SME Business Longevity: per un nuovo DNA della relazione con le piccole e medie imprese

 SME Business Longevity: per un nuovo DNA della relazione con le piccole e medie imprese

Alla luce dell’accelerazione digitale dovuta alla situazione pandemica, la mancata integrazione tra strumenti digitali e attività manuali può rappresentare oggi un potenziale punto di debolezza per lo sviluppo del business. In questo scenario, interessante anche il nuovo ruolo degli istituti di credito, da puri fornitori di servizi bancari a partner nella fornitura di servizi specialistici ad alto valore aggiunto.

Questo quanto emerge dalla ricerca “SME Business Longevity” promossa da CRIF e condotta da Nomisma che ha consentito di valutare le PMI italiane sotto molteplici profili, dal rapporto con i fornitori specialistici, a quello con gli istituti di credito con cui operano abitualmente. L’analisi ha poi tenuto in considerazione l’evoluzione del rischio in una logica post Lockdown e il rapporto con la sostenibilità a 360° e gli ESG (fattori Environmental, Social and Governance).

IL PERIMETRO DELLA RICERCA

Coinvolgendo un insieme rappresentativo di PMI trasversale ai settori (agricoltura, manifatturiero, costruzioni, commercio, trasporto, servizi, attività di noleggio), la ricerca è stata sviluppata con l’obiettivo di individuare lo stato dell’arte e le esigenze digitali delle imprese, nell’ambito dei servizi specialistici, con un’attenzione particolare ai servizi banking e insurance, sulla base di 4 direttrici:

  • Relazione impresa-banca
  • Impresa e strumenti digitali
  • Impresa e assicurazioni Post Covid-19
  • Impresa e sostenibilità

Relazione impresa-banca

Negli ultimi 6/12 mesi 3,9 imprese su 10 hanno attivato fornitori per lo sviluppo del business. Al contempo, solo 2,3 imprese su 10 hanno promosso servizi di consulenza per l’export, così come servizi consulenziali per la valutazione e la gestione del portafoglio fornitori. Questo se si parla si fornitori specialistici non appartenenti alla classe degli istituti di credito.

In un’ottica di evoluzione del ruolo degli istituti di credito, particolarmente interessante la funzione di questi ultimi nella percezione delle imprese, 8 PMI italiane su 10 valutano infatti positivamente la banca con cui si opera abitualmente come possibile fornitore di servizi specialistici – da sviluppo del business, all’internazionalizzazione, considerando anche i servizi a supporto per accedere alla finanza agevolata e sostenibile – quota che sale a 8,4 su 10 per le imprese con un fatturato tra i 5 e i 25 Milioni. Il principale beneficio in un 1 caso su 2 è di poter usufruire di servizi integrati.

La banca in questa logica si configura come partner di valore per molteplici servizi, tra i quali: supporto per selezione/partecipazione a bandi di gara pubblici su finanza agevolata (nel 36% dei casi), servizi informativi/consulenza per lo sviluppo commerciale/crescita del business (27%), soluzioni in ambito cybersecurity (17%), firma digitale (17%), servizi di marketing e di campagna commerciale (16%), consulenza per la valutazione e gestione del portafoglio fornitori (16).

Impresa e strumenti digitali

La ricerca ha indagato quale sia lo stato dell’arte attuale e il rapporto delle PMI con gli strumenti digitali, in particolare riguardo l’espletamento di alcune operazioni quali il controllo dei saldi e dei movimenti dei conti correnti aziendali, la gestione e la riconciliazione di incassi/fatture, il tracciamento di pagamenti e addebiti di conto oltre un certo importo (4 PMI su 10 non utilizzano alcun strumento) e il controllo della diffusione di informazioni aziendali, come password o e-mail sul dark web (6 su 10 non monitorano la diffusione di tali informazioni).

È emerso un quadro ibrido, in cui a strumenti digitali (1 su 2 usa ERP – Enterprise resource planning ovvero “pianificazione delle risorse d’​impresa” – per il controllo dei saldi e dei movimenti di conto) si affiancano attività manuali per 4 su 10 per alcune attività di finanza-tesoreria (riconciliazione di incassi e fatture), quota che sale al 47% per le imprese con un fatturato sino a 2 Milioni di euro.

L’integrazione tra le due modalità appare alta o medio-alta per 4 imprese su 10, ma per 2,6 su 10 attualmente non si rileva nessuna integrazione.

È attraverso questo dato che emerge la chiara necessità di supporto alla digitalizzazione di strumenti oggi presidiati manualmente o parzialmente in modalità digitalin primis gli strumenti oggi manuali per lo sviluppo del business e il supporto nell’identificazione dei clienti potenziali (5,5 PMI su 10) e la ricerca di finanziamenti agevolati (4,4 su 10).

Impresa e assicurazioni post – Covid 19

Le PMI italiane sono caratterizzate da un livello di sotto-assicurazione tanto che oggi solo 6,2 su 10 hanno in corso coperture assicurative. Post Covid-19 è aumenta o molto aumentata l’esposizione ai rischi per 6,9 imprese su 10, in particolare al Sud e nelle Isole (con 7,6 PMI su 10) e per le imprese con un fatturato tra i 2 e i 5 Milioni (aumentata al 63% contro il 56%).

A fronte di un maggior rischio assume una più rilevante strategicità la consulenza assicurativa per i prossimi 12 mesi, in particolare per ciò che riguarda la responsabilità civile degli amministratori (39%), gli infortuni professionali ed extra (39%), Rc terzi (37%), business interruption (33%) e cyber risk (32%).

Impresa e sostenibilità

Relativamente al tema sostenibilità, importante l’attività di promozione per sviluppare awareness, tanto che sono 3,9 su 10 le PMI ad aver sentito parlare di ESG e finanza sostenibile (4,7 su 10 se il fatturato è superiore ai 5 Milioni di euro).

Ma quali sono le esigenze? 4,3 su 10 ritengono importante ricevere una certificazione sulla valutazione di sostenibilità aziendale (5,2 su 10 se il fatturato è > 5 Milioni).

Inoltre, la sostenibilità ricopre un ruolo centrale per 6,3 imprese su 10 e il ruolo della valutazione appare fondamentale per il 74% delle PMI italiane per accrescere la brand reputation e, in 1 caso su 2, anche per ridurre i rischi anche grazie all’accesso ad agevolazioni.

Silvia ZucconiResponsabile Market Intelligence e Business Information di Nomisma commenta in questo modo la ricerca: “Lo shock dovuto alla situazione pandemica ha portato i consumatori in primo luogo e poi le imprese a compiere un balzo in avanti, un’accelerazione dell’attitudine digitale, una vera e propria rivoluzione copernicana. Un dato su tutti: nel 2020 il 36% delle SME italiane ha introdotto almeno una innovazione digitale nei processi aziendali. La diffusa adozione di innovazioni digitali dei processi (e-commerce, amministrazione, sviluppo del business …) rappresenta così la vera sfida per le SME italiane – anche grazie all’ampio pacchetto di risorse messo a disposizione dal PNRR. Dotazioni disponibili per il chiaro ruolo che la digitalizzazione ha oggi per la competizione delle imprese, vista correlazione diretta con le performance”.

A cui si aggiunge il commento di Elena MazzottiHead of client innovation  strategy di CRIF, che conclude dichiarando: “Digitalizzazione e sostenibilità sono i due trend chiave che stanno già disegnando nuovi scenari di mercato e caratterizzeranno la relazione con le imprese nei prossimi anni. Lo confermano anche i numeri del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR): 22% e 30% la quota minima da destinare rispettivamente a trasformazione digitale e transizione ecologica. I due temi, fortemente interconnessi, contribuiscono a creare un percorso virtuoso ed innovativo verso quello che CRIF chiama ‘SME business longevity’, cioè il supporto alle imprese che si prolunga nel tempo grazie alla costruzione di ecosistemi di servizi integrati e di customer journey personalizzati, in grado di rispondere in real time alle loro mutate esigenze, post scenario Covid. È necessario, quindi, riscrivere il paradigma della relazione imprese-operatori finanziari alla luce delle radicali trasformazioni endogene al tessuto economico ed esogene, connesse al nuovo scenario competitivo che vede la presenza di nuovi attori e challenger player sul mercato”.

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