La localizzazione e i blog multilingue
[dropcap]C[/dropcap]i sono voluti anni per convincere le aziende che un sito destinato ad un target internazionale debba essere localizzato a seconda del Paese a cui ci si rivolge. Il sito “multilingue” è diventato finalmente “d’obbligo” anche per le aziende nostrane, che non pretendono più che tutto il mondo parli italiano; grazie ai canali di comunicazione web, ora le aziende possono approcciare nuovi mercati internazionali, posizionando il proprio brand dopo averlo localizzato.
Localizzare il proprio blog è ancora la strada giusta?
L’esempio più classico sono le bandierine che si trovano spesso in alto a destra nei siti web: con un semplice click l’utente può passare da una lingua ad un altra, rimanendo sulla stessa pagina.
Persino Google, nelle sue “best practice” consiglia di creare pagine con contenuti in una sola lingua, in modo che Google stesso possa riconoscerne il testo, e indicizzarle meglio; andrebbero quindi assolutamente evitate le pagine con contenuti in più lingue, come l’esempio sottostante; questo non per evitare che il motore di ricerca più famoso al mondo penalizzi il sito, ma per non creare confusione nell’utente, che si troverebbe un contenuto scritto in più lingue.
Grazie ai moderni CMS è possibile creare siti multilingue (stessi contenuti tradotti nelle diverse lingue), o siti localizzati, con contenuti cioè sensibilmente diversi a seconda del Paese.
Un sito web multilingue è un sito che offre i contenuti in più lingue. Un esempio di sito web multilingue potrebbe essere il sito di un’azienda canadese offerto nelle versioni inglese e francese, oppure un blog sul calcio dell’America latina disponibile in spagnolo e portoghese.
Un sito web multiregionale è un sito che si rivolge espressamente a utenti di diversi Paesi. Alcuni siti sono sia multiregionali che multilingue, ad esempio un sito potrebbe avere versioni diverse per gli Stati Uniti e il Canada e versioni in francese e in inglese dei contenuti per il Canada.
Negli ultimi due/tre anni, si sta assistendo però ad un fenomeno in netta crescita, in totale controtendenza con le “regole” dettate dall’usabilità dell’utente, o da Google. Famosissimi blog, soprattutto del settore fashion, scrivono articoli dai contenuti bilingue, prima in inglese, poi in italiano, senza preoccuparsi di fornire un qualsivoglia sistema che aiuti l’utente (o Google) a usufruire al meglio del sito stesso (o semplicemente a distinguere la lingua dei contenuti).
Il fashion blog di Chiara Ferragni, The Blonde Salad, è tra i più famosi al mondo nel settore nonostante i contenuti “poco rispettosi” delle regole che vengono considerate dagli addetti ai lavori come fondamentali per un qualsiasi buon sito. Gli articoli di Chiara sono infatti soprattutto ricchi di immagini, di alta qualità, accompagnate però sempre da uno, due paragrafi di testo, prima in inglese, poi in italiano. Non c’è nessuna cura particolare nella disposiaizone dei contenuti, o nella loro impaginazione. Chi segue i blog di moda è infatti abituato a questo tipo di impostazione: tante foto, poco testo, e la descrizione degli abiti o degli accessori indossati per l’occasione.
Pochi contenuti e foto di qualità sono la nuova strada del blogging?
Anche agoprime.it, in aprile tra i primi 50 fashion blog d’Italia, utilizza lo stesso schema per i contenuti.
Com’è possibile quindi, che nonostante questa controtendenza, i fashion blog possano avere tale successo?
Va anche considerato il recente aggiornamento di Google, Panda 4.0, che a quanto pare penalizzerebbe i siti poveri di contenuti, tanto da mettere in difficoltà addirittura eBay.
Dobbiamo quindi dare retta a Google, che ci “costringe” a creare siti su piattaforme strutturate, per agevolare la fruibilità dei contenuti e la localizzazione degli stessi, o ci dobbiamo forse rendere conto che, ancora una volta, il web corre ad una velocità superiore a quella di chi ci lavora?
Siamo noi a correre dietro a Google o è il contrario?
A quanto pare gli utenti destinatari di questo tipo di blog non sono interessati a contenuti testuali particolarmente coinvolgenti, né si preoccupano se nella stessa pagina ci sia un contenuto in più lingue; si lasciano semplicemente coinvolgere da questo nuovo tipo di storytelling fatto di outfit e location da sogno.
Back to the future?
È possibile che sia questa la nuova frontiera dei siti multilingue? Un ritorno al passato ed alla semplicità, a favore di una scorrevolezza maggiore?
Come si pone Google di fronte a questo tipo di siti web? Teoricamente gli articoli di The Blonde Salad dovrebbero essere fortemente penalizzati.
Se lo sono, da dove arriva il traffico del sito? Dai Social Media? Dalle condivisioni degli utenti e degli altri blog?
Sarebbe possibile applicare questa metodologia anche ai siti aziendali? Che ruolo hanno effettivamente i Social Media in tutto questo?
Lo so, questo post lascia con tante domande, e direi nessuna risposta. Mi sembra però un argomento di discussione piuttosto interessante. Cosa ne pensate?
Gabriele Carboni lavora con Philip Kotler, padre del marketing moderno, progettando il futuro del marketing. Kotler lo riconosce come guida nell’Impact Marketing. Carboni è noto come “Game-changer” nelle strategie di marketing digitale e influencer di spicco nel marketing in Italia. È coautore con Kotler di “Essentials of Modern Marketing” e del libro “Doers & Dreamers” con Seth Godin e altri esperti. Ha molti anni di esperienza in strategia di marketing digitale, è consulente, formatore e speaker a livello internazionale.