Modifica al codice parità di genere, anche le PMI studiano per superare le “quote rosa”
La parità di genere come chiave per imprese più inclusive, più attrattive e più evolute, a prescindere dal fattore dimensionale. Con l’entrata in vigore della legge 162 del 2021, intervenuta a modificare il Codice della parità di genere sul luogo di lavoro, sono tante le realtà di territorio che nei prossimi mesi cominceranno a interrogarsi sui propri standard in materia di gender equity e sugli eventuali interventi da mettere in campo per perfezionarli.
Entro la fine del 2022 infatti l’Italia intende avviare il maggior numero di imprese al percorso per l’ottenimento della certificazione di parità, cioè la qualifica che attesta il rispetto degli obiettivi fissati dal punto numero 5 dell’Agenda ONU 2030.
Equità salariale a parità di mansioni, opportunità di crescita, accesso a posizioni di vertice, adozione di politiche per la gestione delle diversità di genere e per la tutela della maternità: sono questi i principali asset su cui gli imprenditori e le imprenditrici saranno chiamati a concentrarsi. La prima data da segnarsi in agenda è il 30 settembre: entro questa scadenza, infatti, l’impresa dovrà presentare al Ministero del Lavoro il proprio report sulla parità di genere (da rinnovare ogni due anni), contenente la fotografia di partenza della singola impresa e gli eventuali punti dove intervenire per lavorare all’ottenimento di un luogo di lavoro inclusivo.
«Mancano ancora i decreti attuativi – osserva Elisabeth Sarret, presidente Impresa Donna CNA Veneto Ovest -, ma certamente si tratta di un cambiamento epocale dal punto di vista dell’empowerment femminile in azienda. Per la prima volta la parità di genere non si esprime nei banali termini numerici delle ormai superate “quote rosa”, ma si traduce in una serie di azioni misurabili e applicabili fin da subito nel singolo contesto aziendale per trasformare le imprese di qualsiasi dimensione in un luogo dove l’unica cosa che conta è il valore delle persone, non il loro sesso».
La presentazione del report è un obbligo per le imprese con più di 50 dipendenti, mentre per quelle al di sotto di questa soglia l’invio è a discrezione del datore di lavoro. Una copia del documento è però comunque richiesta a tutte le aziende (dai 15 dipendenti in su) che intendono partecipare a bandi o finanziamenti legati a fondi Pnrr (Piano Nazionale di Riprese e Resilienza) o Pnc (Piano Nazionale degli investimenti Complementari), dando inoltre diritto a fattori premiali che possono agevolare nella graduatoria di assegnazione e a sgravi previdenziali.
Per aiutare le aziende interessate a portare avanti il percorso verso la certificazione CNA ha scelto di avviare un nuovo servizio di affiancamento e consulenza mirata. A partire dal coinvolgimento degli stakeholder interni, l’azione condivisa permetterà di mappare impatti, bisogni e rischi sociali, per arrivare alla stesura del report e all’elaborazione della policy da adottare fino all’ottenimento della certificazione, con monitoraggio intermedio sul corretto sviluppo dei processi di intervento.
«La cosa importante che cercheremo di trasmettere agli imprenditori – aggiunge Sarret – è che dovranno guardare a questa misura non soltanto dal punto di vista dell’utilità materiale, ma soprattutto come occasione per cambiare completamente paradigma di fronte al tema della gender equity. L’impresa, anche quella più piccola, ha l’opportunità di rivedere da zero il proprio approccio culturale sull’argomento, elaborando una vera policy estesa a tutti gli ambiti aziendali. E questo può contribuire a trasformarla in una realtà capace di attrarre e trattenere le nuove competenze, oltre che a valorizzarle facendo tesoro proprio della diversità di punti di vista».