Le sfide del passaggio generazionale nelle PMI italiane
Il passaggio generazionale nelle PMI italiane continua a rappresentare una fase critica che incide significativamente sulla loro sopravvivenza e crescita. Secondo i dati del 2023, circa il 60% delle PMI italiane è gestito da imprenditori oltre ai 60 anni ma solo il 30% delle aziende riesce a superare la prima generazione e solo il 12% arriva alla terza.
Uno dei principali ostacoli è la mancanza di preparazione e pianificazione. Molti tardano a pianificare il passaggio generazionale, spesso per motivi emotivi o per mancanza di fiducia nelle competenze dei successori. Inoltre, la complessità normativa e fiscale italiana sembra non facilitare il processo, rendendo ancora più arduo il trasferimento delle attività. Ma è proprio così?
Racconta Benedetto Tonato, fondatore della società di advisory Endevo, che di passaggi generazionali ne ha seguiti molti e per imprese di ogni taglia: “È un tema che sembra interessare più i consulenti che gli imprenditori, che se ne occupano quando oramai è tardi. Ma il tema è mal posto: perché invece di parlare di passaggio generazionale è più corretto parlare di “continuità d’impresa” o di continuità generazionale, perché è della continuità dell’impresa che tutti devono occuparsi e pre-occuparsi. E lo si deve fare per tempo, idealmente con le seconde generazioni: senza formule magiche, perché ogni impresa e ogni famiglia sono uniche per formazione, storia e aspettative. Vari gli strumenti: si parla di family constitution, di protocollo di famiglia, di patto di famiglia, regole che servono a gestire in modo ordinato i diversi gruppi familiari, individuando i principi della Famiglia, e definendo l’impegno di tutti nei confronti di valori – visione – missione del business, individuano gli organi della Governance Familiare. Non è un caso che il Prof. Miguel Angel Gallo, massimo studioso delle aziende di famiglia, abbia definito i Family Protocol “…strumenti di pace…”.
Aggiunge Tancredi Marino, che guida l’area Tax e Private Clients in DWF: “La recente riforma tributaria ha modificato la disciplina di alcuni istituti come la costituzione di holding di famiglia e fiscalità del trust. Molte aziende si trovano di fronte, dopo anni di sviluppo aziendale, alla questione della detenzione delle partecipazioni direttamente in capo al fondatore dell’impresa, rendendo opportuno il loro trasferimento in una società di capitali (holding) per una gestione condivisa fra gli eredi o l’ingresso di un investitore. Ciò può determinare l’emersione di una plusvalenza imponibile in capo alla persona fisica; per questo, l’ordinamento prevede un regime a “realizzo controllato”, che consente la sua sospensione. La riforma estende l’applicazione anche a partecipazioni di controllo e “qualificate” in società estere; all’incremento del controllo anche in assenza di obblighi legali o vincoli statutari; ai conferimenti in società partecipate anche da familiari del conferente.
Invece, con riferimento al trust la riforma contempla la possibilità di optare fra la tassazione ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni: o al momento della dotazione del trust; o rinviandola all’atto (futuro) dell’assegnazione ai beneficiari. Considerando che l’Italia ha, attualmente, una delle tassazioni più basse a livello europeo per le successioni e donazioni, sarebbe probabilmente preferibile costituire in trust i patrimoni utilizzando le aliquote applicabili oggi”.
Un altro aspetto critico è la formazione dei successori. Solo il 40% delle PMI ha un piano di formazione strutturato per le nuove generazioni, il che compromette la continuità e l’innovazione aziendale. È essenziale implementare programmi di mentoring e formazione che preparino adeguatamente i giovani imprenditori E non è solo un tema italiano: anche nel resto del mondo l’impresa con patrimonio in mano alle famiglie è preponderante nel sistema economico, con percentuali anche superiori ma da noi la gestione rimane saldamente in mano alla famiglia, a differenza degli altri Paesi.
L’elemento caratterizzante in Italia è concentrare al suo interno tre “beni” di grande importanza e fortemente tutelati nell’ordinamento giuridico italiano: famiglia, azienda e patrimonio. Racconta Mascia Cassella, Partner di Masotti Cassella: “il contemperamento degli interessi tra questi tre capisaldi è relativamente facile sino a quando le dimensioni dell’impresa sono modeste e il controllo in mano al fondatore. Ma il mantenimento di questo equilibrio diventa molto più complesso nella fase di transizione generazionale, quando differenti visioni ed interessi possono apportare scossoni e trasformare il passaggio generazione in conflitto infra o intergenerazionale. L’organizzazione della struttura societaria per prevenire il contrasto diventa di vitale importanza e le possibilità sono molte: dalle modifiche statutarie, con maggioranze e regole di gestione volte a “imporre” unità di intenti ai futuri soci per decisioni strategiche; con patti parasociali per arrivare a soluzioni societarie più complesse o scegliendo un management totalmente esterno o addirittura la vendita pur di traguardare la continuità. L’importante, insomma, è scegliere di anticipare il problema e trasformarlo in opportunità”.
Le sfide del passaggio generazionale nelle PMI italiane sono dunque molteplici e complesse, e richiedono un approccio olistico che includa pianificazione strategica, supporto normativo e fiscale, e investimenti nella formazione. Affrontare queste sfide in modo proattivo può garantire non solo la sopravvivenza delle imprese, ma anche la loro crescita sostenibile nel lungo termine.