Leadership gentile: questione di silenzio e maratone
Che idea avete del leader? Vi figurate una persona che guida la squadra stabilendo compiti e dando ordini oppure immaginate una persona carismatica che gli altri tendono con naturalezza a seguire a dalla quale traggono ispirazione? In uno dei miei viaggi in India ho conosciuto Tara Gandhi, l’ultima nipote del Mahatma. Forse vi sorprenderà sapere che il suo nome è l’ultima informazione che ho acquisito sul suo conto. Mi aveva rivolto la parola dopo essersi seduta accanto a me in una panchina e, solo dopo avermi domandato della mia vita, aveva iniziato a parlare di lei e del suo lavoro in una Fondazione che aveva come missione quella di portare il pensiero e l’ispirazione gandhiana in tutto il mondo. Alla fine della chiacchierata propose di rimanere in contatto e mi diedi il biglietto da visita: fu così che scoprii di chi si trattava.
Tara Gandhi è una di quei leader che io definisco “silenziosi” perché non hanno bisogno di comunicare il loro job title per descriversi: la loro guida si esprime coi fatti. Un altro aggettivo che uso per riferirmi a queste persone è “gentili” per sottolineare la loro grande qualità umana: una caratteristica che non va mai scambiata per passività e arrendevolezza perché la gentilezza non è una soft skill né un atto episodico di buona disposizione d’animo. È piuttosto un moto permanente, che include l’accettazione della sofferenza e un prodigioso allenamento all’accettazione non passiva dell’ingiustizia.
A chi mi chiede se la gentilezza possa essere “insegnata” oppure “acquisita”, non rispondo con un “no” ma puntualizzo che servirà un percorso lungo e difficile di consapevolezza se non si è predisposti per natura. Di sicuro non bastano i decaloghi e nemmeno le buone intenzioni, ancor meno se vengono pubblicizzate. Fatemi anche aggiungere che i risultati non si vedranno domani, né dopodomani: l’integrità si mostra con continuità nel tempo e nelle cose.
Questo non vuol dire che non bisogna provare a mettere in pratica l’ascolto attivo o cercare di calarsi nei panni degli altri per provare a comprendere quali situazioni stanno affrontando e quali ostacoli intralciano il loro cammino. La flessibilità e la capacità di risolvere i conflitti, altre due qualità che oggi vengono considerate cruciali per essere un leader gentile, sono importanti a prescindere per chi ha un ruolo di responsabilità. E ben venga anche chi riesce a motivare i propri collaboratori e dipendenti portandoli a voler raggiungere un obiettivo piuttosto che imporglielo.
Io ho sempre avuto una predilezione per i leader silenziosi e gentili, ma sono in molti a pensare che convenga fare questo cambio di passo. Adecco, la multinazionale di selezione del personale, elenca tra le conseguenze vantaggiose di questo tipo di leadership un più forte senso di squadra e un miglioramento della soddisfazione dei dipendenti così come del loro impegno e, di conseguenza delle loro prestazioni e della loro produttività. Proviamo allora a fare questo sforzo, tendiamo al “management gentile”. Cerchiamo però di farlo somigliare a una maratona, e non a uno sprint.
Psicologo del Lavoro Organizzazioni, CEO at Net Working Srl, Co-founder The European Hardiness Institute, Presidente Manageritalia Executive Professional, Istruttore Interventi Basati sulla Mindfulness(MBI/MBSR), blogger