Perché la crescita non è più solo un’opzione
Esiste una via italiana alla crescita e alla competitività?
Le caratteristiche peculiari delle aziende italiane: filiere di fornitura, proprietà familiare, specializzazione in nicchie di mercato, propensione all’export
Difficile rispondere e sistematizzare un modello come il nostro. Di certo ci sono alcuni elementi di sistema che caratterizzano il modello manifatturiero italiano. Basti pensare al tema della dimensione. Abbiamo solo una decina di aziende con fatturato oltre 5 miliardi di euro, che ormai è considerata la taglia minima per avere una massa critica per competere sui mercati globali. In Germania, le aziende sopra questa soglia sono almeno 50, mentre in Francia sono circa una trentina. Eppure, nonostante le dimensioni spesso ridotte, le imprese italiane hanno dimostrato in questi anni una grande capacità di resilienza, di creatività e di competitività. Certo sono stati anche anni molto duri con forti processi di ristrutturazione e di distruzione creativa. C’è stata quasi una selezione darwiniana ma le aziende che sono sopravvissute si sono riorganizzate e riposizionate.
Oggi siamo al Family Business Forum e possiamo dire che la proprietà familiare è un altro elemento di identità forte delle aziende italiane. Circa il 65 % delle aziende italiane sono a controllo familiare. Quindi poche aziende di grandissima taglia e capitalismo di matrice prevalentemente familiare. Poi direi una forte specializzazione produttiva, che si traduce in qualità del prodotto e attenzione ai bisogni del cliente. Abbiamo molte aziende che magari non hanno dimensione enorme, come quella dei conglomerati del mondo anglosassone, ma che hanno una posizione di leadership anche globale in certi settori. Penso proprio a realtà come Carel, ma ne potrei citare tantissime altre (IMA, Interpump, Stevanato, Coesia, Mapei, Zucchetti, etc. etc.). Aziende operative soprattutto nelle filiere B2B come fornitori di beni intermedi per grandi multinazionali. C’è evidentemente questa capacità di leggere il mercato e di trovare degli spazi anche in nicchie non presidiate dove si può creare valore. Inoltre, c’è anche questa forte propensione all’export da parte delle aziende di eccellenza. I nuovi ‘Campioni nazionali’, evoluzione delle cd multinazionali tascabili sono tutte aziende ‘export driven’ che hanno saputo affermarsi sui mercati internazionali.
Quali possono essere gli elementi evolutivi del modello di capitalismo familiare?
La creazione di filiere
Le ‘filiere’ che, per certi, versi hanno rappresentato un’evoluzione del modello dei distrett,i rappresentano forse l’elemento più tipico del modello italiano di competitività, perché garantiscono specializzazione produttiva e flessibilità. Filiere, ossia reti di imprese verticali caratterizzate dalla presenza di aziende leader che hanno sviluppato rapporti di interdipendenza sempre più stretta con i loro fornitori. È un modello basato su forti densità di conoscenza, su logiche di collaborazione e di scambio di informazioni. Mi ha colpito un dato mi sembra proprio relativo alle aziende del Nord Est: una media azienda si può interfacciare anche con oltre 200 fornitori. Fatto 100 il prodotto, spesso il 70/80% delle sue componenti proviene da fornitori. Da qualche anno vediamo processi evolutivi interessanti all’interno del modello. Si osservano ad esempio dinamiche di integrazione all’interno di queste filiere con le aziende leader che accelerano sulle acquisizioni di parti/componenti di queste filiere per avere processi produttivi sempre più strutturati e di qualità.
Le operazioni di M&A per l’acquisizione di know-how e innovazione
Nell’ultimo periodo vediamo, però, anche attività M&A finalizzata ad acquisire sia competenze, sia modelli di business innovativi. Le aziende in questa fase cercano asset che siano in grado di accelerare la loro trasformazione sia verso i nuovi modelli ESG sia competenze digitali. Vedremo sempre di più queste dinamiche. È un M&A diverso da quello tradizionale dove si cercano soprattutto competenze per far funzionare gli impianti, per utilizzare le nuove piattaforme digitali, per sviluppare nuovi prodotti e servizi.
Le ‘filiere informali’
Iniziano a vedersi anche alleanze originali, tra player dello stesso settore, che magari investono capitali per valorizzare un fornitore comune. Un esempio recente è stato quello l’acquisizione da parte di Prada e Zegna del 15% ciascuno della Luigi Fedeli e Figlio, azienda familiare italiana ‘riconosciuta nel mondo come eccellenza della maglieria made in Italy in filati di pregio’. I due imprenditori hanno una comune visione industriale della moda e hanno iniziato a fare acquisizioni insieme a sostegno della filiera produttiva nel 2021, cominciando con l’ingresso in maggioranza nella Filati Biagioli Modesto. Con queste acquisizioni intendono preservare il know-how italiano e ‘fare sistema’. Quindi una strada italiana alla crescita potrebbe essere quella della creazione di ‘filiere informali’ attraverso l’acquisizione da parte di primarie aziende italiane di brand piccoli ma di qualità per proteggere l’italianità di alcuni settori. In questa prospettiva l’Italia potrebbe rappresentare il ‘laboratorio’ di un modello di crescita diverso da quello francese, ad esempio, fatto non tanto di grandissimi conglomerati, quanto piuttosto di ‘federazioni e di alleanze strategiche’. Un modello più agile e flessibile che forse è più adatto all’imprinting culturale delle imprese italiane. È chiaro che anche all’interno di questi modelli leggeri, di quello che potrebbe essere definito come capitalismo delle reti, vanno comunque definite delle architetture di governance.
Open innovation ed ecosistemi
C’è poi il trend relativo alla progressiva apertura dei confini aziendali tradizionali e volto alla creazione di ‘ecosistemi’ con università, centri di ricerca, startup per il trasferimento di know how nell’ambito di processi sempre più diffusi di open innovation. Oggi diventa fondamentale capire i ‘mega trend’ ed anticipare i bisogni dei consumatori/clienti. Del resto, anche noi come società di servizi professionali siamo sempre più ingaggiati dalle aziende non solo per implementare soluzioni o per realizzare progetti, ma anche sempre di più per fornire Insight. La capacità di anticipare i trend in un mondo dove l’accelerazione è velocissima sarà sempre di più un fattore chiave per la competitività. Molte aziende anche manifatturiere pure e non di dimensioni enormi, stanno investendo nella creazione di centri di Ricerca & Sviluppo. Si tratta evidentemente di un’evoluzione culturale. C’è la consapevolezza che lo scenario è complesso e che servono strumenti di tipo nuovo per governare questa complessità. Basti pensare all’avvento dell’Intelligenza Artificiale che avrà un impatto dirompente sui modelli di business. Servono cervelli e competenze. La creazione di valore si sposta sempre di più sulla componente di servizio, sulla parte alta della catena e a valle nel presidio del mercato.
L’evoluzione del rapporto tra imprenditori e manager
Infine, direi che un altro aspetto culturale interessante: l’evoluzione del rapporto tra imprenditori e manager. Nel nostro contesto il protagonista dello sviluppo, la figura che ha sempre catturato l’attenzione dell’immaginario è sempre stato l’imprenditore. Già da diversi anni però le famiglie hanno aperto a manager esterni preparati che in molti casi sono diventati parte integrante della visione aziendale della famiglia. Hanno saputo guadagnarsi la fiducia delle famiglie e sintonizzarsi sullo spirito delle aziende familiari. È una trasformazione di lungo periodo che riguarda molte aziende. Di certo l’innesto di manager esterni non è più vista come un semplice costo. È un rapporto delicato che richiede una disponibilità da entrambe le parti. L’imprenditore deve fare un passo indietro, fare più l’azionista e delegare al manager. Dall’altro il manager deve essere anche lui un po’ imprenditore e calarsi nella mentalità della famiglia, del contesto e del territorio di riferimento. Quando si crea la giusta chimica e questo rapporto diventa ‘simbiotico’ si ottengono grandi risultati.
Nell’attuale scenario su quali aspetti bisogna lavorare per migliorare la competitività?
La necessità di una politica industriale moderna e coerente: meno burocrazia e più infrastrutture
Intanto i numeri positivi dell’ultimo periodo, con un PIL leggermente superiore alle attese (ad oggi +0,9% che dovrebbe consentire di raggiungere e superare la quota del +1%, entro la fine dell’anno), non devono ingannarci. La crescita non è mai un dato acquisito o automatico e richiede sempre focalizzazione, tenacia e determinazione. Lo scenario rimane molto complesso per molti fattori: il rialzo dei tassi, l’inflazione che scende più lentamente del previsto, le tensioni geopolitiche che si riverberano sul prezzo delle materie prime, la debolezza della domanda interna, etc. etc.
Un aspetto che mi sembra importante è quello di ricostruire un rapporto sano e non ideologico tra Stato e Mercato. Questo significa ‘in soldoni’ che serve una politica industriale moderna che accompagni la crescita. Non certo lo statalismo del ’900, ma una politica industriale che attraverso misure indirette, crei un ambiente favorevole al business. Quindi meno burocrazia, certezza del diritto e soprattutto infrastrutture, anche approfittando delle risorse del PNRR. Direi anche incentivi fiscali per affrontare la riconversione dei modelli di business in ottica green e per fare investimenti su macchinari, impianti, tecnologie digitali. Il modello ce l’abbiamo è quello dell’Industria 4.0 si tratta di adeguarlo al nuovo contesto.
Orientare il risparmio degli italiani verso l’economia reale
Poi direi anche indirizzare verso l’economia reale l’enorme massa di risparmio degli italiani. Su oltre 5400 miliardi di ricchezza privata circa 1/3 giace inerte come liquidità sui conti correnti. Molte imprese hanno bisogno di essere ricapitalizzate. I Pir sono stati un primo passo, che poi progressivamente si è attenuato ma è la strada è quella giusta e bisogna insistere. L’obiettivo è quello di rafforzare la struttura patrimoniale delle piccole e medie imprese, non solo per metterle in condizione di affrontare eventuali altri shock, ma anche per accedere ai finanziamenti con migliori condizioni.
In generale bisogna favorire un riavvicinamento tra sistema industriale e banche. Se come sembra proseguiranno le politiche monetarie restrittive il tema del financing sarà sempre più critico. Allora occorre immaginare forme innovative per l’accesso al credito bancario. Ad esempio, lavorando sulla definizione sempre più strutturata di piani che rendano bancabili i progetti di sviluppo. Questo implica un importante lavoro di pianificazione, di comprensione dei trend di settore, di intelligence e di dialogo tra imprese e banche. Bisogna insomma presentarsi alle banche con le idee chiare sulle prospettive di sviluppo della propria azienda.
Infine, su questo fronte direi positivo anche l’intervento diretto di CDP o del Fondo Strategico Italiano volto al rafforzamento patrimoniale di imprese ad alto potenziale di crescita. Mi sembra un’esperienza che sta portando risultati interessanti, con CDP e FSI con un ruolo di garanzia, con quote di minoranza e capitali pazienti per accompagnare la crescita dimensione delle imprese.
Attrarre e trattenere il capitale umano
L’altro tema centrale per le aziende familiari (e non solo per loro) è la capacità di attrarre capitale umano di qualità. Con le tecnologie che ormai sono disponibili per tutti, il salto lo si ottiene solo portando in aziende persone di qualità in grado di innovare maggiormente. Una delle sfide soprattutto per le aziende familiari del territorio sarà quella di avere un profilo attrattivo verso i giovani che escono dalle business school, oppure che hanno fatto qualche anno di esperienza in società di consulenza come la nostra. Direi che le aziende familiari sotto questa prospettiva devono cercare di valorizzare sempre di più il loro capitale sociale, il loro modo di essere, di solito sempre attento alla sostenibilità. Devono comunicare bene il loro ‘purpose’ ossia la loro idea di impatto sociale. Un aspetto che è tenuto sempre più in considerazione dalle giovani generazioni.
Senior Partner KPMG in Italy