La ripartenza economica dell’Italia è nelle mani delle PMI
Il cuore battente dell’economia italiana sono le PMI e, pertanto, devono essere protette e supportate. In Italia l’85% delle imprese, che rappresentano il 70% dell’occupazione, sono piccole e medie imprese che hanno storicamente resistito con coraggio ai momenti di crisi, ma che dopo il covid hanno bisogno di essere supportate in materia di crescita, sviluppo e innovazione. Rappresentano quindi l’elemento chiave della ripartenza del Paese.
Il ruolo delle piccole e medie imprese nella ripresa post-pandemia italiana sarà sempre più preponderante e l’Italia ha bisogno di mettere in atto cambiamenti strutturali per tenersi al passo con i tempi, con le nuove tecnologie e le nuove esigenze dei consumatori. La resilienza degli imprenditori, che ha fatto resistere 3 su 4 PMI durante la pandemia, deve essere affiancata a percorsi di crescita, miglioramento e ottimizzazione delle risorse, come ho spiegato nella mia recente ricerca per Rome Business School “L’imprenditorialità italiana. Analisi dei trend di successo per la ripresa economica del Paese” scritta in collaborazione con la dott.ssa Katerina Serada, Fondatrice del SDG Hub (Center for Sustainable Economies and Innovation).
In primo luogo, dobbiamo avviare una trasformazione verso un’economia circolare più sostenibile, in cui il modello non sia più quello di “take-make-dispose”, dove tutto ciò che viene prodotto e consumato finisce per essere poi scartato, ma piuttosto un modello basato sul “reduce, reuse, recycle”, dove ad ogni prodotto venga data una seconda, terza o ennesima vita. Nel caso dell’Italia, in particolare, l’economia circolare aiuterebbe a ridurre l’altissima dipendenza che abbiamo dalle materie prime “critiche” (la cui richiesta, a livello globale, è raddoppiata nell’ultimo decennio), che mettono a rischio la competitività delle PMI e dell’industria nazionale. Ciò ottimizzerebbe i costi delle attività produttive con benefici sia per le imprese sia per i cittadini, con un conseguente impatto positivo anche sulla competitività internazionale fondata sulla dicotomia “maggiore qualità a prezzi inferiori”. Inoltre, il passaggio all’economia circolare trasformerebbe una serie di problematiche proprie del sistema produttivo nazionale in delle opportunità per le PMI italiane, soprattutto per quelle legate al settore manifatturiero, che può così ripensare e modificare radicalmente il modello produttivo e consolidare la propria presenza nelle catene di valore globali.
Questa transizione non è certamente immediata né scontata, ma per attuarsi implica l’urgente implementazione di cambiamenti radicali che comprendono le modalità in cui progettiamo, produciamo, forniamo e manteniamo valore nelle nostre economie. Si tratta di un cambiamento radicale nel paradigma economico che, senza ombra di dubbio, produrrà un impatto diretto su ogni impresa e value chain, ma si confermerebbe vincente considerando che questo sistema è il partner naturale delle PMI e che tante di esse già attuano modelli di economia circolare.
Se implementata bene, l’economia circolare stimolerebbe la creatività degli imprenditori e amplierebbe la gamma di prodotti realizzati con materiali rinnovabili e riciclati, nonché design innovativi. Inoltre, a causa della stretta interazione e correlazione tra beni e servizi circolari, si potrà altresì creare un mercato di “servizi legati alla circular economy”. Il passaggio all’economia circolare rappresenterà anche un’opportunità per le PMI, storicamente legate ad alcuni settori produttivi specifici particolarmente connessi al concetto di Made in Italy, come nel caso del settore agroalimentare, in quanto permetterà di aprire nuovi flussi di reddito e lo sviluppo di nuovi “design sostenibili”. In generale, questa trasformazione migliorerebbe la resilienza economica, costruirebbe legami più forti con i fornitori e consumatori, aumenterebbe il rapporto costo-efficacia e rafforzerebbe l’efficienza delle risorse umane.
In secondo luogo, le PMI si trovano ad affrontare un periodo di transizione deciso verso il digitale. Lo stato di digitalizzazione delle PMI italiane è ancora in fase preliminare, e questo gap è stato messo in luce dalla pandemia, che ha mostrato in modo netto gli effetti delle scarse conoscenze digitali (nel 2020, il 30,4% delle imprese ha evidenziato un risparmio importante derivante dalla digitalizzazione). Infine, si evidenzia la mancanza di vero e proprio divario Nord-Sud, in quanto il deficit tecnologico, a livello di impresa, è presente in tutta Italia.
Questo processo, a mio avviso, potrebbe essere favorito ad esempio tramite la creazione di una piattaforma digitale nazionale che faciliti l’accesso delle PMI a bandi e finanziamenti che supportano la digitalizzazione, e allo stesso tempo le colleghi con partner e istituzioni che possano supportarle nel corretto utilizzo di tali risorse. Non dobbiamo fare attenzione soltanto al bisogno di investimenti per la digitalizzazione, ma anche allo sviluppo di un sistema integrato dove vengano favorite le collaborazioni sinergiche tra realtà lontane e diverse come PMI, centri di ricerca, fornitori di servizi digitali e lo Stato. Certamente, per avviare un percorso di digitalizzazione da zero bisogna poter contare su risorse importanti e, in questo momento, il governo ha il compito non facile di stanziare nel migliore dei modi i finanziamenti previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Inoltre, è importante ribadire che la maggior parte delle PMI italiane sono a conduzione familiare – circa 784.000 imprese – e ciononostante, il loro ruolo non risulta adeguatamente valorizzato dal PNRR. Sarà quindi necessario valorizzarne il potenziale attraverso l’integrazione delle loro caratteristiche distintive all’interno del Piano per poter migliorare e velocizzare in maniera solida e concreta la ripartenza, non solo economica, del Paese, ricordando che queste imprese a conduzione familiare hanno da sempre saputo assorbire lo shock delle crisi e continuano a preservare la tradizione, l’esperienza e l’eccellenza legate al Made in Italy, un sistema ben strutturato ad alto tasso di competitività ed innovazione creativa, fortemente legato alle risorse del territorio.
Nell’attuale scenario macroeconomico di ripartenza post-pandemia, possiamo affermare che non basta soltanto investire su quegli aspetti del nostro mercato che già sappiamo essere vincenti. Al contrario, risulta quanto mai necessario far fronte immediatamente ai molteplici e continui cambi di paradigma con una nuova e ben strutturata proposta imprenditoriale, che consideri gli impatti sull’economia reale attraverso un approccio sistemico che vada nella direzione indicata dal Piano Next Generation UE e, a livello nazionale, dalle linee guida inserite nel PNRR, in particolare facendo riferimento alle nuove direttive in materia di economia circolare e sostenibilità e, al contempo, riconoscendo la necessità di fornire un efficace supporto alle PMI a conduzione familiare, soprattutto in materia di digitalizzazione.
Direttore del Centro di Ricerca della Rome Business School