- Fiducia sull’economia mondiale: il 64% dei CEO italiani (vs 58% global) prevede una crescita economica nei prossimi 12 mesi
- Occupazione: il 45% dei CEO italiani prevede nuove assunzioni nel 2025 (vs 42% global)
- Sostenibilità economica: più della metà dei CEO italiani (vs il 42% global) ritiene che la propria azienda non sarà sostenibile oltre i prossimi 10 anni
- GenAI: per 6 CEO italiani su 10 (vs. 49% a livello globale) gli investimenti in questa tecnologia aumenteranno la redditività aziendale nel prossimo anno
- Rischi della GenAI: solo l’1,6% dei CEO italiani (vs 5% global) dichiara di non fidarsi dell’integrazione dell’IA nei processi della propria azienda
- Benefici della GenAI: oltre il 40% dei CEO (vs oltre il 50% global) ha avuto benefici in termini di efficienza, redditività (26% Italia vs 34% global) e fatturato (30% Italia vs 32% global)
- Rallenta il climate-friendly: nel 2024 solo il 20% dei CEO italiani (vs. 33% a livello globale) riporta un aumento dei ricavi dalla vendita di prodotti/servizi a seguito di investimenti sostenibili
Secondo i risultati della 28° Annual Global CEO Survey di PwC, che ha intervistato 4.701 CEO in 109 Paesi e territori, di cui 122 italiani, emerge ottimismo per la crescita economica globale nel 2025, ma anche preoccupazione per la sostenibilità a lungo termine della propria azienda.
Il 64% dei CEO italiani prevede infatti che la crescita economica mondiale aumenterà nei prossimi 12 mesi (in aumento rispetto al 43% del 2024 e al 27% di due anni fa). In crescita anche il dato a livello globale, con il 58% dei CEO ottimisti verso il prossimo anno (in aumento dal 38% dell’anno scorso e dal 18% di due anni fa).
A livello globale si riscontra un ottimismo dei CEO in ambito macroeconomico, probabilmente guidato dall’attenuarsi dell’inflizione e della volatilità macroeconomica.
Meno diffusa invece la fiducia nella crescita economica nazionale, prospettata solo dal 43% degli intervistati italiani. Dato comunque più positivo di quello registrato in Germania (dove solo il 16% degli intervistati ha espresso fiducia per la crescita economica del paese) e Francia (24%). Più positivi i CEO di UK (61%), Spagna (72%), e USA (66%).
Si mantiene alta la fiducia dei CEO italiani rispetto alla crescita della propria azienda: oltre il 64% si attende un aumento del fatturato nei prossimi 12 mesi (vs 74% global) e l’80% in quella a tre anni (vs 84% global).
Occupazione: il 45% dei CEO italiani prevede nuove assunzioni nel 2025
Il 45% dei CEO italiani (vs 42% global) si aspetta inoltre di aumentare il numero di dipendenti nel 2025, mentre solo il 9% prevede di effettuare tagli all’organico (vs 17% global). Tuttavia, in linea con il sondaggio dello scorso anno, più della metà dei CEO italiani ritiene che, con il percorso attuale, la propria azienda non sarà più economicamente sostenibile entro dieci anni.
Ai CEO italiani è stato chiesto quanto si percepissero in vantaggio o meno rispetto ai propri competitor europei su diversi aspetti che definiscono la competitività sul mercato delle aziende.
Gli aspetti di maggior vantaggio competitivo sono la cultura organizzativa flessibile, aperta e orientata al cambiamento (58%), la proattività verso la ricerca e l’innovazione (55%) e l’abilità nel promuovere il marchio aziendale (44%). I CEO dichiarano, invece, uno svantaggio sulla tassazione (46%), sulla trasformazione digitale all’interno dell’azienda e sulla capacità di entrare in nuovi mercati.
Lo skill gap in Italia preoccupa più della volatilità macroeconomica e dell’inflazione
Le competenze sono una priorità sia per i CEO italiani sia globali. Al primo posto tra le minacce individuate per il prossimo anno (35% Italia) c’è la mancanza di competenze chiave del personale, a cui si sente particolarmente esposto più di un terzo delle aziende italiane (vs 23% global).
Lo skill gap in Italia preoccupa più della volatilità macroeconomica e dell’inflazione. Questo fenomeno riguarda soprattutto settori emergenti come l’intelligenza artificiale e la cybersecurity.
Sebbene la maggior parte dei CEO sia ottimista sull’andamento dell’economia globale, infatti, la volatilità macroeconomica (29%) e l’inflazione (27%) rimangono i principali rischi, ma con chiare differenze nei rispettivi territori. Il conflitto geopolitico è visto come il rischio maggiore in Medio Oriente (41%) e nell’Europa centrale e orientale (34%). Nell’Europa occidentale, i rischi informatici (27%) preoccupano maggiormente della mancanza di personale qualificato (25%) e dell’inflazione (24%), con al primo posto la volatilità macroeconomica (29%). L’inflazione è la preoccupazione principale in Africa (39%), mentre il Nord America e l’Asia-Pacifico danno priorità ai rischi in linea con le medie globali.
I CEO sono ottimisti sulla GenAI, ma vogliono risultati concreti
Cresce l’ottimismo verso il futuro: il 60% dei CEO italiani si aspetta che la GenAI aumenti la redditività della propria azienda nei prossimi 12 mesi (vs 49% global e 36% del 2024).
Nettamente al di sotto della media globale è infatti la percentuale di CEO italiani che dichiara di non fidarsi dell’integrazione dell’IA nei processi della propria azienda (1,6% vs. 5%). Solo l’anno scorso, la percentuale di CEO che vedeva nell’IA un fattore di aumento del rischio in termini di sicurezza era il 19%. Oltre il 40% di loro ha sperimentato negli ultimi 12 mesi un miglioramento dell’efficienza propria e dei dipendenti.
Secondo i risultati della 28° CEO Survey, non si riscontra una riduzione delle opportunità di lavoro nell’economia globale a causa della GenAI. Al contrario, i CEO mondiali affermano come la GenAI abbia aumentato l’organico invece che diminuirlo (17% contro 13%).
Solamente l’11% dei CEO italiani intervistati ha registrato negli ultimi 12 mesi una riduzione dell’organico della propria impresa, a fronte di una grande maggioranza (65%) che afferma di non aver sperimentato alcun cambiamento e del 18% che riporta un’espansione.
Benché i CEO siano consapevoli del potenziale che l’investimento in tecnologie innovative ha per il futuro e la sostenibilità del business, l’integrazione dell’intelligenza artificiale nelle realtà aziendali italiane è lontana dall’essere compiuta (solo il 5% delle imprese con 10 o più addetti utilizza tecnologie basate sull’IA, contro una media europea dell’8%).
Guardando al futuro, quasi la metà dei CEO a livello globale vede l’integrazione dell’IA (inclusa la GenAI) nelle piattaforme tecnologiche, nei processi aziendali e nei flussi di lavoro come priorità per i prossimi tre anni.
Una percentuale più ridotta sta pianificando di utilizzare l’IA per sviluppare nuovi prodotti e servizi o per ridisegnare la propria core business strategy. Sorprendentemente, solo un terzo dei CEO sta pianificando di integrare l’IA nella propria strategia di sviluppo delle competenze e della forza lavoro. Le priorità per i CEO italiani sono le stesse ma con percentuali generalmente più ampie specie per ciò che concerne l’integrazione nelle piattaforme tecnologiche (61% vs. 47% a livello globale).
Priorità per la sostenibilità a 10 anni: ridisegnare il modello di business
Il 56% dei CEO in Italia (e il 42% a livello globale) afferma che la propria azienda non sarà sostenibile oltre i prossimi 10 anni, se prosegue sul percorso attuale.
Saper cogliere il potenziale del cambiamento tecnologico si rivela essenziale per la sostenibilità economica a lungo termine dell’azienda. Chi ritiene che il proprio modello di business sia sulla giusta strada per mantenersi oltre i prossimi 10 anni individua nell’evoluzione tecnologica il fattore chiave per lo sviluppo aziendale.
La difficoltà nell’implementazione del cambiamento tecnologico emerge come seconda causa di insostenibilità del business nel medio-lungo periodo per le aziende italiane.
Le competenze delle risorse umane rappresentano un pilastro fondamentale per la sostenibilità e il successo aziendale, e la capacità di colmare lo skill gap non è solo una questione strategica, ma una condizione indispensabile per rispondere alle sfide del presente e garantire la competitività nel futuro.
Il 69% dei CEO in Italia riferisce di aver intrapreso almeno un’azione significativa per cambiare il modo in cui la propria azienda crea, distribuisce e cattura valore (vs. 63% a livello globale). Le azioni più comuni sono lo sviluppo di prodotti o servizi innovativi e i cambiamenti per raggiungere nuovi gruppi di clienti.
Tuttavia, il ritmo di ridefinizione del modello di business per le aziende italiane rimane lento e la maggior parte delle aziende manca di agilità. I CEO che hanno intrapreso più azioni di trasformazione del proprio modello di business riportano un EBITDA margin più alto, ma serve una strategia che acceleri il cambiamento e permetta di cogliere tutte le possibilità di crescita insite in esso.
Per innovare il proprio modello di business è necessario che le aziende siano agili e flessibili nel riallocare le risorse da un’attività ad un’altra, soprattutto quando si vuole investire in business e mercati nuovi. La maggior parte delle aziende manca però di agilità: circa il 60% dei CEO italiani afferma di riassegnare il 10% o meno delle risorse umane di anno in anno (vs 55% global), e il 54% di riallocare le risorse finanziarie (vs. 47% a livello globale). Più di due terzi dei CEO in Italia e nel mondo dichiarano di riallocare meno del 20%, un risultato simile a quello del sondaggio dell’anno scorso.
Rallenta il climate-friendly
Alla richiesta di valutare l’impatto sui risultati aziendali dei propri investimenti climate-friendly negli ultimi cinque anni, oltre due terzi dei CEO italiani dichiara di non avere ancora sperimentato un impatto significativo sui risultati aziendali.
Benché dai risultati emerga che questi investimenti abbiano circa sei volte la probabilità di aumentare i ricavi, solo il 20% dei CEO italiani (vs 33% global) ha avuto una crescita di questi ultimi, e il 69% non ha riscontrato effetti sui ricavi (vs 56% global).
Rispetto all’anno scorso, inoltre, si è registrata una netta diminuzione di chi ha accettato tassi di rendimento inferiori al fine di realizzare investimenti sostenibili, l’anno scorso i CEO italiani disponibili ad un minore rendimento erano il 39% (vs 41% global), quest’anno solo 21% (vs 25% global).
Il ritardo registrato per l’Italia potrebbe dipendere da normative particolarmente complesse dovute ad un’incoerenza tra regolamenti locali e nazionali o a improvvise modifiche della legislazione. La complessità normativa è il principale ostacolo all’azione a favore del clima per i CEO italiani (29% vs 24% global). Il secondo fattore d’intralcio all’implementazione di investimenti climate-friendly è il ridotto interesse che gli stakeholders esterni mostrano per queste iniziative (26% vs 20% global). Segue il minor rendimento degli investimenti climate-friendly, che è indicato dal 18% dei CEO a livello globale, e dal 16% a livello italiano.
Conclusioni
Come sarà l’economia mondiale nel 2035? La risposta dipenderà in gran parte da come governi, aziende e società civile risponderanno all’opportunità storica rappresentata dall’IA e all’imperativo di trasformazione imposto dalla complessità del contesto in cui operiamo (nuovi equilibri geopolitici, cambiamento di prospettiva di clienti e investitori, transizione green, skill gap). Le aziende più propense a prosperare in futuro sono quelle che agiscono ora sia per comprendere come queste forze rimodelleranno il proprio settore, sia per reimmaginare i modelli di business, le operazioni, l’uso della tecnologia e dell’energia, e soprattutto il mondo in cui prendono le decisioni e guidano le persone all’interno della propria azienda.
Andrea Toselli, Presidente e Amministratore delegato di PwC Italia, conclude: “Dalla CEO Survey di quest’anno emerge un panorama complesso per le aziende e le sfide che le attendono, caratterizzato da un equilibrio tra ottimismo e realismo. Per crescere, è fondamentale che i leader agiscano ora, prendendo decisioni coraggiose su strategie che coinvolgono persone, catena di fornitura e modelli di business. L’Intelligenza Artificiale rappresenta una tecnologia dirompente, ma per sfruttarne il potenziale è essenziale comunicare una visione chiara della trasformazione in atto. Le aziende italiane stanno investendo in tecnologie emergenti, ma la trasformazione richiede un approccio integrato che consideri infrastrutture, competenze e aree di integrazione tecnologica. È cruciale che il sistema Paese supporti le aziende nel realizzare questi cambiamenti, garantendo un futuro sostenibile e prospero”.