Nella crisi Covid-19 un “effetto startup”: un terzo ha cambiato modello di business, il 63% ha attivato iniziative per l’emergenza
Nella crisi Covid, c’è un “effetto startup”: le nuove imprese innovative, pur nelle difficoltà del momento, hanno dimostrato capacità di adattamento e in molti casi sono state capaci di generare rapidamente nuove soluzioni per fronteggiare gli effetti della pandemia. Ben il 63% delle startup high-tech italiane ha intrapreso iniziative a supporto dell’emergenza, come raccolte fondi per donazioni, lancio di nuovi prodotti o servizi, rilascio di soluzioni gratuite. E sono state censite complessivamente 256 iniziative del panorama startup hi-tech italiano attive per fronteggiare l’emergenza sanitaria, coinvolgendo i settori più diversi (dalla digitalizzazione di processi ai servizi alle persone, dai sistemi di distanziamento allo svago, dal delivery ai dispositivi sanitari, dall’eLearning alla sanificazione degli ambienti). Addirittura, il 30% delle startup high-tech ha modificato il proprio modello di business durante la pandemia, nella maggioranza dei casi per rispondere a un nuovo bisogno del mercato.
In un contesto difficile, le imprese consolidate hanno compreso l’importanza del digitale come leva per garantire continuità e le previsioni di investimento in ICT per il 2021 indicano una lieve crescita del +0,89%. Ma nelle imprese emerge anche una nuova spinta alla collaborazione con le startup a seguito dell’emergenza sanitaria: il 34% delle grandi aziende evidenzia un maggior stimolo all’Open Innovation, il 22% ha riscontrato maggiore interesse o avviato concrete collaborazioni con startup per superare l’emergenza. Sono alcuni risultati della ricerca degli Osservatori Startup Intelligence e Digital Transformation Academy del Politecnico di Milano presentata al convegno online “L’Innovazione Digitale non va in lockdown: alle imprese cogliere l’effetto startup”.
“In un contesto di radicale e drammatico cambiamento, in cui le imprese tradizionali e le istituzioni sono apparse spesso disorientate, l’ecosistema startup ha mostrato alcune strade per fronteggiare la nuova quotidianità, mettendo in campo competenze, conoscenze, brevetti, prodotti e nuove soluzioni – afferma Alessandra Luksch, Direttore degli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Intelligence del Politecnico di Milano –. In alcuni casi le startup hanno sviluppato soluzioni per contrastare gli effetti della pandemia, pensando prima all’interesse della comunità piuttosto che al ritorno economico. In un caso su tre hanno scelto di modificare il proprio modello di business. Le imprese devono saper cogliere e valorizzare questa grande capacità di reazione al cambiamento”.
“L’effetto startup che si è evidenziato nell’emergenza è un importante patrimonio da cogliere per la ripresa, sfruttando le opportunità di collaborazione in una logica di ecosistema – dice Andrea Rangone, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Startup Intelligence –. I segnali sono positivi: durante l’emergenza, mentre diventava evidente agli occhi di tutti il ruolo strategico dell’innovazione digitale, è cresciuto l’interesse per la collaborazione tra aziende, startup e istituzioni in risposta alla crisi, con una spinta all’Open Innovation, di grande rilevanza per lo sviluppo del nostro sistema imprenditoriale”.
Effetto startup. Il Covid-19 non ha frenato la nascita delle startup italiane, come riportano i dati del Mise. E la crisi ha portato ostacoli, ma anche stimoli positivi all’attività imprenditoriale: oltre un terzo (30%) delle startup high-tech ha applicato variazioni al modello di business durante la pandemia, principalmente per rispondere ad un nuovo bisogno di mercato (il 72% di queste), per creare nuove fonti di ricavo (44%) o aumentare la propria legittimità con iniziative di impatto sociale e ambientale (34%), solo nel 13% dei casi per pura sopravvivenza.
Nel complesso il 63% delle startup high-tech italiane ha intrapreso proprie iniziative a supporto dell’emergenza Covid19 tra fase di lockdown, fase 2 o new normal. Molte hanno partecipato a iniziative di altri: di cui il 41% ha aderito al programma dello Stato “Solidarietà digitale”, il 29% ha partecipato a contest o call4ideas, il 27% a progetti di ricerca e sviluppo di altre organizzazioni.
Non sono mancate le difficoltà, il 38% delle startup ha dovuto ridurre le attività, ma il 46% ha ottenuto nuovi clienti e ha ampliato il proprio network, il 44% ha accelerato lo sviluppo dei prodotti/servizi e ottenuto visibilità sul mercato. Il 28% ha ampliato il proprio organico per fronteggiare l’incremento di attività emerso durante l’emergenza, o si è dotato di nuove competenze.
Mai più senza digitale. Nel corso del 2020 la pandemia ha costretto a rivedere i budget per l’ICT rispetto a quanto pianificato in circa metà delle grandi imprese; il 23% l’ha rivisto in aumento, il 24% in diminuzione. Ma le previsioni di investimento in ICT per il 2021 indicano una sostanziale tenuta, +0,89%, seppur con una riduzione del trend di crescita degli ultimi tre anni. Gli investimenti in digitale si focalizzano sulle priorità imposte dall’emergenza Covid-19: per le grandi imprese in particolare Information Security, Big Data e Analytics, eCommerce e Smart Working; per le PMI al primo posto sale lo Smart Working.
Nel 2020 è cresciuta la percentuale di grandi imprese (il 38%) che ha introdotto la Direzione Innovazione, mentre si riduce quella di chi gestisce le attività di innovazione in modo non strutturato. In generale l’emergenza sembra aver portato anche stimoli all’innovazione: per il 51% delle grandi imprese ha creato maggior commitment nei vertici, in altri casi più collaborazione interna e interesse all’open innovation. Il 70% delle grandi imprese si sta già dedicando alla Corporate Entrepreneurship, la capacità di sviluppare nei dipendenti attitudini imprenditoriali.
“In una situazione difficile le imprese hanno compreso come non sia possibile prescindere dalla spinta digitale, diventata condizione essenziale di resilienza, mentre i gap di digitalizzazione hanno inciso sulla possibilità stessa di sopravvivenza – commenta Mariano Corso, Responsabile Scientifico della Digital Transformation Academy -. L’emergenza Covid19 ha avuto un impatto sulle priorità di investimento e sui budget dedicati all’innovazione, ma anche sull’organizzazione necessaria per stimolarla: l’obiettivo deve essere quello di farne cultura diffusa in azienda e favorire il coinvolgimento a tutti i livelli”.
L’Open Innovation. Ben il 78% delle grandi imprese italiane oggi adotta azioni di Open Innovation, soprattutto iniziative Inbound, che incorporano internamente stimoli provenienti dall’esterno, come la collaborazione con università e centri di ricerca, la startup intelligence o lo scouting di partner tra imprese consolidate, mentre sono meno diffuse azioni Outbound, per sviluppare esternamente spunti di innovazione nati internamente, tra cui crescono in particolare le piattaforme di collaborazione realizzate per lanciare contest, raccogliere idee, erogare formazione. Quasi raddoppia l’adozione dell’Open Innovation da parte delle PMI, raggiungendo il 53%. Si diffonde la collaborazione con le startup: un fenomeno presente nel 45% delle grandi imprese e nel 15% delle PMI.
“Questi dati confermano una tendenza sempre più concreta tra le aziende ad instaurare partnership, forniture e progetti pilota con attori meno tradizionali, che spesso sono più agili e capaci di maggior collaborazione – dice Stefano Mainetti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Startup Intelligence -. L’Open innovation si fa strada tra le imprese e le startup sono ormai riconosciute come partner validi, sia nelle fasi iniziali delle sperimentazioni sia per rapporti più stabili e strategici”.