L’Italia digitale deve credere a se stessa
L’Italia deve investire in Cloud e in cybersecurity, pena l’esclusione del sistema Paese dallo scenario competitivo. Se a dirlo, con urgenza, è Roberto Cingolani di Leonardo, la tesi merita la massima attenzione.
Parlando di sicurezza informatica, pensiamo subito alla privacy. È giusto: il GDPR è ormai entrato nella nostra cultura e le tecniche crittografiche fanno progressi. Ma l’evoluzione tecnologica dei servizi, in questa fase spinta soprattutto dall’AI, mette sotto i riflettori soprattutto il tema della disponibilità delle informazioni.
Se vogliamo restare competitivi come sistema Paese, dobbiamo contare su infrastrutture digitali e sui loro elementi abilitanti: la capacità di calcolo dei super computer e una memoria virtualmente illimitata, come solo il Cloud può garantire. La combinazione di questi elementi – anche prima dell’AI, ma ora in modo soverchiante- consente di prendere decisioni migliori più velocemente, ergo di avere il controllo sull’ambito di applicazione. È un concetto teorico, ma si traduce senza troppi passaggi in punti di PIL.
Per questo, è fondamentale che le piattaforme abbiano caratteristiche dettate da un perimetro di interesse comune e nazionale: devono essere italiane, fisicamente e giuridicamente. Invece, abbiamo trasferito quasi interamente la nostra memoria dati su piattaforme straniere, per lo più americane. Grazie alla loro enorme capacità di calcolo, abbiamo consegnato loro potere predittivo e decisionale e una capacità di R&S che, anche grazie all’intelligenza artificiale, riduce il time-to-market e aumenta il ritorno sull’investimento.
Si dice che sia troppo tardi per pensare di costruire una infrastruttura di cloud nazionale. Ma è davvero così?
Il lock-in tecnologico è effettivamente un nodo. Cambiare ha un costo. Creare una filiera nazionale di ricerca, sviluppo e innovazione è una scelta strategica di politica industriale, di indirizzo delle priorità della spesa pubblica. Se buona parte della spesa per gli hyperscaler venisse investita per la costruzione di un’infrastruttura proprietaria, diminuirebbe molto la nostra dipendenza. Semplificando, con un piano quinquennale di 15 miliardi potremmo finanziare un’infrastruttura altamente concorrenziale. Allora anche il settore privato potrà considerare un’alternativa ai player globali che oggi sembrano non avere rivali.
Distogliere quelle risorse –che per noi ora sono voci di spesa corrente- verso programmi di investimento strutturale significherebbe garantire ricadute positive a tutto il sistema produttivo, incluso il mercato del lavoro e dei talenti. L’Italia forma infatti specialisti di ottimo livello e conta su una buona capacità di calcolo (siamo 5° al mondo, ce lo ricorda anche Cingolani): competenze che possiamo far crescere ulteriormente attraverso una roadmap strutturata di sviluppo, fino al raggiungimento di una buona autonomia.
Anche il grande progetto del Polo Strategico Nazionale dovrebbe uscire dall’ottica che ci obbliga a ricorrere, sempre e comunque, alle potenze globali. Il PNRR ci offre un’opportunità unica di costruzione a lungo termine: usiamola per sviluppare davvero il made in Italy digitale.
Nella data economy, i bit informativi sono un asset strategico per tutti i settori, anche quelli più tradizionali. Gli squilibri geopolitici attuali ci insegnano che non è inverosimile il ricorso a ragioni di sicurezza nazionale per giustificare un negato accesso ai dati da parte del provider. Non possiamo neanche escludere aumenti di prezzo improvvisi (le analogie con le risorse energetiche naturali sono evidenti). In questo scenario, chi accede alle informazioni di base ha un grosso peso nel determinare il prezzo finale di un bene, che siano aerei, astronavi, frumento, farmaci o bellissime scarpe made in Italy.
Roberto Cingolani ha ben fatto a esprimersi proprio davanti alla Commissione Attività Produttive: lo sviluppo e la tutela di una filiera digitale italiana è anche un tema di mercato che riguarda un settore in grande crescita e con ricadute su ogni altro comparto produttivo, dall’agricoltura all’aerospazio.
L’Italia ha tutte le capacità e le risorse per decidere di giocare la partita nazionale delle infrastrutture digitali, senza delegare ai big stranieri: eccellenti e indispensabili, ma impegnati in un altro campionato.
I dati sono la benzina che ci trasporta verso il futuro: dobbiamo dar loro un motore potente e sicuro, dalle prestazioni di massimo livello. Un rombante motore made in Italy, proprio come quelli che già tutto il mondo ci invidia.
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Amministratore Delegato di Netalia e Presidente del Consorzio Italia Cloud