Rapporto Censis sull’avvocatura: in difficoltà 7 professionisti su 10
Gli italiani e la giustizia nell’anno del Covid. Il 14,4% degli italiani (7,2 milioni di persone) si è rivolto a un avvocato nell’anno del Covid. Le richieste hanno riguardato soprattutto le controversie legate alla casa, al condominio e in generale alla proprietà (il 28,3% dei casi), seguono il lavoro, la previdenza e l’assistenza (20%), al terzo posto sinistri, infortuni e risarcimenti (11,7%), poi le questioni penali (6,2%) e i problemi fiscali e tributari (6,2%), il recupero dei crediti (6,2%), la responsabilità medica e sanitaria (6,2%). Si può stimare una domanda potenziale, costituita da chi ha dovuto rinunciare ai servizi professionali di un avvocato, pari al 5,6% di italiani: 2,8 milioni di persone. A motivare la rinuncia ci sono innanzitutto le difficoltà incontrate a causa delle restrizioni per il contenimento della pandemia (per il 24,6% di chi ha rinunciato), poi i costi legati all’avvio della procedura (21,1%). È quanto emerge dal «V Rapporto Censis sull’avvocatura italiana» realizzato per la Cassa Forense.
L’avvocato online. Chi si è rivolto a un avvocato nel corso del 2020 lo ha fatto online nel 48,3% dei casi, il 33,1% attraverso una modalità ibrida, con incontri presso lo studio del professionista e interazioni a distanza.
La riforma della giustizia prima di tutto. Lo scontento nei confronti del sistema giustizia dipende innanzitutto dai tempi lunghi per arrivare a un giudizio definitivo (per il 15,8% di chi rinuncia) e dalla sfiducia nei confronti della magistratura e nel funzionamento della giustizia (14%). Nella percezione del 27% degli italiani, le difficoltà dei professionisti dipendono dall’eccesso di norme e dalla bassa qualità di quelle vigenti. Il 35% considera prioritaria la riforma della giustizia per fare uscire il Paese dalla crisi economica. E il 22,3% vede come una opportunità la crescente rilevanza giuridica in materie nuove come la privacy, il commercio online, la tutela dell’ambiente, i nuovi diritti di individui e famiglie (famiglie non tradizionali, procreazione assistita, discriminazioni, ecc.).
Il lento recupero dei redditi degli avvocati bloccato dal Covid. Il reddito professionale medio dichiarato dagli iscritti alla Cassa Forense è di 40.180 euro nel 2019. Si confermano le differenze che penalizzano le donne (dichiarano un reddito medio che si ferma al 62,5% di quello medio complessivo), i professionisti più giovani (bisogna varcare la soglia dei 50 anni per raggiungere il livello di reddito medio complessivo) e quelli residenti nelle regioni meridionali (dove lo scarto rispetto al dato medio nazionale è di oltre 16.000 euro, ovvero di 40 punti percentuali, ed è di oltre 33.000 euro rispetto al Nord del Paese). Nel lungo periodo si osserva un continuo ridimensionamento del reddito medio degli avvocati fino al 2014, poi c’è stata una ripresa, più sostenuta negli ultimi due anni: nel 2019 l’incremento è stato di poco inferiore al 2% rispetto all’anno precedente. Ma poi la risalita è stata interrotta dall’emergenza sanitaria.
L’impatto dirompente della pandemia sulla professione. Secondo l’indagine del Censis, realizzata su un campione di più di 14.000 avvocati, oggi la situazione lavorativa risulta critica per più di 7 professionisti su 10: per il 32,9% sono aumentate le difficoltà e l’incertezza, il 39,5% cerca di sopravvivere nonostante il contesto non lasci ben sperare. La condizione di maggiore criticità riguarda le professioniste donne (il 37,5%) e gli avvocati residenti al Sud (43,2%). Tra l’altro, il 2020 può essere ricordato anche come l’anno del sorpasso delle donne iscritte alla Cassa Forense sugli avvocati uomini. Rispetto all’andamento del fatturato, si osserva l’interruzione del percorso di recupero intrapreso negli anni 2018 e 2019, quando la quota di avvocati che avevano visto crescere il valore delle proprie prestazioni sfiorava il 30%. Oggi la percentuale è scesa al 23,1%. Aumenta di conseguenza la quota di chi valuta molto critica la propria condizione lavorativa (quasi 10 punti in più nel 2020 rispetto al 2019) e si riducono le aspettative positive: solo il 29,9% degli avvocati confida in un miglioramento negli anni a venire.
Il bonus Covid e le misure di sostegno. L’accesso al Reddito di ultima istanza (bonus Covid di marzo e aprile per i professionisti) ha riguardato una platea di avvocati pari al 61,5% del campione dell’indagine. Il 7,9% ha fatto richiesta del bonus baby sitter (la percentuale sale all’11,9% nel caso delle donne avvocato) e il 3,5% ha usufruito della sospensione del pagamento delle rate di mutui e finanziamenti.
Lavoro a distanza e chiusura dei tribunali. L’opzione del lavoro a distanza in maniera esclusiva ha riguardato il 29,6% degli avvocati, il 43,2% ha cercato di trovare un equilibrio tra la presenza in studio e il lavoro da remoto, il 15,9% ha continuato a recarsi presso lo studio. Tra gli aspetti che hanno condizionato negativamente l’attività professionale durante la pandemia ci sono: la chiusura dei tribunali e la sospensione dell’attività giudiziaria (per il 34,6%), la riduzione delle entrate economiche (30,7%), le difficoltà legate all’organizzazione familiare e alla conciliazione con il lavoro (8,2%), il rapporto con gli assistiti (6,6%), le criticità riscontrate nei contatti con le amministrazioni pubbliche (5,2%).
Questi sono i principali risultati del «V Rapporto Censis sull’avvocatura italiana», realizzato dal Censis per la Cassa Forense.