L’internazionalizzazione passa dai contenuti
#DigitalTalk con Gabriella Soldadino, CEO di Dotwords.
Internazionalizzazione. Un termine oggi più che mai sulla bocca di tutti. Forse l’unica scappatoia per molte aziende italiane. Troppo spesso, però, vedo i nostri imprenditori partire in quarta per “conquistare” i mercati esteri, senza avere una strategia chiara e definita. Parte fondamentale di questa strategia sono i contenuti, definiti “re della comunicazione” (content is king), il più delle volte trascurati, tradotti velocemente, magari pensando che l’inglese sia la lingua del business mondiale (e lo è), senza però pensare che la cultura di un Paese non è rappresentata solo dall’idioma locale, ma anche dai modi di dire, dagli usi e costumi, da concetti a cui magari noi associamo significati completamente diversi.
Gabriella: «Guarda, non vedo l’internazionalizzazione come l’unica via per la sopravvivenza, ma come un quadro di riferimento che ormai è diventato naturale. Con l’avvento di Internet, con franchezza, non ha senso pensare a prodotti e servizi per un pubblico prettamente locale. “Pensare internazionale” costa ormai tanto quanto “pensare locale”. Vale la pena autolimitarsi? Io dico di no, in nessun caso, anche se non hai l’acqua alla gola. Ma bisogna cambiare non solo l’approccio, ma la cultura dell’azienda. È in questo ambito che una società come Dotwords può fare la differenza. Il nostro compito consiste nel sensibilizzare il cliente su cosa significhi oggi localizzare un prodotto. Non la mera traduzione dei messaggi e delle informazioni di partenza, ma una ricerca culturale, valoriale e semantica per un innesto positivo in un mercato non solo diverso, ma in continuo cambiamento. Solo grazie alle risorse locali Dotwords può garantire una localizzazione efficace, al passo con l’evoluzione dei singoli Paesi, consapevole anche dei livelli di contaminazione reciproca (a livello di usi, di valori, di linguaggi…) che sono diventati velocissimi. Mica poco».
Credo che sia esattamente questa la chiave del discorso: “pensare internazionale costa quanto pensare locale”. E aggiungo anche che “comunicare internazionale” costa quanto “comunicare locale”; per fortuna i Social Media ci aiutano a raggiungere tutto il mondo, in tempo reale. Questo però non significa che sia gratis, né che i risultati arrivino in tempo reale. Per conquistare un mercato ci vogliono almeno 2 o 3 anni, e anche le strategie di comunicazione digitale richiedono cura e competenze, esattamente come i media tradizionali. Un ulteriore ostacolo è far capire agli imprenditori che comunicare in lingua non significa tradurre. Possiamo fare un esempio o citare un caso che riesca a trasmettere la differenza tra tradurre e localizzare?
Gabriella: «In generale comunicare a livello internazionale equivale a un investimento maggiore rispetto a una comunicazione locale. Si possono però sviluppare notevoli efficienze economiche, grazie alla selezione di partner linguistici innovativi che operino con tecnologie all’avanguardia. Per esempio, lavorando direttamente sui sorgenti (eliminando inutili passaggi tra grafici e traduttori), utilizzando nella maniera più efficace le memorie di traduzione, progettando i siti web avendo già in mente il numero e il tipo di lingue in cui sarà declinato. Bisogna anche tenere in considerazione le normative di settore: per diverse case farmaceutiche Dotwords sta seguendo il processo di localizzazione dei foglietti illustrativi dei farmaci secondo i requisiti UNIFARM. Sono d’accordo con te sulla grande opportunità dei social network come strumento di engagement a livello internazionale. Per questo motivo abbiamo incluso il presidio multilingua dei social media nell’ambito dei nostri servizi di supporto all’internazionalizzazione. La tutela dell’approccio linguistico locale dovrebbe comunque essere sempre al centro dei processi di internazionalizzazione, perché gli utenti percepiscono i messaggi secondo i propri registri linguistici e culturali: il traduttore che risiede nel proprio paese di origine, come i 5.000 di cui si avvale la nostra azienda, vive quotidianamente la lingua e le sue evoluzioni, quindi riesci a cogliere le giuste terminologie e le diverse sfumature. Localizzazione significa anche sapere scegliere i colori adeguati per i materiali di comunicazione o il sito internet: classico è l’esempio dell’uso del colore bianco, assolutamente da evitare nei paesi orientali. Per concludere, in merito agli esempi che mi chiedi, non vorrei indugiare e sottolineare gli infortuni in cui sono incappate le aziende. Ma sono sempre stupita dai fantasiosi modi in cui vengono tradotti in italiano i titoli dei film stranieri. Sebbene l’ispirazione possa essere carente, mi sembra una bella caduta tradurre in “Giovani, carini e disoccupati “ il ben più intelligente “Reality Bites”!».
In conclusione direi che si possa dire che comunicare “bene” è l’unica cosa che conta. E spesso costa tanto quanto comunicare “male”. Il nostro compito è fornire agli imprenditori le conoscenze e gli strumenti necessari per cogliere questa differenza.
Per quanto riguarda i mercati internazionali, è importante sottolineare il concetto di “comunicazione localizzata”, cioè pensata e studiata per quel mercato nei contenuti e nella strategia. Pensare di poter tradurre i contenuti dall’italiano ed utilizzare gli stessi canali di comunicazione utilizzati nel nostro Paese, equivale a commettere degli errori che porteranno certamente ad uno spreco di tempo e risorse.
Gabriele Carboni lavora con Philip Kotler, padre del marketing moderno, progettando il futuro del marketing. Kotler lo riconosce come guida nell’Impact Marketing. Carboni è noto come “Game-changer” nelle strategie di marketing digitale e influencer di spicco nel marketing in Italia. È coautore con Kotler di “Essentials of Modern Marketing” e del libro “Doers & Dreamers” con Seth Godin e altri esperti. Ha molti anni di esperienza in strategia di marketing digitale, è consulente, formatore e speaker a livello internazionale.