La comunicazione e il feedback costruttivo

 La comunicazione e il feedback costruttivo

Tra le parole inglesi entrate nel linguaggio comune italiano, ce n’è una che oramai tutti i giovani utilizzano per descrivere la pratica di chi interrompe una relazione senza farsi più sentire e senza dare spiegazioni. Il termine è “ghosting” e letteralmente significa “sparire come un fantasma”. Anche se meno di frequente, il verbo è usato anche nell’ambito lavorativo per riferirsi, per esempio, ad un’azienda che ha convocato una persona per un colloquio e l’ha poi presumibilmente esclusa dalla selezione, ma senza mai darle un feedback, nemmeno su esplicita richiesta. A prescindere dalle motivazioni, questo comportamento non è mai corretto e bisognerebbe sempre prediligere la comunicazione.

Ne scrivo per questa rubrica perché i Casper si stanno moltiplicando anche all’interno delle organizzazioni e, come consulente manageriale, voglio sottolineare i rischi di questa tendenza. Noto che spesso il riscontro viene “richiesto”, ma non “servito”. Lo si pretende cioè quando se ne ha bisogno, ma non lo si fornisce altrettanto tempestivamente quando serve a qualcun altro. Una situazione che possiamo annoverare nella fenomenologia dello “stress da potere”, che interessa coloro che devono fronteggiare tali livelli di complessità e pressione da dimenticare l’importanza delle piccole cose.

Il feedback non è però un elemento di cui si può fare a meno. Collocato all’interno di una dinamica gerarchica, ha l’insostituibile funzione di “rinforzare” i collaboratori, facendogli percepire la rilevanza del loro operato e, più indirettamente, della loro presenza in quel contesto. Contribuisce inoltre a determinare quelle operazioni di “calibratura” tra diversi attori che sono necessarie per il buon funzionamento di ogni organizzazione e dei sistemi di management che interagiscono al suo interno. Non dimentichiamo infine uno degli assiomi della comunicazione: non è possibile non comunicare. Anche quando un manager decide di non dare un feedback, sta di fatto rispondendo, creando distanza e dissonanza proprio quando c’è bisogno di community.

Un buon capo dovrebbe essere tanto pronto a dare il suo parere quanto a sentire quello degli altri. Chi occupa ruoli di responsabilità ha talvolta la presunzione di non averne bisogno in ragione delle motivazioni che hanno portato lui/lei e non gli altri a fare quel salto di carriera. È pur vero che la bontà delle decisioni non si vede subito e per un sottoposto potrebbe essere oggettivamente difficile giudicare. Molti responsabili non si rendono però conto che potrebbero avere una visione alterata della vita organizzativa proprio in ragione della loro centralità, e che ci sono buone ragioni per ascoltare persino le idee dell’ultimo arrivato.

Ignaz Semmelweiss era un tirocinante quando intuì l’importanza dell’igiene delle mani e riuscì, con la sua intuizione, a ridurre le morti per la cosiddetta “febbre puerperale”. Oggi noi lo ricordiamo come il “salvatore delle madri”, ma la comunità scientifica di allora non gli credette e recensì in modo negativo il suo libro sul tema. Proprio per questo viene chiamato “riflesso di Semmelweiss” la tendenza a rifiutare nuove prove o nuove conoscenze perché contraddicono le norme, le credenze o i propri paradigmi stabiliti.

Chi è a capo di un’organizzazione dovrebbe rifuggire questa attitudine ed essere pronto ad accogliere anche feedback sgradevoli, se motivati. Quanti possono vantare questa capacità? Pochi. La maggior parte delle volte che mi è stato chiesto di lavorare sulla motivazione dei dipendenti ho percepito che il fine era in realtà l’allineamento o ad un pensiero organizzativo dominante o ad obiettivi routinari di breve periodo. Chi dà questo compito vuole spesso un soggetto che lavora a testa bassa su quello che gli si chiede di fare, con spirito critico leggero e “tollerabile”. Questa indicazione porta dei vantaggi al singolo che siede al vertice, con la creazione di “seguaci” che non rompono troppo le scatole, ma va nella direzione opposta a quella che bisognerebbe intraprendere affinché l’organizzazione prosperi. Cerchiamo di accettare un po’ di più il dissenso senza considerarlo un attacco personale o una minaccia alla nostra posizione.

Immagine di rawpixel.com su Freepik

Partecipa alla discussione

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.