L’ombra della crisi tedesca sulle PMI Italiane
Germania, crescita zero nel 2024. Da locomotrice d’Europa a vagone fermo sui binari. Le ragioni sono molteplici: centrato sull’export, il modello industriale tedesco si è dimostrato poco flessibile ai mutamenti geopolitici e demografici. La crisi delle forniture di gas russo, la dipendenza dalla Cina per la produzione industriale e la vendita di beni di investimento, ha esposto le vulnerabilità di un sistema che sembrava aver raggiunto una “posizione di rendita”. Questa dipendenza dalle esportazioni è stata messa sotto pressione non solo dalla crisi energetica scaturita dal conflitto Russia- Ucraina, ma anche dal calo della domanda globale e dall’incapacità di adeguarsi prontamente alle nuove dinamiche di mercato.
La crisi economica che sta attraversando la Germania ha un impatto rilevante anche sulle PMI italiane, storicamente legate all’industria tedesca attraverso il sistema delle forniture. La Germania rappresenta il primo mercato di esportazione per le imprese italiane, con un volume di scambi che nel 2022 ha raggiunto i 144 miliardi di euro. Circa il 12% delle esportazioni italiane sono destinate alla Germania, e riguardano settori chiave come il meccanico, l’automotive e il chimico.
L’industria automobilistica tedesca sta vivendo una profonda crisi: Volkswagen, BMW e altre case automobilistiche affrontano riduzione dei posti di lavoro e crolli in borsa. Le nostre PMI che forniscono componentistica a queste industrie soffrono: circa il 40% del comparto automotive italiano è legato a quello tedesco, e un calo della produzione di auto in Germania si riflette immediatamente sulla domanda di componenti provenienti dall’Italia.
«Investire troppo poco è tipico dei soggetti che si sentono in una posizione di rendita, sostiene Federico Fubini, “la tranquilla certezza che la Germania aveva conquistato con l’euro e la globalizzazione è qualcosa di simile a una posizione di rendita. Gli altri Paesi non potevano più svalutare sul marco; i giovani dei molti Paesi fragili d’Europa affluivano a milioni verso la Germania portandole talento e rimediando alla sua demografia; il gas arrivava a condizioni speciali dalla Russia; e la Cina era aperta ai beni d’investimento tedeschi. Inutile dire che questa posizione di rendita, se c’era, è saltata».
Quale export tedesco?
«Negli ultimi due decenni, la Germania ha aiutato in modo significativo la Cina a sviluppare la sua base manifatturiera, senza rendersi conto che un giorno le avrebbe fatto concorrenza” scrive Wolfgang Münchau, giornalista economico tedesco. “ La Cina si è lasciata alle spalle l’epoca dell’imitazione, e oggi è in vantaggio sull’Europa in quasi tutte le aree dell’alta tecnologia, a eccezione forse della difesa. Con l’aiuto tedesco, la Cina è riuscita inoltre a scavalcare l’Europa in molti settori industriali tradizionali, come i pannelli fotovoltaici. È evidente che la questione non si limita all’importazione di autovetture elettriche. La Cina, la seconda economia mondiale, si appresta a fare quello che gli europei, e i tedeschi in particolare, hanno sempre fatto nei decenni passati: invadere il mondo con esportazioni ultra competitive. Non credo che sia questa una buona strategia per la Cina nel lungo termine, ma oggi funziona a meraviglia. Ricordiamo che in passato non si è rivelata una buona strategia per la Germania e i tedeschi oggi vivono sulle rovine di una strategia industriale ormai defunta. E non hanno sottomano nessun piano B».
Serve un piano B anche a noi
La Germania, che per anni ha rappresentato il traino della stabilità economica europea, oggi si trova senza una strategia alternativa. La mancanza di un “piano B” a lungo termine, che preveda un modello industriale più flessibile e diversificato, per le imprese italiane non significa solo la riduzione delle commesse, ma anche l’incertezza della traiettoria futura dell’economia tedesca. Con una Germania meno forte, le PMI italiane dovranno fare i conti e ripensare il proprio modello di business: investire in tecnologie e innovazione, diversificare i mercati per ridurre la dipendenza da quello tedesco, trovare nuove aree di crescita per restare competitivi, in Europa e nel mondo. E farlo velocemente.
La frase di oggi
“Non è la specie più forte a sopravvivere, né la più intelligente, ma quella più reattiva al cambiamento” Charles Darwin