Lavorare per passione o con passione?
Come va il tuo lavoro? “Sono veramente stressato!” Rispose il giovane tecnico informatico, diciannove anni, da sei mesi assunto nel reparto IT di una PMI. “Sono in pieno burnout” aggiunse l’altro collega, poco più che ventenne. Con una certa apprensione, chiesi al loro capo: “Ma i ragazzi che carico di lavoro hanno?” Risposta: “Devono gestire un paio di richieste al giorno, circa un’ora di lavoro.”
Ma quando hanno scelto di frequentare un istituto tecnico con indirizzo informatico, quanto si aspettavano di lavorare?
Perché alcune persone amano il lavoro che fanno e altre no?
Sono molte le ragioni che ci portano a essere soddisfatti di ciò che facciamo. Oppure di non esserlo.
“Seguite la vostra passione!” consigliava Steve Jobs agli studenti di Stanford.
Questo invito implica conoscere bene ciò che ci appassiona. Ma lo sappiamo veramente cosa ci appassiona, da giovani?
Alcuni anni fa lo psicologo canadese Robert J. Vallerand ha sottoposto un questionario approfondito a 539 studenti universitari del suo Paese, con domande pensate per rispondere a due importanti quesiti:
Questi studenti hanno delle passioni? E se sì, quali sono?
L’84 per cento degli studenti intervistati ha risposto: “Certo che ho delle passioni.” Una buona notizia. Alla domanda: quali passioni? Le prime cinque sono state: danza, hockey (erano studenti canadesi), sci, lettura e nuoto.
Ma che centrano queste passioni con gli studi che stavano facendo o con il lavoro futuro?
Amy Wrzesniewski, docente di Comportamento delle organizzazioni all’Università di Yale ha pubblicato sul Journal of Research in Personality i risultati di una ricerca condotta intervistando lavoratori di diverse professioni, medici, insegnanti, programmatori di computer, impiegati amministrativi.
Ha scoperto che la maggior parte delle persone connota chiaramente il proprio lavoro con una di queste tre categorie: lavoro, carriera, vocazione. La differenza?
Il lavoro è un modo per pagare le bollette.
La carriera è un percorso verso un ruolo sempre migliore.
La vocazione è quando il lavoro è parte importante della propria vita e della propria identità. Non è difficile pensare che chi fa il medico o l’insegnante lo faccia per vocazione. Anche se vedendo all’opera alcuni medici e alcuni insegnanti non possiamo darlo per scontato.
La Wrzesniewski ha approfondito l’esame rivolgendosi a un gruppo di dipendenti con lo stesso ruolo e responsabilità lavorative: assistenti amministrativi universitari.
Ha scoperto, con sua stessa sorpresa, che questi si dividevano in modo quasi equo tra chi vedeva il proprio mestiere come un lavoro, una carriera o una vocazione.
Quindi, non dipende dal lavoro che fai, dipende dalla persona che sei.
Nel capire le ragioni di questa apparente incongruenza è emerso che il fattore che sposta l’ago della bilancia da lavoro a vocazione è il numero di anni trascorsi facendolo.
In altre parole, più esperienza hai in un mestiere, più è probabile che ami ciò che fai.
Emergono 3 considerazioni:
- Nella scelta del proprio percorso professionale la passione iniziale incide poco.
- La passione per svilupparsi richiede tempo
- I dipendenti più felici non sono quelli che hanno seguito la passione iniziale nella scelta del lavoro, ma quelli che hanno lavorato abbastanza a lungo da diventare bravi in ciò che fanno.
Ha senso.
Se abbiamo molti anni di esperienza, abbiamo avuto il tempo di migliorare, di eccellere in ciò che facciamo. Di esserne soddisfatti. Di sviluppare relazioni solide con i colleghi. Di constatare come il nostro lavoro possa essere di beneficio agli altri.
Conclusione: la passione è un effetto collaterale della nostra competenza.
Si risveglia con i buoni risultati di ciò che facciamo.
Come l’entusiasmo che ci fa alzare dalla sedia quando la squadra del cuore segna un goal.
In questo caso il calciatore siamo noi.
La frase di oggi
“Il lavoro non mi piace, non piace a nessuno. Mi piace quello che c’è nel lavoro: la possibilità di trovare se stessi”, Joseph Conrad, scrittore.