La fiammata delle materie prime può azzoppare il Superbonus: l’indagine della CNA
Gli interventi per la riqualificazione del patrimonio immobiliare, e in particolare il Superbonus 110%, stanno aiutando il settore delle costruzioni a risollevarsi da una crisi che dura dal 2008 e l’emergenza sanitaria ha in parte accentuato. Ma su questa ripresina pende una sorta di “Spada di Damocle”: la fiammata delle materie prime. Un effetto – temono le imprese – che potrebbe addirittura ridurre la portata espansiva delle agevolazioni.
A rilevarlo una indagine condotta dal Centro studi della CNA, dedicata a “La ripresa del settore delle costruzioni tra agevolazioni e aumenti delle materie prime”, cui ha partecipato un campione rappresentativo di imprese artigiane, micro e piccole della filiera, che operano nei comparti della installazione di impianti, dell’edilizia, dei serramenti.
Il sostegno ha messo il turbo
Il 57% delle imprese assicura che l’introduzione delle misure agevolative a favore della filiera delle costruzioni sta avendo un impatto positivo sulla propria attività. Con picchi del 65,9% nel comparto dei serramenti (contro il 56,3% dell’installazione e il 55,4% dell’edilizia) e del 64,2% nelle imprese con oltre dieci dipendenti a fronte di un 56% nelle imprese fino a dieci addetti.
Oltre a dare un impulso alla domanda nella filiera delle costruzioni, gli incentivi stanno avendo un effetto benefico anche sulla organizzazione delle imprese, mettendole nelle condizioni di accrescere competenze e “catalogo”. In particolare, il 33,7% ha ampliato il ventaglio dell’offerta di lavori e servizi, adeguandola agli interventi sostenuti; il 27,8% ha assunto nuovo personale; il 23,3% sta sperimentando nuovi fornitori.
Fiammata (dei prezzi) da paura
Questo scenario vede addensarsi all’orizzonte, però, nuvole cupe che potrebbero stravolgerlo. Quasi quattro imprese su cinque (il 79%, per la precisione) del campione segnalano aumenti nei prezzi dei materiali, delle materie prime e delle apparecchiature rispetto ai corsi di un anno fa, prima che scoppiasse la pandemia.
Nel dettaglio, nel settore delle costruzioni gli aumenti più importanti in un anno riguardano i metalli (+20,8%), con punte che superano il +50%; i materiali termoisolanti (+16%) con punte che oscillano tra il +25% e il +50%; i materiali per gli impianti (+14,6%), con punte che superano il +25%, e il legno (+14,3%). Elevata anche la crescita per altri materiali, che oscilla tra il +9,4% di malte e collanti e il +11,3% dei laterizi. Meno marcati ma comunque poco sotto il +10% gli incrementi sofferti dall’impiantistica e anche dal settore dei serramenti, dove ha inciso maggiormente il rialzo dei prezzi di semilavorati in alluminio o altri metalli. Ma che cosa sta capitando? Il 72% delle imprese addebita la fiammata dei prezzi, in parte o del tutto, ai comportamenti speculativi della catena di fornitura.
Quale che sia la causa di questa fiammata il rischio, gravissimo, di tali aumenti è la drastica riduzione della marginalità delle imprese e, di conseguenza, del loro eventuale rafforzamento dopo tanti anni di crisi. Oltre la metà delle imprese ammette di essere impotente di fronte alla speculazione non potendo adeguare alla crescita dei costi il controvalore dei contratti già sottoscritti, anche per l’obbligo di legge che impone di dover giustificare i costi attraverso i prezzari ufficiali che ancora non sono aggiornati rispetto agli aumenti che le imprese stanno subendo.
Quanti rischi per il sistema Italia
Già accusano una sensibile diminuzione dei profitti a causa dell’aumento dei costi di produzione il 51,5% delle imprese di installazione impianti, il 58,3% del settore edilizio e il 64,6% della serramentistica. Le altre imprese, per ora, cercano di attenuare i danni rinegoziando i prezzi applicati alla clientela o rivolgendosi al mercato per trovare nuovi fornitori. Alternative deboli, tanto che quasi il 70% delle imprese teme una riduzione dell’effetto espansivo delle agevolazioni che, per una impresa su cinque, potrebbe assumere una dimensione davvero significativa. Un danno destinato a riverberarsi sull’intero sistema Italia, in termini di mancata crescita dell’occupazione, dei consumi, del prodotto interno lordo e delle entrate fiscali.