e materie prime, ma anche la possibilità di ridurre la spesa per lo smaltimento dei rifiuti e dei reflui; viene inoltre rimarcato il delta positivo di reputazione, ossia la condizione indispensabile per consolidare un mercato che tende ad evolvere e a qualificare le sue richieste; infine, la costruzione delle pre-condizioni per continuare a far parte di filiere trainate da soggetti di grandi dimensioni che sempre più sono attenti alla qualità ambientale e sociale delle forniture. Minore è invece la fiducia nelle imprese per quanto concerne la possibilità di allargare il mercato di riferimento, perlomeno nell’immediato.
Guardando agli interventi realizzati o alle soluzioni adottate, la situazione si presenta decisamente articolata. Azioni rivolte al contesto lavorativo, includendo forme di welfare aziendale, interventi formativi o altre misure volte a migliorare il rapporto con i dipendenti, sono state realizzate dal 52,5% delle imprese intervistate. Al 2° e 3° posto l’efficientamento energetico (in tutte le sue diverse declinazioni), realizzato dal 44,5% delle imprese per quanto concerne i locali produttivi e dal 37,7% con riferimento ai macchinari utilizzati. Circa 1/3 delle imprese si è attivata in tema di acquisti di materiali, regolazione delle forniture, gestione degli scarti o degli imballaggi. In ogni caso è importante osservare che solo l’11,1% delle imprese non ha attivato nessun processo volto ad aumentare la propria sostenibilità.
Un ragionamento a parte richiede la questione degli impianti per l’auto-produzione di energia da fonti rinnovabili: se è vero che solo il 16,5% delle imprese dichiara di averli installati, occorre notare che il 50,4% delle imprese – evidentemente sotto la spinta della crisi energetica e dal caro-bollette – dichiarano di essere intenzionate a farlo.
Quello che forse le piccole imprese non hanno ancora completamente compreso è che, in prospettiva, opportunità interessanti potranno dischiudersi anche sul fronte di un accesso selettivo al credito, a bandi pubblici orientati al green procurement, ad incentivi e sostegni destinati a chi vuole cambiare investendo in sostenibilità. E naturalmente la condizione abilitante per partecipare a questi processi sarà la misurazione del proprio livello di sostenibilità e dei risultati ottenuti. Al momento non si rileva grande partecipazione né grande interesse per strumenti quali auditing, indicatori, certificazioni, reportistica. Su questo fronte devono certamente aumentare la consapevolezza e la conoscenza, perlomeno a livello di base. La strada maestra è la formazione, ancora poco praticata dalle imprese (solo il 33,1% vi ha fatto ricorso negli ultimi 5 anni) anche perché ritenuta troppo teorica e poco rispondente ai loro fabbisogni specifici. Si tratta di un terreno che può essere molto produttivo, e sicuramente le associazioni di categoria sono i soggetti più indicati per “ararlo in profondità”, anche perché possono parlare un linguaggio comprensibile e sintonico con i loro abituali interlocutori.
I risultati dell’indagine consentono inoltre di far emergere un profilo differenziato degli imprenditori più giovani (gli Under 40). Quest’ultimi, infatti, risultano più attenti della media al tema della sostenibilità sociale, agli interventi che possono essere ricondotti al paradigma emergente della “transizione circolare”, nonché a partecipare, direttamente o con i propri dipendenti, a processi formativi.
In sintesi, le piccole imprese sono in cammino, preoccupate ma contemporaneamente incuriosite da tutto ciò che possono fare per aumentare la loro sostenibilità. Certamente non sono disposte, per far pratica di cambiamento, a passare per le “forche caudine” di processi eccessivamente burocratizzati. Su questo fronte potremmo dire che… “hanno già dato”. Si attendono invece una “soglia bassa” di accesso all’innovazione e al cambiamento in genere, basata su semplificazione delle procedure e su misure incentivanti là dove gli investimenti richiesti sono di importo significativo rispetto al loro volume d’affari. Si attendono inoltre “coerenza sistemica”: non c’è niente che possa spegnere gli entusiasmi e la voglia di partecipare dei singoli soggetti come un contesto contraddittorio incapace di riconoscere e premiare i virtuosi e di mettere mano alle criticità penalizzanti e demotivanti che pure ancora esistono.
La grande consapevolezza e disponibilità a mettersi in gioco che l’indagine ha rivelato è un segnale forte, soprattutto pensando al momento storico nel quale viene registrato. I milioni di micro e piccole imprese di questo Paese che vogliono far pratica concreta di sostenibilità rappresentano un grande potenziale sia pure in buona parte ancora inespresso. L’attivazione di questo “capitale inagito” sarebbe certamente uno dei viatici migliori verso gli obiettivi generali di sostenibilità dei processi produttivi e verso la transizione ecologica della società.