La fame di cemento che rende carente la sabbia
La sabbia è lo scheletro della vita urbanizzata, scrive Forbes. Nel nostro immaginario sabbia è quella in riva, del mare, del fiume, del lago. O ancora quella del deserto, pensiamo al Sahara come sterminato territorio sabbioso per eccellenza. Non pensiamo però che sabbia sono anche le nostre case, le strade, i ponti, le infrastrutture, i vetri, persino gli schermi dei nostri cellulari. La sabbia e la ghiaia sono le risorse naturali più sfruttate a livello globale dopo l’acqua. A usufruirne in quantità massicce è proprio il settore costruzioni, essendo indispensabile materia prima per la produzione del calcestruzzo.
Dati alla mano, ogni anno ne sfruttiamo in maniera preoccupante 55 miliardi di tonnellate. Le città progrediscono, si sviluppano e la domanda continua a crescere costantemente, tant’è che – negli ultimi 30 anni – la richiesta di estrazione di sabbia è aumentata del 360%. Per rendere meglio l’idea, una casa di medie dimensioni necessita di 200 tonnellate di sabbia, un modesto ospedale circa 3.000 e un chilometro di autostrada addirittura 30.000. Sommandole tutte e moltiplicandole in base all’esigenza delle singole nazioni fruenti, si arriva facilmente a comprendere la portata di queste cifre.
Altro dato preoccupante riguarda il continente asiatico. Solo la Cina, dal 2012 al 2016, è stata capace di usare più sabbia di quanta ne sia stata usata dagli Stati Uniti nel corso del Novecento. Un quinto delle importazioni mondiali di sabbia toccano proprio ai cinesi, al loro fabbisogno famelico di costruire ed espandersi. Gli unici capaci di resistere alla pandemia nel comparto edile. Adesso infatti la costruzione di infrastrutture sta accelerando, dopo che il governo ha aumentato i finanziamenti per stimolare un importante settore per il Paese. I dati dell’Associazione delle Macchine da Costruzione della Cina mostrano che i produttori di escavatori hanno registrato vendite record a marzo, quando la ripresa della produzione si è accelerata a livello nazionale.
Puntando i riflettori sull’Italia invece, anche lo stivale è cosparso di cemento. Con un ritmo di due metri quadrati al secondo, ricopriamo velocemente il nostro spazio. Lo certificano i dati del Rapporto Ispra snpa «Il consumo di suolo in Italia 2020», lavoro che analizza le trasformazioni del suolo negli anni. Emerge che da noi si costruisce anche laddove la popolazione si riduce. Nel 2019 i 57 milioni di metri quadrati di nuovi cantieri e costruzioni si sono registrati a fronte di un calo demografico di oltre 120 mila abitanti. Ognuno di questi ha oggi a “disposizione” 355 metri quadrati di superfici costruite. Tra tutte, il Veneto è la regione che nel 2019 ha consumato più suolo, seguita da Lombardia, Puglia, Sicilia ed Emilia-Romagna.
Il dato di fatto è che la domanda sta superando l’offerta. E la sabbia basterà? Per quanto ne avremo ancora? Tocca immediatamente chiarire che la sabbia desertica, quella sterminata del nostro immaginario, non si presta affatto alla costruzione umana per via della sua consistenza troppo fine e liscia. Bocciata già, quindi, l’idea di sopperire al bisogno grazie al grosso quantitativo che ci offre la penisola Arabica. La sabbia più richiesta è invece quella spigolosa che si trova nel greto di alcuni fiumi, laghi, spiagge e paludi alluvionali, e costituisce meno dell’1% di tutta la terra presente sul nostro pianeta.
Senza considerare poi i gravosi impatti ambientali sul nostro ecosistema. Distrutto l’habitat del gaviale, rettile simile al coccodrillo, sulle sponde del Gange e disorientati nelle tratte migratorie gli uccelli locali del lago Poyang, il più grande bacino d’acqua dolce della Cina. A tutto questo si aggiunge anche l’emissione dei gas serra, essendo il cemento un “inquinante invisibile”. Il calcare, suo ingrediente chiave, difatti emette carbonio durante il processo di produzione. Ma su questo fronte, grazie agli avvertimenti lanciati dalle Nazioni Unite, ci si sta adeguando per ridurre le emissioni e aumentare l’efficienza energetica delle cementerie. Anche se gli sforzi fatti finora sono ancora esigui.
Tornando invece al deperimento della nostra preziosa sabbia, esistono di fatto soluzioni alternative? Risposta affermativa. Esiste il calcestruzzo riciclato, per esempio, che si usa già come aggregato per la base delle strade. Brevettato anche un processo che rende l’argilla dura come il calcestruzzo, senza cottura. Poi abbiamo l’antichissima terra battuta, che andrebbe rivalutata in quanto materiale altamente performante. La tecnica edilizia della terra cruda pisé, ovvero pressata, ha risultati paragonabili a quelli del calcestruzzo, ma senza la CO2 prodotta dal cemento. Nelle regioni di Marche e Abruzzo esistono strutture in terra cruda ancora in piedi da millenni.
Un’edilizia sostenibile ha già molti sostenitori, tra cui l’architetto austriaco Martin Rauch, considerato pioniere europeo della riscoperta di questo vecchio metodo di costruzione.
Esiste una soluzione per il settore, ma richiederà una riflessione a lungo termine, un’azione rapida e investimenti adeguati da parte delle aziende. Una responsabilità che si devono assumere innanzitutto governi e autorità, le cui regolamentazioni possono davvero fare la differenza e diventare il motore chiave per il cambiamento.