Salario minimo: Unimpresa, minimo 1,63 euro in Bulgaria, massimo 11,97 euro in Lussemburgo

 Salario minimo: Unimpresa, minimo 1,63 euro in Bulgaria, massimo 11,97 euro in Lussemburgo

Dagli 1,62 euro della Bulgaria agli 11,97 euro del Lussemburgo, passando dai 10,03 euro della Francia e dai 9,19 euro della Germania. E ancora: in Belgio è di 9,41 euro, in Olanda è di 9,33 euro, in Spagna è fissato a 6,09 euro, nel Regno Unito è pari a 9,54 euro, in Inghilterra è invece pari a 8,21 euro, in Irlanda ha un valore di 9,80 euro. Il salario minimo esiste in tutti gli Stati membri, in alcuni casi è stabilito per legge, in altri dalla contrattazione collettiva: in 21 Paesi esistono salari minimi legali (l’ammontare di tale valore minimo varia in maniera significativa, da 312 euro mensili in Bulgaria a 2.142 euro mensili in Lussemburgo), mentre in sei Stati membri (Danimarca, Italia, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia) la protezione del salario minimo è fornita esclusivamente dai contratti collettivi. È quanto emerge da un paper di Unimpresa secondo cui «posto che la media salariale mensile degli Stati europei è pari a circa 924 euro, se il salario minimo europeo fosse calcolato in base a tale media, non troverebbe mai possibilità di approvazione, in quanto determinerebbe per molti Paesi un incremento insostenibile del costo del lavoro e così la crescita del livello di disoccupazione, l’aumento del lavoro irregolare e la perdita di competitività». Fissando la soglia del salario minimo legale a 9 euro lordi l’ora, il livello retributivo italiano diverrebbe uno dei più elevati fra i Paesi membri, con potenziali gravi ripercussioni e costi assai elevati: i lavoratori coinvolti nell’incremento salariale risulterebbero, infatti, pari a 2,9 milioni, con un aumento retributivo medio annuo di 1.073 euro, con un incremento complessivo del valore di 3,2 miliardi e un costo totale per le aziende stimato attorno ai 6,7 miliardi.

Secondo l’analisi di Unimpresa, il salario minimo orario lordo più elevato in Europa si registra in Lussemburgo ed è pari a 11,97 euro, mentre quello più basso è previsto in Bulgaria e ammonta a 1,62 euro, l’entità del salario minimo orario è quanto mai variabile da paese a paese: quelli in via di sviluppo così come alcuni paesi mediterranei che escono da pesanti crisi economiche hanno salari minimi orari anche significativamente inferiori a 5 euro, mentre i paesi con economie industriali consolidate e più sviluppate si posizionano sopra i 9 euro. Il salario minimo in Francia è fissato in 10,03 euro, in Germania è pari a 9,19 euro, in Belgio è di 9,41 euro, in Olanda è di 9,33 euro, in Spagna è fissato a 6.09 euro, nel Regno Unito è pari a 9,54 euro, in Inghilterra è invece pari a 8.21 euro, in Irlanda ha un valore di 9,80 euro. Sono proprio i paesi caratterizzati da un’elevata copertura della contrattazione collettiva ad avere una minore percentuale di lavoratori a basso salario, una minore disuguaglianza salariale e salari minimi più elevati. Nell’attuale ordinamento normativo italiano, la disciplina dei criteri di calcolo della retribuzione è affidata alla contrattazione collettiva la quale negli anni ha garantito, nella maggioranza dei settori produttivi, un livello minimo di salario soddisfacente e dignitoso, infatti, in Italia, è stata scarsamente avvertita l’esigenza (portata alla ribalta nel 2019 dal Governo giallo-verde) di dotarsi di un salario minimo come accade in altri paesi europei, garantito per legge.

Tale aumento del costo del lavoro avrebbe un impatto negativo principalmente sulle piccole e medie imprese, riducendo drasticamente la competitività soprattutto nei mercati internazionali; gli effetti negativi potrebbero essere, invece, più contenuti per le imprese di grandi dimensioni, tendenzialmente più solide e con maggiori disponibilità economiche. Nei Paesi che hanno già introdotto il salario minimo legale la questione dei lavoratori sottopagati e la diffusione di pratiche illegali sono, purtroppo, ancora presenti e ciò nonostante l’incremento dei controlli tecnologici sui dati stipendiali fino ad arrivare all’applicazione di pratiche come il name and shaming con cui si denunciano pubblicamente le aziende che non rispettano i minimi salariali legali.

«A qualunque livello fosse fissato, il salario minimo in Italia inciderebbe, in misura particolare, sulle piccole e piccolissime imprese del Mezzogiorno; con conseguenze che non è difficile immaginare: riduzione di manodopera oppure, in alternativa, ulteriore ricorso al “sommerso”. In Italia, la determinazione dei salari è rimessa alla contrattazione collettiva e, si ribadisce, il modello italiano di relazioni sindacali è caratterizzato da un elevato livello di pluralismo organizzativo per ciascun settore produttivo, sia dal lato dei lavoratori sia da quello dei datori di lavoro; pertanto, per il legislatore al fine di conformarsi alla direttiva europea può fare riferimento ai contratti collettivi nazionali» commenta il consigliere nazionale di Unimpresa, Marco Pepe. «Le differenze nella determinazione del salario minimo all’interno dei paesi dell’Unione europea sono, di tutta evidenza, sia a livello economico-sociale complessivo (costo della vita, produttività, competitività e sviluppo), sia a livello giuslavoristico tanto in relazione alle componenti della retribuzione quanto all’orario di lavoro e, partendo da tale situazione l’individuazione di un valore monetario unico, efficace, efficiente e congruo in tutta Europa, appare pressoché utopistica» «Infatti, posto che la media salariale mensile degli Stati europei è pari a circa 924 euro, se il salario minimo europeo fosse calcolato in base a tale media, non troverebbe mai possibilità di approvazione, in quanto determinerebbe per molti Paesi un incremento insostenibile del costo del lavoro e così la crescita del livello di disoccupazione, l’aumento del lavoro irregolare e la perdita di competitività. Diversamente, se la soglia venisse fissata a un livello decisamente più basso, gli Stati economicamente meno sviluppati manterrebbe un certo spazio di manovra per portarsi al livello stabilito, ma con il rischio di una contrattazione al ribasso per i lavoratori dei Paesi più ricchi rispetto ai Paesi che ricchi lo sono meno» spiega Pepe.

Di seguito alcuni esempi di rinnovi contrattuali nazionali siglati da Unimpresa. 

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