Rating Italia: Race (Competere.EU): l’Italia corre più dei competitor. La resilienza economica dell’Italia è spiegata anche da ragioni strutturali, non solo da fattori congiunturali
“La resilienza dell’Italia è il frutto di una struttura produttiva meno dipendente dalle catene del valore globali, in particolare quelle più colpite nell’ultimo biennio, ma anche di una ricostruzione del sistema produttivo che è stata forgiata dalle crisi vissute negli ultimi quindici anni, a partire da quella finanziaria internazionale del 2008, e che ha consentito la sopravvivenza delle imprese più solide. Non tenerne adeguatamente conto può portare le istituzioni internazionali e le agenzie di rating a sottostimare la capacità dell’Italia e a venire poi smentite dai dati effettivi dell’economia reale”.
Lo dichiara il segretario generale di Competere.EU (www.competere.eu) nel presentare il position paper del think tank pubblicato oggi. Race è anche uno dei rappresentanti italiani del B20, il business forum delle “Confindustrie” del G20.
“Nelle ultime settimane – spiega Race – si è discusso molto della valutazione del rating sovrano da parte delle principali agenzie internazionali, una valutazione che ha un impatto decisivo sulla credibilità del Paese e sull’attenzione che può generare presso gli investitori internazionali. Normalmente questo momento cruciale era molto temuto; questa volta, però, è diverso perché la situazione economica dell’Italia è migliore di quanto non lo fosse in passato.
Nella fase di ripresa post-pandemica il nostro Paese, infatti, sta mostrando una buona capacità di recupero, evidenziando anche una maggiore resilienza rispetto a quanto osservato negli altri principali competitor europei (in primis Francia e Germania).
I principali previsori internazionali sono stati costretti a rivedere frequentemente al rialzo le stime di crescita dell’Italia, che ha saputo gestire le difficoltà di un contesto internazionale caratterizzato da un’estrema incertezza, da importanti strozzature delle catene globali del valore, da problemi legati alle forniture di gas (l’Italia è uno dei paesi più dipendenti dal gas russo), oltre che da questioni più strettamente geopolitiche conseguenti al conflitto russo-ucraino.
Nelle scorse settimane sia il Fondo Monetario Internazionale sia la Commissione Europea, che non sono mai stati molto morbidi col nostro Paese, hanno corretto le precedenti valutazioni sulla crescita del PIL italiano, innalzandole. In particolare, la Commissione Europea ha stimato una variazione del PIL dell’1,2% per il 2023 – andando anche oltre le previsioni del Governo pubblicate nel DEF di aprile – e migliorandole rispetto allo 0,6% di febbraio e, addirittura, allo 0,3% previsto in autunno.
I numeri di contabilità nazionale- è scritto nel position paper – descrivono un dato di fatto incontrovertibile: una crescita nell’ultimo biennio che ha più che compensato la caduta del 2020, un forte sostegno degli investimenti, non solo in costruzioni. Per meglio interpretare questi andamenti è necessaria una lettura integrale che unisca a fattori di natura congiunturale anche elementi più strutturali”.
Fondamentale scardinare falsi miti che tendono a screditare l’Italia agli occhi di molti investitori internazionali e limitano l’attrazione degli investimenti dipingendo un’immagine distorta dell’Italia
“Le leadership industriali e le caratteristiche uniche della nostra economia- spiega Race- impongono di lavorare insieme come ‘sistema paese’ per scardinare certi falsi miti che tendono a screditare l’Italia agli occhi di molti investitori internazionali.
Una strategia di comunicazione efficace, precisa e capillare finalizzata a fare conoscere meglio l’Italia fuori dai confini nazionali, aiuterebbe a migliorare la reputazione e a render giustizia al nostro Paese.
Una campagna che accenda i riflettori sui punti di forza e che sia da sprone anche ad Invitalia per fare ancora di più rispetto a quanto fatto negli ultimi anni.
Qualcosa che vada al di là dei classici road show messi in campo negli anni dal Dipartimento del Tesoro del MEF per vendere il nostro debito pubblico.
Potrebbe essere realizzata dal Governo, in collaborazione con le associazioni di categoria come, tra le altre, Abi, Confindustria, Ance, Confcommercio, Coldiretti e Confagricoltura e le principali istituzioni finanziarie, a partire da Intesa Sanpaolo, Unicredit e Generali.
Un’iniziativa di questo tipo, infine, contribuirebbe- conclude Race a portare in Italia nuovi investitori esteri che rappresentano una risorsa importante, in grado di rafforzare la qualità del tessuto produttivo e il posizionamento della nostra industria lungo le filiere globali internazionali”.
L’Italia dei tanti primati
“La manifattura italiana – spiega Race – occupa ancora la settima posizione al mondo per valore aggiunto, una posizione particolarmente elevata, tenuto conto delle dimensioni (sia in termini di territorio che di popolazione) rispetto alle più grandi economie globali. E fa bene Confindustria a rivendicarlo.
Inoltre, pochi sanno che il nostro sistema produttivo è terzo al mondo per diversificazione produttiva: sempre Confindustria ha calcolato che esportiamo 4728 prodotti, come la Germania e siamo indietro, di poco, solo al Regno Unito. Una maggiore diversificazione produttiva è il riflesso della capacità dei nostri imprenditori di rispondere a una domanda globale che varia rapidamente, di sfruttare le opportunità in termini di capitale umano e di competenze artigianali, di investire in impianti e macchinari che consentano di produrre beni anche molto diversi tra loro.
L’Italia, infatti, realizza prodotti finiti e componenti che spaziano da quelli più tecnologici (aerospazio, microelettronica) a quelli tradizionali del Made in Italy (alimentare, tessile, abbigliamento, mobili etc..). ln termini di export, un altro punto di forza del Paese, l’Italia è tra i principali esportatori al mondo (con una quota dell’export pari al 30% del PIL), in seconda posizione per competitività dell’export, con eccellenze in svariati produzioni e leadership globali in nicchie di mercato. La nostra industria mostra un tasso d’investimento che è superiore a quello dei principali competitor europei, Germania inclusa. Ciò consente di produrre beni di più alta qualità e con contenuto tecnologico anche elevato.
L’Italia, infatti, non esporta solo prodotti “tradizionali”, come nella convinzione di molti osservatori internazionali. Per esempio, è il quinto Paese al mondo per valore delle esportazioni nel settore dell’aerospazio.
In un mondo che va verso una transizione ecologica- prosegue Race- dove i sistemi economici devono sempre più essere sostenibili dal punto di vista ambientale, l’Italia mostra una posizione di leadership: infatti, il nostro è il Paese con il più alto tasso di riciclo sul totale dei rifiuti speciali e urbani (79,4%), con un valore molto più alto rispetto alla media europea (48,6%) e a quello di Germania (69,1%), Francia (66,2%) e Spagna (48,7%). Secondo stime della fondazione Symbola, ciò consente di ridurre le emissioni annuali di circa 23 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e di 63 milioni di tonnellate equivalenti di CO2. L’industria manifatturiera italiana, grazie all’apporto di materie seconde provenienti dal recupero nazionale a cui si aggiungono materie seconde di importazione e quelle provenienti dal recupero interno, raggiunge un tasso di circolarità (ovvero il rapporto tra materie seconde da riciclo e totale delle materie – prime e seconde – impiegate) pari a circa il 50%.
Se si guarda all’aspetto culturale, il nostro Paese è primo al mondo per numero di siti “patrimonio dell’umanità”: su 1154 siti riconosciuti dall’UNESCO in 167 Paesi del mondo, ben 58 sono in Italia, seguono Cina (con 56), Germania (con 51), Francia e Spagna (entrambe con 49).
L’Italia è prima in Europa per prodotti agroalimentari e vitivinicoli registrati e protetti: con 842 denominazioni 581 DOP, 257 IGP, 4 STG. Seguono Francia (696), Spagna (344), Grecia (260) e Portogallo (182). I prodotti DOP e IGP contribuiscono al 21% dell’export del settore agroalimentare italiano, che nel 2021 ha realizzato il record storico nelle esportazioni per un valore vicino ai 52 miliardi (+11%).
Last but not least, l’Istat- spiega Race nel Position Paper del think tank- ha calcolato la ricchezza netta delle famiglie italiane e segnalato che nel 2021 valeva circa dieci mila miliardi di euro, vale a dire più di cinque volte il valore del Pil nazionale, e quasi nove volte il reddito disponibile. Un dato, quest’ultimo, che rende le famiglie italiane tra le più frugali al mondo: il rapporto tra ricchezza netta e reddito disponibile è più alto rispetto a quello osservato in Francia, in Canada, in Germania, nel Regno Unito e negli Stati Uniti e rappresenta un asset su cui potere fare leva nei momenti di crisi e perdita di potere d’acquisto, come quello attuale a causa dell’elevata inflazione”.