Mappatura dei processi aziendali: quando la tassonomia di un’impresa diventa l’asso nella manica
Mi sento sempre un po’ in imbarazzo nell’affrontare il tema dei processi aziendali. Quando mi capita, parto sempre dalla seguente assunzione: se un’azienda esiste e opera, è perché ha in essere dei processi. Questo è un elemento fuori discussione. Anche il concetto di processo come sequenza di task è un concetto ben conosciuto e applicato se ci pensiamo nella vita personale di tutti, anche nelle più semplici operazioni elementari (per andare al lavoro la mattina, ad esempio ognuno di noi segue la propria “routine”).
Ma il discorso si “complica” leggermente quando durante le interviste con imprenditori e le loro prime linee, emergono le seguenti domande:
1) Esiste in azienda una “tassonomia” ufficiale dei processi? (che cosa intendo per tassonomia lo spiego in dettaglio nel seguito dell’articolo)
2) I processi sono gestiti in ottica “end to end”? Ossia lungo tutta la catena del valore?
3) Qual è il grado di formalizzazione dei vostri processi in azienda? La conoscenza degli stessi è esclusivamente legata alle singole persone che li operano o, in parallelo, è trasferita in strumenti di knowledge management?
4) Avete dei KPIs, cioè degli indicatori di performance per monitorare l’efficacia ed efficienza dei processi?
5) Vi è per ogni fase del processo, una chiara identificazione dei tempi (entro quando completare il singolo compito assegnato) dei ruoli e del livello di responsabilità richiesti?
6) Quando è stata fatta l’ultima analisi critica dei processi?
7) Quale è la propensione all’innovazione dei processi di chi li opera? E vi è una cultura aziendale che favorisce l’innovazione da applicare alla reingegnerizzazione dei processi?
La risposta a queste domande dipende ovviamente dalle aziende, dai settori in cui operano, dai singoli processi, da quanto sono operative sul mercato e dallo stile di management.
Da una ultima survey che ho avuto l’occasione di proporre “in diretta” durante un corso di formazione a cui hanno partecipato una trentina di manager che lavorano nelle PMI, è emerso che:
– solo il 40% ritiene che nelle loro aziende esista una tassonomia ufficiale dei processi
– solo il 54% ritiene che il livello attuale di maturità raggiunta delle loro aziende in termini di formalizzazione dei processi, utilizzo di KPIs di monitoraggio, visione end to end sia da evolvere in maniera significativa
– solo il 5% considera l’azienda in cui lavora matura e ben strutturata.
L’attenzione a tale tematica varia anche tra diverse funzioni aziendali: ben più presente e radicata generalmente tra le funzioni operation (quali ad esempio supply chain / produzione) meno tra le funzioni di staff/supporto, quali ad esempio Amministrazione Finance e Controllo / HR o di Sales & Marketing
Facciamo intanto un po’ di chiarezza.
Che cosa è la tassonomia ufficiale dei processi? È l’elenco/mappa completa di tutti i processi esistenti in azienda. Molteplici modelli (framework) sono disponibili come riferimento (benchmark) per guidare l’azienda nella predisposizione della propria tassonomia. Generalmente una tassonomia si articola in più livelli di dettaglio (livello 1, 2, 3) ed è tale da consentire la progressiva scomposizione dell’intero processo (Esempio: ciclo attivo) nelle vare sottofasi e nei singoli tasks. La tassonomia è poi formalizzata generalmente attraverso documenti descrittivi e diagrammi di flussi a supporto, tali da chiarire non solo l’elenco delle attività, ma la sequenza prevista e i livelli di responsabilità coerente con il modello organizzativo.
Mi capita spesso di percepire una certa reticenza da parte degli stakeholder nelle PMI nei confronti dell’idea di investire risorse e tempo nella elaborazione di una buona tassonomia e nel suo aggiornamento periodico; poiché chiaramente non sono attività core business, vengono sovente associate a formalità “burocratiche”. Certamente l’allocazione delle risorse interne è una scelta e come tale va rispettata. Ma generalmente gli effetti negativi si vedono nel medio e lungo periodo, soprattutto in quelle realtà dove il turnover del personale non è elevato e le dinamiche delle relazioni umane/personali si intreccia alla lunga con lo svolgimento di un compito (task). Le criticità che ad un certo punto emergono e che sono poi percepite anche dai portatori di interesse (stakeholder) come importanti, principalmente sono:
1) Non chiarezza di ruoli e responsabilità dei singoli task;
2) Perdita del quadro di controllo di tutte le micro attività che compongono il processo;
3) Perdita progressiva della chiara percezione di come vengono eseguite, di chi ne dovrebbe essere responsabile, di quanto tempo si impiega a svolgerle e quanto tempo invece sia veramente necessario a portarle a termine;
4) Correlazione diretta tra attività e singola persona con il concreto rischio, davanti a un eventuale turnover, di inefficienze e lacune nel trasferimento di conoscenze.
Si iniziano a imputare i “ritardi” alle singole persone, senza prima avere chiarito veramente le motivazioni alla base dei colli di bottiglia. Aumentano i “rischi” di inefficienze e di gestione della normalità nei momenti di discontinuità.
Una buona tassonomia diventa pertanto un utile supporto per monitorare periodicamente che cosa si fa e come, stimolando in parallelo una domanda chiave: sono davvero tutti processi che servono per gestire in maniera efficace ed efficiente la mia azienda?
Mi è capitato in diverse circostanze di “costruire” la tassonomia dei processi attuali lavorando con gli stakeholder aziendali: in tutti i casi è emersa la necessità di eliminare determinate attività che storicamente venivano fatte e sostituirle con altre che soddisfano meglio le nuove necessità. La tassonomia diventa quindi lo strumento per cristallizzare “l’AS IS” -cioè la situazione così com’è- e facilitare dinamiche di innovazione dei processi e dei modelli operativi di cui parleremo in seguito.
Nel prossimo articolo parleremo di alcune ulteriori “caratteristiche” dei processi.
Partner di RLVT Tax Legal AFC Advisory