Onora la faccia dell’altro
Se vogliamo cercare qualcosa di buono nell’esperienza del lockdown causato dal Covid nel 2020 è che ci ha abituato a incontrarci nelle web conference, a sostituire con una certa facilità le riunioni di lavoro e gli incontri d’affari fatti di persona, a comunicare con le video call, con cellulari e computer come prassi, parlarci e guardarci a distanza.
A volte questi incontri in web conference sono asimmetrici. Alcuni mostrano la faccia, altri no.
Questa asimmetria ci danneggia. Perché?
Noi esseri umani siamo animali sociali. La psiche manifesta i propri stati d’animo sulla nostra faccia.
È dal viso, dallo sguardo, dal sorriso e dalla voce dell’altro che ne ricaviamo la prima impressione, quella che spesso ci condiziona anche dopo.
La faccia è un fenomeno estetico, non in virtù della cosmesi e della chirurgia estetica, ma per la sua stessa natura biologica.
Dei quarantacinque muscoli del viso, a parte quelli necessari per masticare, baciare, annusare, soffiare, strizzare gli occhi, battere le palpebre e contrarre la pelle per scacciare via le mosche, tutti gli altri servono esclusivamente per esprimere emozioni. E non solo le più importanti. Anche e specialmente certe peculiari sottigliezze di noi civilizzati, come l’arroganza del sopracciglio inarcato, il sarcasmo a bocca storta, il finto candore degli occhi sgranati, l’impassibile indifferenza, i sorrisini e i sogghigni.
Se vuoi interagire autenticamente con gli altri, come farne a meno?
Jung e Freud
Jung non si è limitato a rendere relative le teorie di Freud sull’infanzia, la sessualità e lo sviluppo. Jung ha tolto la sedia dell’analista dalla sua collocazione dietro il paziente sdraiato sul divano, per spostarla in una posizione di faccia al paziente a sua volta seduto. Paziente e analista, due sedie, faccia a faccia. Nel presente dello sguardo reciproco. L’inconscio ora è presente nella terrificante difficoltà dell’incontro. Il potere dell’analista, aprendo l’analisi alla faccia, non è più un potere assoluto, diventa relativo.
Se concepiamo le espressioni del volto come faceva Darwin, queste sono le tracce evolutive della umana comunicazione preverbale.
James Hillman, nel suo capolavoro “la forza del carattere” cita Emmanuel Lévinas, il pensatore francese più radicale e profondamente positivo di questi ultimi cinquant’anni: “La faccia umana intesa come fenomeno archetipico reca un messaggio: vulnerabilità assoluta. Per questo motivo essa verrà camuffata, nascosta, decorata, modificata chirurgicamente, oppure, al contrario, verrà privata di ogni possibilità di nascondersi. L’Altro diventa il mio prossimo, precisamente attraverso il modo in cui la sua faccia mi chiama”.
E prosegue: “L’origine dell’esistenza etica è la faccia dell’altro, con la sua richiesta di risposta. Di fronte alla faccia siamo in modo istintivo, archetipico, responsivi e responsabili. La faccia pretende riconoscimento; bisogna guardarla, incontrarla. La faccia si offre, si dona e mi chiama fuori da me stesso. La faccia esprime sincerità, anche involontaria. Quando sono di faccia all’Altro, tenderò più facilmente a essere sincero che non quando rifletto da solo. Il modo in cui trattiamo la nostra faccia ha conseguenze sulla società. La tua faccia è l’Altro per tutti gli altri. Se non mostra più la sua vulnerabilità assoluta, allora l’esigenza di sincerità, la richiesta di risposte, sulle quali poggia la coesione sociale, hanno perduto la loro sorgente originaria. C’è bisogno di guardare spesso e a lungo l’altro per vederlo dentro. Naturalmente possiamo sbagliare e seguire la percezione sbagliata, ma questi errori non invalidano l’idea che sia un dovere del cittadino rendere pubblica la propria faccia”.
Ricordiamoci, quando vogliamo insegnare, convincere, dialogare, negoziare, essere in feeling con gli altri.
Guarda la faccia dell’altro e mostra la tua.
La frase di oggi
“Soltanto a Dio è concesso di nascondere il suo volto” (James Hillman)