Professionisti non ordinisti fiaccati dalla crisi. Uno su due si è dovuto fermare
Un professionista non ordinista su due è stato costretto a fermarsi durante la crisi sanitaria. E tra quanti di loro sono stati nelle condizioni di continuare a lavorare solo poco più del 14% lo ha potuto fare senza apportare sostanziali modifiche alla sua organizzazione mentre il rimanente 36 l’ha dovuta cambiare in maniera profonda. Una situazione addirittura drammatica tra i professionisti che prestano servizi alla persona (attività eterogenee tra di loro, dal fotografo al cuoco, dal chinesiologo all’osteopata) bloccati dal confinamento nell’ordine del 79%.
L’anno ha avuto per tutti un impatto sul fatturato molto pesante: nel primo semestre del 2020 il calo medio è risultato pari al 41,3% oscillando tra il -54,7% dei servizi alla persona e il -28,7% dei servizi alle imprese, universo questo che raggruppa i professionisti chiamati a sbrigare gli adempimenti burocratici tipici del mondo imprenditoriale, dai tributaristi ai tecnici della sicurezza. La situazione è apparsa meno pesante nel terzo trimestre, ma nonostante l’allentamento dei vincoli tra luglio e settembre il fatturato del settore in questo periodo è comunque diminuito del 32,8%. Ancora peggiori le previsioni per il quarto trimestre dell’anno: il calo medio è ipotizzato al -45%, frutto del -58,7% indicato dai professionisti che forniscono servizi alla persona e del -32,2% da quelli che prestano servizi alle imprese. Nonostante questo quadro molto allarmante, i professionisti non ordinisti (vale a dire non iscritti ad albi e collegi) sono determinati a continuare la propria attività professionale. E puntano ad ampliare la propria clientela lanciando iniziative promozionali (ma senza applicare sconti) e adottando nuove modalità organizzative, a partire dal lavoro da remoto.
A rilevarlo l’Osservatorio Professioni CNA 2020, nato nel 2015 per monitorare le professioni non ordiniste. Quest’anno la quinta edizione dell’Osservatorio è dedicata alla situazione di tale realtà vasta ed eterogenea (CNA associa ben 39 categorie professionali) stretta nella tenaglia di crisi sanitaria e crisi socio-economica. Una realtà che tra il 2009 e il 2019 ha segnato una crescita impetuosa: in questi anni, a fronte dell’incremento complessivo dei liberi professionisti pari al 26,4% e di un calo del 6,3% del lavoro indipendente, è cresciuto del 57,2% il numero dei liberi professionisti non ordinisti. Alla fine del 2019, pertanto, erano 1,3 milioni questi lavoratori muniti di partita Iva che, non disponendo di un ordine e di una cassa previdenziale, versano i contributi alla Gestione separata Inps.
L’indagine dell’Osservatorio è stata condotta tra gli iscritti a CNA Professioni. Il campione ha un’età media di circa cinquant’anni, elevata scolarizzazione (il 38,4% del totale sono laureati, il 55% possiede il diploma di scuola media superiore), per quasi due terzi è composto da maschi (61,4%), nell’87,4% dei casi si dedica alla professione in maniera pressoché esclusiva. I redditi che derivano dall’attività professionale non ordinista non sono ingenti: solo il 12,5% dichiara di guadagnare oltre 100mila euro l’anno, il 17,8% tra 50 e 100mila euro, il 34,4% tra 20mila e 50mila euro. Il 16,9% rimane tra 10 e 20mila euro e il 18,3% non raggiunge i 10mila euro annui. Il 52,3% dei professionisti non iscritti ad albi e collegi opera con collaboratori/dipendenti, nel 13,8% dei casi i collaboratori/dipendenti sono più di cinque.
Che cosa chiedono i professionisti non ordinisti? Per loro i principali problemi da risolvere nell’immediato derivano chiaramente dalle restrizioni patite. Il 56,4% del campione indica come maggiore problema la perdita di fatturato, il 35,3% l’assottigliamento della clientela. Ma rimangono altrettante Spade di Damocle i costi fissi, dal fitto alle bollette, dai tributi ai contributi, punto scalfiti dalla inattività e che rappresentano un grave scoglio per il 47% degli interpellati. Problemi, questi, lamentati prevalentemente dai professionisti che si dedicano ai servizi alla persona, mentre i professionisti che erogano servizi alle imprese sono stati alle prese piuttosto con l’allungamento, se non peggio, dei tempi di pagamento. Un professionista su quattro lamenta la mancanza di tutele per la loro categoria.
Che cosa pensano degli interventi governativi varati nell’ultimo anno per combattere la crisi socio-economica? A promuoverli è il 26,7% del campione. A bocciarli il 55%, con un picco del 61,1% nei servizi alla persona e un più moderato 50,6% nei servizi alle imprese.
Quale visione hanno del futuro? Complessivamente i professionisti non ordinisti sono pessimisti. L’82,1% si divide tra angosciati, preoccupati e smarriti. Convive con l’angoscia addirittura il 18,2% degli addetti ai servizi alla persona.
Che cosa chiedono al governo, alla politica, alle istituzioni? 1) dare tempestiva attuazione all’Iscro (Indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa, vale a dire l’ammortizzatore sociale per i lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata Inps) intervenendo nell’immediato con ulteriori soluzioni di sostegno al reddito; 2) incrementare le risorse stanziate dalla Legge di Bilancio 2021 al fine di essere esonerati parzialmente dal pagamento dei contributi previdenziali; 3) fare chiarezza sulla definizione di professionista ex lege 4/2013 evitando differenziazioni penalizzanti con i professionisti ordinisti; 4) incrementare gli strumenti di welfare; 5) determinare l’equo compenso anche per i professionisti non organizzati in ordini e collegi, al fine di tutelare il lavoro autonomo e promuovere una sana concorrenza; 6) incrementare la detassazione delle spese per la formazione professionale, che è fondamentale per i professionisti e i loro clienti, ma non solo ha costo vivo, rappresenta anche un lucro cessante per il tempo sottratto all’attività.