L’emergenza rallenta la crescita del mercato analytics: 1,8 mld di euro, +6%. Nell’uso dei big data aumenta il divario fra imprese mature e tradizionali
L’emergenza Covid19 ha evidenziato l’importanza di valorizzare i dati per prendere decisioni rapidamente e garantire continuità di business nei momenti di crisi, ma ha anche obbligato molte imprese a ripensare i piani di investimento. Ciò ha portato ad allargare il divario fra quelle mature, che hanno razionalizzato gli investimenti riuscendo a reinventare o accelerare la strategia data-driven, e quelle più tradizionali, che hanno interrotto o posticipato gli investimenti. Il risultato è un rallentamento della crescita del mercato Analytics, che nel 2020 in Italia raggiunge 1,815 miliardi di euro, mostrando un +6% rispetto allo scorso anno, dopo il +23% registrato nel 2018 e il +26% nel 2019.
La maggior parte della spesa si concentra sui software (52%, +16% rispetto al 2019), in particolare per Artificial Intelligence e le Data Science Platform. Seguono i servizi, che rappresentano il 28% del mercato, e le risorse infrastrutturali (20%, +7%), cioè i sistemi di abilitazione agli Analytics in grado di fornire capacità di calcolo e di storage. Il budget Analytics in Cloud cresce del +24% e questa componente arriva a pesare il 19% della spesa (+2% rispetto al 2019). Le banche sono il primo settore per quota di mercato (28%), seguite da manifattura (24%), telco e media (14%), servizi (8%), Gdo e retail (7,5%), assicurazioni (7%), utility (6.5%), PA e sanità (5%).
Nonostante il rallentamento e le difficoltà legate al Covid19, il 96% delle grandi imprese prosegue a compiere attività per migliorare la raccolta e valorizzazione dei dati e il 42% si è mosso, in termini di sperimentazioni e competenze, in ambito Advanced Analytics. Tra le PMI invece il 62% ha in corso qualche attività di analisi dati, di cui il 38% avanzate. Una su due ha compiuto degli investimenti in quest’ambito nell’ultimo anno. Si tratta tuttavia di investimenti molto limitati, che difficilmente superano un approccio a silos nella gestione dei dati. I profili di data science sono ormai ampiamente diffusi nelle grandi imprese: nel 2020 vi è una stabilità nella diffusione di Data Analyst, presenti ormai nel 76%, e di Data Scientist, presenti nel 49%, ma sono in crescita Data Engineer (58%, +7%) e Data Visualization Expert (52%, +31%), mentre si afferma come profilo emergente l’Analytics Translator (presente nel 30% delle aziende).
Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics della School Management del Politecnico di Milano (www.osservatori.net)* presentata questa mattina durante il convegno online “Analytics divide: un gap che va colmato”.
“Nel 2020, nell’emergenza sanitaria, il tema della valorizzazione dei dati è avvertito dalle aziende italiane come di fondamentale rilevanza. – afferma Carlo Vercellis, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics – Ma la crescita del mercato rallenta rispetto al passato, perché molte organizzazioni hanno ripensato i piani di investimento. In realtà, si assiste ad un ampliamento del gap tra le aziende mature nella gestione e analisi dei dati e quelle in ritardo. In un contesto di grande incertezza, infatti, quelle mature hanno mostrato maggiore capacità di fornire risposte ai nuovi interrogativi, aumentando le risorse di Data Science, ripensando modelli predittivi e di ottimizzazione. Quelle con un approccio tradizionale, limitato a classiche attività di Business Intelligence hanno interrotto o posticipato gli investimenti, con conseguenze determinanti sulla loro capacità di competere in un mercato sempre più data-driven oriented”.
“La pandemia ha portato a ripensare alcune attività di analisi dei dati, ponendo maggior attenzione all’efficienza, alla presenza di competenze interne e alla governance dei dati e della Data Science. – spiega Alessandro Piva, responsabile della ricerca dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics – Il Covid è stato uno stress test: mentre le aziende più immature hanno visto una riduzione dell’interesse al tema, quelle orientate all’approccio data-driven hanno saputo reinventarsi. Le altre tendenze che emergono dalla ricerca sono l’applicazione del Machine Learning nell’intero ciclo di vita dei dati, l’industrializzazione degli Advanced Analytics e una maggiore maturità organizzativa”.
Le grandi imprese – Oltre 4 grandi imprese su 10 hanno una strategia avanzata anche in ambito Advanced Analytics e possono definirsi mature, con il 26% che ha progetti operativi e grande richiesta di competenze di Data Science nelle diverse funzioni (data-driven) e il 16% che ha avviato diverse sperimentazioni negli ultimi tre anni. Le aziende immature si dividono tra realtà che hanno discusso idee progettuali e possiedono le competenze adatte per avviare dei progetti (19%), imprese che hanno iniziato ad avvicinarsi al mondo Analytics e hanno figure con abilità di reporting e visualization (27%) e quelle ancora poco consapevoli delle opportunità degli Advanced Analytics, senza profili specializzati né sperimentazioni avviate negli ultimi tre anni (12%).
Nel 2020 il 70% delle grandi imprese ha lavorato per migliorare i propri dati e la capacità di valorizzarli; il 26% prevede di farlo entro la fine dell’anno, concentrandosi soprattutto sulla qualità dei dati (82%), sugli investimenti tecnologici per integrarli (78%), su progetti di Advanced Analytics (61%), su una migliore capacità di project management in quest’ambito (55%) e sugli investimenti in software di Data Visualization (54%). La qualità dei dati è rilevante per ogni tipologia di azienda, ma le immature vedono al primo posto la necessità di integrare dati da fonti diverse (92%). Le aziende mature hanno tra le prime priorità l’inserimento di nuove competenze (58% di risposte), tra le immature questo avviene solo nell’8% dei casi. E la differenza si nota anche nella risposta all’emergenza: solo il 14% delle imprese mature ha messo la valorizzazione dei dati in secondo piano in questi mesi (mentre lo ha fatto il 45% delle immature), anzi il 43% ha intensificato il lavoro di Data Science e il 31% ha avuto benefici in termini di cambiamento culturale data-driven (queste percentuali si fermano rispettivamente al 30% e al 17% fra le imprese immature).
La Data Governance risulta ancora secondaria rispetto all’attenzione dedicata ai progetti di Analytics: più di una grande azienda su due la gestisce in modo informale e non strutturato, anche se le imprese con una struttura dedicata crescono dal 3% al 15%. Solo nell’1% è presente un Chief Data & Analytics Officer responsabile sia della Data Governance sia della Data Science.
I profili di Data Science – La diffusione di alcune figure professionali fatica a crescere e l’emergenza aumenta la distanza fra le imprese più avanzate e quelle in ritardo. Nel 2020 rimane stabile la percentuale di imprese che ha inserito un Data Analyst (76%) o un Data Scientist (49%), a conferma della difficoltà delle organizzazioni in ritardo di trovare o formare competenze interni su questi ambiti. I profili più in crescita sono il Data Visualization Expert (presente nel 52% del campione, +31%) e il Data Engineer (58%, +7%), mentre cresce lievemente la presenza del Data Science Manager (24%, +1%).
La ricerca di quest’anno ha evidenziato la figura emergente dell’Analytics Translator, profilo intermedio fra il team di Data Science e le figure di business, che comprende le esigenze di business traducendole in termini analitici e interpreta i risultati delle analisi svolte. Il 30% delle grandi aziende ne ha già inserito o formato almeno uno e l’8% lo farà entro il 2021.
Le PMI – L’emergenza sanitaria ha ridotto risorse e competenze nelle PMI ma non ne ha interrotto il percorso di avvicinamento ai Big Data Analytics avviato nel 2019. Nel 2020 una PMI su due ha investito in ambito analisi dei dati o prevede di farlo entro la fine dell’anno e l’8% ha dovuto bloccare investimenti già programmati a seguito dell’emergenza. Fra le medie imprese ha investito il 61% e solo l’1% ha fermato gli investimenti. Secondo il 22% delle piccole e medie imprese, il Covid ha avuto risvolti positivi per la valorizzazione dei dati perché è aumentata la consapevolezza di quanto sia rilevante (18%) e ha portato le risorse interne a dedicare più tempo a gestione e analisi dei dati (4%).
Soltanto una PMI su quattro non ha investito né avviato progetti di Analytics (32%), contro il 38% dello scorso anno. Il 6% non ha ancora in corso nessuna attività di analisi dati ma ha effettuato investimenti abilitanti, come l’integrazione delle fonti di dati. Il 24% svolge attività di analisi descrittiva (+6%) e un terzo di queste usa software di Data Visualization dedicati. Sostanzialmente stabile la percentuale di aziende che svolge anche analisi predittive (+38%). Considerando quel 62% di aziende che svolge analisi sui dati, soltanto il 38% svolge attività di integrazione di dati interni e il 28% acquista dati esterni.
Solo il 18% ha alcune figure dedicate all’analisi dei dati all’interno dell’IT, nel 39% dei casi i referenti di queste attività sono invece distribuiti nelle funzioni aziendali, in un ulteriore 27% ci si appoggia esclusivamente a competenze esterne, infine nel 17% dei casi queste competenze sono del tutto assenti.