Reati fiscali: escluso il sequestro per stipendi e pensioni
Un’importante e recente sentenza della Suprema Corte ha stabilito che il sequestro per la futura confisca per equivalente, disposto in caso di reato fiscale, non può riguardare le somme spettanti all’imputato a titolo di stipendio, salario, pensione o altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, in quanto impignorabili ai sensi dell’articolo 545 del codice di procedura civile.
La decisione è intervenuta a seguito del ricorso proposto da una contribuente, estranea al fatto illecito contestato, la quale aveva visto sequestrata la disponibilità giacente su un conto bancario cointestato con il rappresentante legale di una società a responsabilità limitata, indagato per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di false fatture (art. 2 del D.Lgs. n.74 del 2000).
La ricorrente aveva dedotto, tra l’altro, che il conto in questione fosse alimentato da rimesse derivanti dalla propria pensione e che, pertanto, tali somme erano impignorabili. Il Tribunale del Riesame di Roma, tuttavia, aveva rigettato la richiesta di dissequestro, ritenendo che i versamenti sul conto fossero costituiti anche da somme provenienti dalla società che aveva commesso il reato tributario e che, comunque, spettava alla ricorrente provare concretamente la diversa natura delle somme sequestrate.
La Corte di Cassazione, invece, ha accolto il ricorso, rilevando, in primo luogo, che il provvedimento cautelare poteva essere legittimamente impugnato da un terzo, in quanto lesivo di un suo diritto soggettivo. In particolare, gli ermellini chiariscono che “Deve preliminarmente darsi atto della circostanza che, pur essendo il ricorso presentato da soggetto che si professa terzo rispetto alla indagine penale nell’ambito della quale è stata emessa la misura cautelare impugnata, lo stesso è stato, dal punto di vista formale, correttamente introdotto”.
La Corte ha anche richiamato il recente orientamento, espresso dalle Sezioni Unite (sentenza n. 26252 del 2022), secondo cui il terzo ricorrente, avverso il provvedimento cautelare, può censurare anche la sussistenza dei presupposti del fumus commissi delicti e del periculum in mora, in precedenza negata. “..il tema della possibilità negata… da parte del terzo ricorrente di articolare le proprie censure avverso il provvedimento cautelare con riferimento anche alla sussistenza del fumus delicti e del periculum in mora, tematica questa che è stata di recente oggetto di una significativa rivisitazione”.
Entrando nel merito della questione, invece, la Corte ha affermato che i limiti di impignorabilità delle somme spettanti a titolo di stipendio, salario o altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute per licenziamento, nonché a titolo di pensione o altre indennità previste dall’ordinamento civile, si applicano anche al sequestro e alla confisca per equivalente ai fini penali, in quanto si tratta di misure che incidono sul patrimonio del debitore e, dunque, sono sottoposte al rispetto del principio di proporzionalità. “… in tema di sequestro preventivo, funzionale alla confisca del prezzo o del profitto del reato, eseguito su conto corrente cointestato all’indagato e a soggetto terzo, è necessario accertare la derivazione del denaro dal reato e la sua provenienza dall’indagato dovendosi verificare, anche solo a livello indiziario, se e in che misura il conto sia stato alimentato con risorse derivanti da rimesse operate dal terzo (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 1 luglio 2020, n. 19766) – debba, necessariamente e convenientemente, coniugarsi con la normativa, dettata in materia di processo esecutivo civile ma ritenuta rilevante e applicabile anche in sede penale, la quale pone dei limiti alla ablazione forzosa dei trattamenti pensionistici.”
Ne consegue che, nel caso di specie, essendo pacifico che sul conto erano affluite rimesse derivanti da crediti pensionistici della ricorrente, la misura cautelare avrebbe dovuto essere limitata ai soli importi aventi natura differente da tali somme, pena l’illegittimità del provvedimento. Per questi motivi, la Corte ha annullato il provvedimento impugnato e rinviato al Tribunale del Riesame per l’applicazione dei predetti principi.
Concludono quindi i giudici della Suprema Corte “… considerato che nel provvedimento emesso dal Tribunale di Roma – nel quale pur si dà atto che, quanto meno, per una parte le somme confluite sul conto corrente bancario intestato ai coniugi sono costituite da rimesse derivanti da trattamenti pensionistici a quest’ultima riferiti – tale fattore, come detto invece decisivo ai fini della confiscabilità delle somme di danaro (e, pertanto, anche alla loro sequestrabilità ove la misura sia strumentale alla confisca), non è stato adeguatamente considerato né ai fini dell’eventuale limitazione della somma sequestrabile al solo attivo finanziario esulante rispetto alle indicate causali né ai fini della dimostrazione della ritenuta irrilevanza del descritto fattore nell’ambito della presente controversia, il provvedimento impugnato deve essere annullato”.
Dott.ssa Giulia Frisenda
Avv. Matteo Sances
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