Smart working per avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro in 2 studi su 3, ma i dipendenti sono ancora poco coinvolti
L’emergenza sanitaria legata al Covid-19 ha trasformato modalità di lavoro e interazione delle professioni giuridiche ed economiche, accelerando la diffusione del lavoro a distanza e la spinta a trovare nuove modalità per gestire la relazione con i clienti. Trovarsi a buon punto nel percorso di innovazione, digitale e organizzativa, già prima del Coronavirus ha fatto la differenza fra gli studi che hanno incontrato più difficoltà nell’uso delle tecnologie digitali e nell’adattarsi a nuove forme di lavoro e collaborazione e quelli che hanno saputo reagire con più efficacia a una situazione straordinaria.
Per oltre due avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro su tre lo Smart Working è una realtà già da prima dell’emergenza, ma sono ancora pochi i dipendenti degli studi coinvolti nei progetti di lavoro agile e messi in condizioni di lavorare in modalità smart. Nel 2019 il 78% dei grandi studi, il 75% di quelli di medie dimensioni, il 65% dei piccoli e il 55% dei micro studi adotta iniziative strutturate o informali di lavoro agile. Quasi tutti gli studi garantiscono orari di lavoro flessibili ai propri professionisti (oltre l’80% in tutte le dimensioni). I grandi studi sono molto attrezzati anche in termini di tecnologie per lavorare in mobilità (88%), flessibilità di luogo di lavoro (il 97% permette di lavorare da casa, il 69% da altri luoghi), organizzazione del lavoro per obiettivi (69%) e ripensamento degli spazi (44%), mentre le piccole e micro realtà – a maggior ragione in questa situazione di emergenza – appaiono in difficoltà perché mediamente più arretrate nell’adozione di prassi lavorative e strumenti in grado di garantire maggiore flessibilità operativa. Gli studi multidisciplinari sono i più evoluti, con il 67% che ha avviato progetti strutturati o informali di smart working, seguiti da avvocati (62%), commercialisti (60%) e consulenti del lavoro (51%).
I professionisti appaiono molto meno avanzati sul fronte del Knowledge Management, la modalità con cui si raccolgono, organizzano e mettono a disposizione internamente ed esternamente le informazioni utili alle attività dello studio. Meno di uno su dieci presenta un sistema di gestione della conoscenza strutturato e formalizzato, e di questi in media solo quattro su dieci affidano queste attività a una figura dedicata, senza differenze marcate fra le categorie professionali e le dimensioni. Oltre metà degli studi non rende pubbliche le informazioni raccolte, con punte del 72% fra i micro studi e gli avvocati, mentre i più aperti sono gli studi multidisciplinari e di grandi dimensioni (rispettivamente il 19% e il 32% le pubblicano sui propri siti e social). Ad eccezione dei grandi studi, che lo fanno nel 50% dei casi, e degli studi multidisciplinari (26%), oltre tre professionisti su quattro non effettuano valutazioni della conoscenza acquisita perché non lo ritengono utile o non sono in grado di farlo.
Sono alcuni dei risultati della ricerca dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, presentata oggi al convegno online “Covid-19, dall’emergenza insegnamenti per il futuro delle professioni”, che ha analizzato un campione di oltre 3.300 studi professionali multidisciplinari, legali, commercialisti e consulenti del lavoro, di grandi (oltre 30 persone), medie (da 10 a 30 persone), piccole (da 3 a 9 persone) e micro (meno di 3 persone) dimensioni per indagare la diffusione di Smart Working e Knowledge Management nelle professioni giuridico-economiche.
“L’emergenza Covid-19 ha messo alla prova, come uno stress test, la capacità degli studi in termini di continuità, trasparenza ed efficienza delle attività e dei servizi offerti ai clienti – afferma Claudio Rorato, Direttore dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale -. Ora più che mai aggiungere nuove tecnologie non basta per essere efficienti, occorrono nuovi modelli organizzativi e nuovi servizi per venire incontro a una domanda che sta cambiando e che l’emergenza sanitaria ha reso ancor più urgente. Smart Working e Knowledge Management diventano strumenti cruciali in mano agli studi per dialogare al meglio con i clienti e predisporre la struttura a rispondere in qualsiasi situazione. Grandi e medi studi si sono già attrezzati in questa direzione, ma le piccole e micro strutture appaiono ancora in ritardo nello sviluppo di nuovi modelli gestionali, esponendosi a un rischio di progressiva autoemarginazione”.
“Lo Smart Working si diffonde fra gli studi appartenenti a tutte le categorie professionali e dimensionali, ma resta ancora soprattutto una prerogativa dei professionisti, mentre i dipendenti non vengono coinvolti in modelli organizzativi più sviluppati – afferma Federico Iannella, Ricercatore dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale -. Dalla ricerca emerge un divario evidente fra studi grandi e multidisciplinari, più avanzati sia sul lavoro agile sia sul Knowledge Management, e le altre categorie, ma anche una criticità comune all’intero campione: la collaborazione con la clientela ha ancora ampi margini di miglioramento, segno di una cultura che ancora non concepisce fino in fondo l’orientamento al cliente come uno dei principali motori dell’evoluzione professionale”.
Lo Smart Working negli studi – Lo smart working è presente nella maggior parte degli studi professionali, ma i progetti strutturati sono numerosi soltanto negli studi di grandi (47% del campione) e medie dimensioni (40%), mentre scendono al 26% fra le micro realtà e al 21% fra le piccole. Il divario aumenta se si considerano i diversi aspetti del lavoro agile: micro, piccoli e medi studi tengono il passo dei grandi solo per quanto riguarda l’orario di lavoro flessibile (tutti oltre l’80%) e la possibilità di lavorare da casa (dal 70% delle micro realtà all’85% delle medie), mentre perdono terreno sul fronte delle tecnologie per lavorare in mobilità (le offre solo il 46% dei micro studi e il 66% dei piccoli, contro il 77% dei medi e l’88% dei grandi) e meno di un terzo prevede obiettivi formalmente assegnati e ripensa gli spazi di lavoro (32% dei piccoli, 28% dei medi e 21% dei micro).
I dipendenti risultano molto meno coinvolti dei professionisti nel nuovo modello di lavoro. Il 69% dei grandi studi ha avviato iniziative di lavoro agile, ma solo il 38% sono strutturate, e la percentuale di persone che ha accesso a un orario di lavoro flessibile (53%), alla possibilità di lavorare da casa (69%) e a tecnologie per lavorare in modalità (69%) o a cui vengono assegnati formalmente degli obiettivi (47%) cala di molte decine di punti rispetto ai valori registrati per i professionisti. Negli studi di medie dimensioni il 58% ha attivato progetti di smart working per i dipendenti, di cui il 25% strutturati e il 33% informali, contro il 39% dei piccoli (11% strutturati e 28% informali) e il 23% dei micro studi (11% strutturati e 12% informali).
Se invece si analizzano le categorie professionali, gli studi più avanzati sono i multidisciplinari, dove progetti strutturati di smart working sono presenti nel 37% del campione e quelli informali nel 30%. Risultano primi anche per obiettivi formalmente assegnati (33%), offerta di tecnologie per lavorare in mobilità (71%), flessibilità di luogo di lavoro (nel 77% è possibile lavorare da casa, nel 52% in altri luoghi) e iniziative di lavoro agile dedicate ai dipendenti (51%, strutturate nel 23% dei casi), anche se per questi ultimi l’offerta di flessibilità e tecnologie è molto più limitata.
Gli avvocati sono la seconda categoria professionale per diffusione di progetti di smart working, ma sono i professionisti con meno iniziative strutturate (presenti solo nel 20% degli studi). La maggior parte degli studi legali concede ai suoi professionisti flessibilità di orario (89%) e la possibilità di lavorare da casa (77%), ma solo poco più della metà (55%, in ultima posizione) mette a disposizione le tecnologie per lavorare in mobilità. Gli avvocati sono i professionisti che meno coinvolgono i propri dipendenti nel nuovo modello di organizzazione del lavoro: solo il 26% attiva progetti per i dipendenti (di cui solo l’8% strutturati), il 13% permette orari di lavoro flessibili, l’11% il lavoro da casa e il 10% le tecnologie necessarie per il lavoro agile.
Circa un terzo dei commercialisti e dei consulenti del lavoro ha avviato iniziative strutturate di smart working (rispettivamente 31% e 33%), il 29% dei primi presenta anche progetti informali, contro il 18% dei secondi. Le due categorie presentano valori simili anche per quanto riguarda la flessibilità di orario (82%) e luogo di lavoro (nel 65% e nel 61% del campione si può lavorare da casa), la presenza di tecnologie per il lavoro agile (59% e 56%) di obiettivi formalmente assegnati (21% e 17%). Nel 39% dei commercialisti e nel 35% dei consulenti del lavoro sono presenti progetti di smart working che coinvolgono i dipendenti (di cui rispettivamente solo il 17% e il 19% strutturati) e mediamente solo uno su tre concede loro la flessibilità e le tecnologie per lavorare in modalità agile.
I professionisti che hanno già attivato progetti di smart working hanno prestato attenzione soprattutto all’introduzione delle tecnologie (72% degli studi multidisciplinari, 70% degli avvocati, 67% dei consulenti del lavoro e 66% dei commercialisti), all’elaborazione delle policy (rispettivamente 29%, 27%, 26%, 20%) e alla condivisione con il personale (26%, 19%, 19%, 23%). I principali obiettivi che guidano l’adozione del lavoro agile sono la conciliazione lavoro-vita privata (indicata dal 54% degli studi multidisciplinari, dal 62% dei legali, dal 62% dei commercialisti e dal 66% dei consulenti del lavoro), l’aumento della produttività (53%, 47%, 40%, 42%) e il miglioramento del benessere (37%, 41%, 37%, 36%).
Ma per gli studi multidisciplinari il work-life balance è solo il terzo beneficio percepito (29%), dietro a maggiore autonomia (39%) e motivazione (30%). Avvocati e commercialisti hanno riscontrato più autonomia (32% e 34%), equilibrio fra vita professionale e privata (30%) e maggiore motivazione (27% e 28%). Per i consulenti del lavoro i benefici più visibili sono maggiore motivazione (32%) ed efficacia sul lavoro (24%). Per avvocati, commercialisti e studi multidisciplinari gli ostacoli da superare per applicare lo smart working sono i timori legati alla sicurezza (rispettivamernte indicati dal 35%, 28% e 31% del campione), seguita dalle attività poco digitali dello studio (29%, 25% e 23%) e dalla scarsa percezione dei suoi benefici (24%, 23% e 20%). I consulenti del lavoro, invece, dopo la sicurezza (30%) e le attività poco digitali (21%), sono frenati soprattutto dalla sensazione che il lavoro agile non sia applicabile alla propria realtà (18%), barriera forte anche fra i legali (23%) e i commercialisti (19%).
Il Knowledge Management negli studi – In meno di uno studio su dieci è presente un sistema di Knowledge Management strutturato: grandi studi e consulenti del lavoro sono i più avanzati, con rispettivamente il 7% e il 6% che ha sviluppato un sistema della conoscenza articolato, seguiti da studi multidisciplinari (5%), commercialisti (4%), micro e piccoli studi (3%), avvocati (2%) e studi medi (1%). Fra questi, un medio studio su due affida la supervisione di queste attività a un team o una figura dedicata, percentuale che scende al 46% fra i grandi studi, al 40% fra avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro e multidisciplinari, al 39% fra i micro e al 37% fra i piccoli studi. La diffusione di sistemi informali è maggiore, ma riguarda sempre meno di uno studio su tre, con grandi e medi studi più numerosi (30% e 27%) e consulenti del lavoro e micro studi più disinteressati (11% e 9%).
Oltre l’80% di micro, piccoli, medi studi, avvocati e consulenti del lavoro, il 76% dei multidisciplinari e il 79% dei commercialisti consulta procedure, manuali e archivi e in media uno studio su tre di queste categorie si rivolge a un professionista di fiducia per raccogliere informazioni. I grandi studi consultano manuali e procedure solo nel 56% dei casi e usano una maggiore varietà di fonti di informazioni: il professionista di fiducia (44%), un gruppo di riferimento all’interno dello studio (38%), documenti predisposti da altri studi (34%). Avvocati e micro studi consultano più spesso blog e forum (34% e 36%).
Le tecnologie più diffuse negli studi sono il sito web, gli archivi organizzati e la intranet di studio, però con differenze marcate fra le dimensioni e le categorie. Il sito web è presente nell’88% dei grandi studi, nel 68% di quelli medi e nel 52% dei multidisciplinari, ma solo nel 45% dei piccoli, nel 43% dei legali e in meno di un terzo di commercialisti (32%), consulenti del lavoro (30%) e micro studi (30%). Il 50% dei commercialisti usa strumenti di e-learning, gli studi multidisciplinari sono la categoria in cui è più diffusa la intranet di studio, un terzo degli avvocati usa document management system.
Gli strumenti organizzativi più presenti nei grandi e medi studi sono le riunioni informative (88% e 64%) e periodiche (72% e 64%). I grandi studi utilizzano anche la condivisione di best practice (66%), percorsi di inserimento (59% e i centri studi (50%). I centri studi sono anche lo strumento organizzativo più usato dai micro studi (38%) e dagli avvocati (42%).
La carenza di tempo è la difficoltà più sentita da tutte le dimensioni e le categorie di studi quando si tratta di organizzare la conoscenza dello studio. Quasi metà dei grandi studi (48%) incontra anche difficoltà di classificazione e identificazione delle conoscenze, le micro strutture sono più sensibili agli ostacoli nel reperire le informazioni (24%) e ai costi delle tecnologie da impiegare (23%), i piccoli studi considerano critiche le loro capacità di usare gli strumenti (34%) e le metodologie per avviare questi progetti (33%), le medie dimensioni percepiscono dei deficit nella classificazione delle informazioni (44%) e nelle metodologie per avviare questi progetti (43%). Per gli studi multidisciplinari incide anche la scarsa capacità di uso degli strumenti (27%), per gli avvocati il metodo di lavoro (30%), per i consulenti del lavoro il reperimento delle informazioni (23%).