Luca Maniscalco: «Ecco le nuove competenze per i lavori del futuro»
L’attuale mercato del lavoro è il prodotto di una rivoluzione determinata da fattori tecnologici, economici e sociali; per potervi accedere, aziende pubbliche e private richiedono competenze nuove che è necessario conoscere per non rimanere indietro. Luca Maniscalco (nella foto sopra), uno dei maggiori studiosi di LinkedIn e della relazione lavoro–social, nel saggio Il lavoro che c’è (Dario Flaccovio Editore, 208 pagine), partendo proprio dai dati di LinkedIn e coinvolgendo oltre 25 professionisti, giornalisti e manager d’azienda, ha individuato e approfondito le vere competenze richieste dal mercato del lavoro. Abbiamo intervistato la “cintura nera di LinkedIn” sulla sua ultima fatica editoriale.
Come le è venuta l’idea di scrivere Il lavoro che c’è? Di cosa parla?
Da sempre mi occupo di marketing e comunicazione, in particolare di marketing digitale. Dopo aver scritto nel 2019 il saggio Afferma il tuo brand con LinkedIn, come esperto del social network che spesso è utilizzato proprio da chi desidera trovare una nuova occupazione o dalle aziende che cercano nuovi collaboratori, in questi anni mi è stato chiesto di frequente cosa ne pensassi delle trasformazioni del mondo del lavoro. Ho deciso di scrivere Il lavoro che c’è anche per affrontare seriamente un tema che, in questi anni, è stato sovente appannaggio di quelli che io chiamo i “fuffologi” del lavoro, dispensatori di consigli che, se seguiti, impedirebbero a chiunque di trovare un lavoro. Avendo approfondito la conoscenza di un social network impiegato principalmente nello sviluppo di contatti professionali e nella diffusione di contenuti specifici relativi al mercato del lavoro, ho avuto la fortuna di godere di un punto di vista privilegiato. Analizzando le ricerche effettuate su LinkedIn, infatti, è possibile capire quali sono le professioni più richieste, i lavori del futuro. LinkedIn ha pubblicato, ad esempio, durante il 2022 una classifica dove sono elencate le figure professionali che, negli ultimi cinque anni, hanno avuto il maggiore tasso di crescita nelle ricerche. Al vertice della classifica ci sono gli specialisti dei Big Data e non c’è da stupirsi. Nel periodo della pandemia i virologi sono stati i grandi protagonisti della scena mediatica, ma tutti i giorni sui mezzi di comunicazioni si parlava di dati, di Big Data, appunto, interpretando i quali si cercava di capire quale potesse essere l’andamento della pandemia. Nel mondo del digitale, che è quello di cui io mi occupo, ci sono da tempo decine di nuove professioni. Nonostante tali professioni esistano ormai da 20-30 anni, però, spesso è difficile trovare le persone giuste. Le imprese faticano a trovare i collaboratori o i fornitori più adatti alle proprie esigenze, anche perché spesso non capiscono di quali competenze hanno davvero bisogno.
Ai lettori del nostro giornale, piccoli e medi imprenditori, soprattutto quelli con più esperienza che, a volte, scontano un gap generazionale con le nuove figure professionali “digitali”, quali consigli dà per aiutarli a trovare i collaboratori più adatti per la propria impresa?
I consigli che mi sento di dare sono due. Primo: per trovare le nuove figure professionali, soprattutto quelle del mondo “digitale”, l’imprenditore deve formare se stesso, attraverso non una formazione specialistica, ma una formazione che io definisco “contemporanea”. Chi fa impresa, prima di cercare collaboratori “digitali”, deve capire in quale nuovo mondo si trova a operare. Il secondo consiglio è quello di fidarsi di persone che possano affiancarlo nella ricerca dei collaboratori più adatti. La prima figura che un imprenditore attento allo sviluppo del capitale umano della propria impresa dovrebbe prendere in considerazione è il responsabile delle Risorse umane che lo sappia guidare nella scelta delle persone giuste. Non è facile scegliere tale risorsa. Anche nell’ambito delle Risorse umane, infatti, c’è un gap generazionale. Avere un efficiente e giovane HR è importante per poter trovare i collaboratori capaci di affrontare il mondo digitale che non è scevro da insidie. Il digitale, infatti, ha anche un “lato oscuro” ed è meglio conoscerlo per evitarlo, sgombrando il campo da falsi miti e facili illusioni: diffidare da chi promette di raddoppiarti il fatturato in un attimo. Anche nel digitale i risultati non si ottengono per magia, ma a prezzo di tanta fatica e ci vuole del tempo.
Come dice nel suo libro, dunque, il lavoro c’è, ma gli imprenditori, per continuare e sviluppare la propria attività, creando nuova occupazione o anche solo mantenendo quella attuale, devono formarsi, digitalizzare la propria azienda, aggiornarsi continuamente e fare networking anche attraverso social professionali come LinkedIn che aiutano a mantenere i contatti esistenti e a crearne di nuovi.
Il network è fondamentale. Io stesso, quando ho deciso di scrivere un nuovo libro, mi sono reso conto che su certe tematiche avrei avuto bisogno del contributo di persone più esperte di me. Per la parte del saggio dedicata al mondo HR, ad esempio, ho interpellato professionisti esperti in tale ambito; nel capitolo sul Digital marketing manager è stato fondamentale il contributo di un amico che ricopre tale ruolo in una importante multinazionale. Altri esperti ho interpellato per la parte dedicata al work life balance, cioè all’equilibrio tra la vita privata e il lavoro (anche quello digitale), ai nuovi media e al lavoro di divulgatore. Un ruolo, questo, parecchio delicato: basta pensare ai “titoloni” scorretti sulle grandi dimissioni, sui giovani che non hanno voglia di lavorare. Il lavoro che c’è, insomma, è un libro corale e c’è un capitolo dedicato proprio al networking. Per un professionista, junior o senior, avere relazioni professionali con altri professionisti, all’interno di un social come LinkedIn, moltiplica le opportunità per trovare lavoro, per cambiarlo. Le “grandi dimissioni” di cui tanto si parla non debbono avere per forza un’accezione positiva o negativa: segnalano che viviamo in un periodo in cui c’è voglia di cambiamento e in cui ci sono le possibilità per cambiare. Il lavoro c’è, appunto, basta cercarlo nella maniera giusta.
Nonostante la crisi delle Big Tech che nel 2022 hanno perso 100 mila posti di lavoro?
Sì, perché l’ambito digitale non è più appannaggio solo della Silicon Valley. L’ambito digitale è in ogni azienda – piccola, media o grande – e per ogni professionista. La crisi o presunta tale della Silicon Valley segna la fine di un certo modo di fare e investire in innovazione. Il digitale proseguirà nel suo processo di diffusione, sperando ci sia maggiore attenzione su temi quali privacy, protezione dei dati personali e diritti degli utenti.
Il digitale, l’intelligenza artificiale stanno trasformando non solo il mondo del lavoro, ma anche la vita dei cittadini. Che tipo di competenze saranno indispensabili per affrontare questa rivoluzione?
A proposito di intelligenza artificiale, in un capitolo del libro ci si chiede provocatoriamente cosa succederebbe se il nostro prossimo collega fosse un bot. Per affrontare questo argomento, le faccio anche l’esempio di una delle professioni maggiormente richieste, quella di addetto al Customer Care, al rapporto con il cliente: un ambito nel quale spesso si fa ricorso ai bot. L’intelligenza artificiale, però, può dare una mano, mentre la professione rimane umana al 100 per cento: se dietro il bot non c’è una persona fisica con la sua empatia, il rapporto con il cliente non può funzionare. Quanto alle competenze necessarie per affrontare la rivoluzione digitale, durante la pandemia abbiamo verificato l’importanza delle soft skills, ad esempio la capacità di relazionarsi con le altre persone via web. Non è facile trovare leader capaci di coordinare persone che magari si trovano distanti in giro per il mondo e non condividono gli stesso spazi fisici. Alla base delle “grandi dimissioni” sta anche il fatto che, non condividendo più certi valori e mancando la routine dell’incontro quotidiano in ufficio, le persone sono più portate ad andarsene. Sono importanti anche le T-shaped skills: la linea orizzontale della T simboleggia l’ampiezza delle conoscenze generali o soft skills (che permettono di affrontare il proprio lavoro in maniera completa e più ampia, con una visione più allargata, e di potersi relazionare con chi fa un mestiere completamente diverso dal proprio), mentre la linea verticale della T rappresenta la profondità delle hard skills, cioè le conoscenze specialistiche.
Anche nella sua esperienza personale si intrecciano competenze hard e soft.
Esatto. Quando ho iniziato, professionista del digitale era sinonimo di Ingegnere informatico. Io, che mi occupavo di marketing e di comunicazione (e provenivo da studi “umanistici”), ero considerato un “alieno”. Riprendendo l’esempio dell’intelligenza artificiale, se al bot o all’algoritmo facciamo fare le cose complicate e ripetitive (la parte hard di pertinenza dell’informatico), avremo più spazio per le cose “soft” di cui si potrà occupare l’esperto di marketing e comunicazione.
Per concludere, come sintetizzerebbe in una frase questo suo ultimo libro?
È una bussola per orientarsi nel mondo dei nuovi lavori e fornisce pareri utili provenienti da professionisti esperti e competenti nei rispettivi ambiti in cui operano.
Avvocato, socio AGI (Avvocati Giuslavoristi Italiani). Si occupa di diritto del lavoro, diritto civile e diritto sociosanitario. Docente in Master di alta formazione manageriale. Partecipa come relatrice a convegni e seminari. Responsabile Sezione Lavoro de Il Giornale delle PMI.