Una nuova ondata di protezionismo americano
L’amministrazione Trump ha rilanciato con forza la strategia dei dazi, un tassello cruciale del suo piano per fa rifiorire la manifattura americana. Il 12 marzo, con le Proclamations 10895 e 10896, sono entrati in vigore dazi del 25% su acciaio, alluminio e prodotti collegati. L’obiettivo? Proteggere l’industria interna e frenare la sovrapproduzione globale, che secondo l’OCSE potrebbe arrivare a 630 milioni di tonnellate entro il 2026.
Il 2 aprile sono state introdotte nuove tariffe “reciproche”, ovvero misure daziarie contro i Paesi che applicano dazi agli USA. Come ha sintetizzato lo stesso Trump: «Se loro li mettono a noi, noi li mettiamo a loro». Queste tariffe variano in base al partner commerciale: 20% all’Unione Europea, 34% alla Cina, 25% alla Corea del Sud, fino al 46% al Vietnam, superando di parecchio i dazi che questi Paesi impongono agli Stati Uniti.
E non finisce qui: dal 3 aprile, tutte le auto straniere e vari componenti fondamentali – dai motori ai semiconduttori – sono soggetti a un ulteriore dazio del 25%. Un’azione che impatta oltre 600 miliardi di dollari di importazioni.
Non è più una questione di principio o diplomazia: le imprese devono fare i conti con margini compressi, catene di fornitura interrotte e mercati strategici messi in discussione.
Le principali criticità per le aziende dell’UE
- Aumento dei costi – I dazi vengono spesso assorbiti, almeno in parte, dall’esportatore. In molti settori, il passaggio diretto al cliente finale non è praticabile senza perdere competitività.
- Pressione sui margini – L’impatto può ridurre drasticamente la profittabilità delle vendite verso gli USA, specialmente in settori a bassa elasticità di prezzo.
- Rischio inflazione e instabilità – L’incertezza commerciale genera tensioni anche sui cambi e sulle condizioni di accesso al credito, con riflessi più ampi sul business europeo.
Secondo BCE e ISPI, i nuovi dazi potrebbero far perdere tra 0,3 e 0,5 punti di PIL all’eurozona, con effetti più gravi per Paesi esportatori come Germania e Italia. Un ritorno al protezionismo su scala globale avrebbe costi sistemici: supply chain compromesse, perdita di competitività e calo degli investimenti diretti esteri.
L’Europa non reagisce? Le imprese sì
Dal canto suo, l’Unione Europea sembra esitante. Le contromisure previste per il 1° aprile sono slittate al 15, nella speranza di riaprire un dialogo diplomatico, basato sull’offerta di dazi zero reciproci per i prodotti industriali. Ma in un contesto come questo, l’inerzia può diventare pericolosa. Il tempo delle mezze misure è finito: servono azioni coordinate, una visione strategica condivisa e politiche commerciali capaci di rispondere con fermezza, ma anche con intelligenza.
4 mosse chiave per reagire oggi
Anche senza contromisure immediate da parte dell’UE, le aziende devono prepararsi e adattarsi. Ecco alcune strategie utili:
- Monitoraggio continuo delle policy USA
Le decisioni doganali non seguono una logica lineare. Avere una funzione di intelligence commerciale interna o affidarsi a consulenti esperti è oggi essenziale per anticipare cambiamenti e aggiornare contratti, pricing e logistica. - Ottimizzazione della catena di fornitura
Rivedere e adattare la supply chain per ridurre i costi e migliorare l’efficienza può aiutare a compensare l’aumento dei costi legato ai dazi. - Diversificazione dei mercati
Ridurre l’esposizione agli USA è una scelta strategica, non una rinuncia. Asia, America Latina, Africa e nuove aree emergenti offrono margini di crescita, soprattutto per le PMI. Aprire nuovi canali di vendita è oggi un’assicurazione contro lo shock tariffario. - Localizzazione produttiva negli USA
Chi ha volumi e capacità finanziaria, può considerare una presenza diretta nel mercato americano, via filiali, impianti o joint venture. Questo consente di aggirare le barriere tariffarie ed essere percepiti come “domestici”. - Gestione strategica dei prezzi
Valutare l’effettivo pass-through dei dazi sui prezzi è vitale. Dove tutti i competitor subiscono gli stessi aumenti, è possibile adeguare i listini. Ma se l’impatto è asimmetrico, è necessario trovare alternative: riduzione costi, riposizionamento o revisione dell’offerta.
La risposta delle imprese europee deve essere lucida e proattiva. La politica può permettersi una certa lentezza; il business no.
Costruire alternative ai mercati tradizionali, consolidare il valore del Made in Europe e promuovere partnership strategiche sono leve su cui investire adesso.
Ne parliamo più approfonditamente il 10 aprile a partire dalle h. 10:30 nel corso di un webinar gratuito in cui risponderemo alle domande delle aziende sui Dazi USA.
Info e iscrizioni seguendo questo link.