Italia, l’economia frena: stagnazione, ma non recessione
I dati più recenti rivelano che la fase espansiva dell’economia italiana potrebbe aver concluso la sua corsa, in linea con il rallentamento di quella globale.
Dopo il rimbalzo positivo nel primo trimestre, nel secondo il Pil ha registrato una brusca frenata (-0.4% rispetto al trimestre precedente, +0.4% sul corrispondente). Gli indicatori congiunturali portano a prevedere un terzo e quarto trimestre 2023 stagnante; pertanto, secondo il Rapporto di Previsione Prometeia di settembre, in media d’anno la crescita del Pil dovrebbe attestarsi a +0,7%, in riduzione rispetto alla stima fatta tre mesi fa di +1,1%.
Intanto, però, l’indice dei prezzi al consumo ha cominciato a frenare per il calo delle componenti più volatili, dai prezzi dei beni energetici agli alimentari freschi, mentre il rallentamento della componente core è ancora limitato. Nei prossimi mesi, ci si aspetta che la frenata continui, portando l’inflazione al consumo in media d’anno al 5,7%, in discesa dall’8,2% del 2022.
I motivi del rallentamento del prodotto interno lordo
Oltre alle tendenze legate al rallentamento del commercio globale e agli effetti delle politiche monetarie restrittive, ci sono tre principali fattori domestici che vincolano il ritmo di crescita del nostro Paese:
- La debolezza dei consumi delle famiglie è destinata a proseguire. Questo a causa dell’elevato livello dei prezzi e della perdita di potere d’acquisto dei salari, nonché a causa del venir meno degli effetti espansivi del Superbonus 110%.
- È stata appena approvata dal governo la Nota di aggiornamento al Def (Nadef), ma i dettagli non sono al momento noti. Date le informazioni disponibili, risultano margini ridotti per politiche espansive, nonostante sia indicata una più lenta riduzione di disavanzo rispetto a quanto programmato dal Def in aprile. Una volta finanziati i contratti pubblici e le spese necessarie, le risorse per nuovi interventi di sostegno risultano limitate a pochi decimi di Pil. Ulteriori interventi dovranno quindi trovare copertura nella manovra, col rischio di una crescita che potrà essere ben inferiore a quella ipotizzata nella Nadef.
- Il PNRR è stato ridefinito ma non ha ancora il via libera dalla Ue. Dopo la terza relazione di monitoraggio, che aveva messo in evidenza difficoltà nell’attuazione di numerosi interventi, il governo ha elaborato un nuovo Piano, dove, a fronte di definanziamenti per 15,9 miliardi di euro, sono stati inseriti nuovi interventi per la transizione verde. Prevediamo che queste modifiche portino a un diverso profilo temporale, depotenziando l’impatto aggiuntivo soprattutto nel biennio 2023-2024.
Una lenta ripresa dal 2024
Prometeia ritiene comunque possibile che la fiammata inflazionistica, combinata al rallentamento del Pil, possa esaurirsi senza una vera e propria recessione ma con una stagnazione quest’anno e una ripresa lenta nel prossimo (Pil 2024 al +0,4%). Dal 2025, in assenza di shock significativi, l’economia italiana potrebbe tornare sui ritmi medi di crescita precrisi e con inflazione moderata. Questo perché l’attuazione del PNRR consentirebbe di mantenere l’economia su un ritmo di crescita del Pil pro-capite positivo nonostante il venir meno dell’impulso della politica di bilancio, alle prese con l’obiettivo di riportare l’indebitamento sotto il 3% e il debito su un percorso obbligato di discesa.
Il peso dell’inflazione sulle famiglie italiane
Nello scenario Prometeia i prezzi non scenderanno: l’economia dovrà assestarsi su livelli di prezzi permanentemente più elevati. In particolare, per i consumatori quelli dell’energia rimarranno più alti rispetto al pre-Covid del 70%, del 20% per i prodotti alimentari e in media del 10% per gli altri beni e servizi.
Con riferimento alle famiglie con reddito da lavoro dipendente, la crescita dei salari che prefiguriamo non consente un recupero della perdita di potere d’acquisto. Più in generale, anche la ricchezza finanziaria accumulata dalle famiglie subirà una decurtazione del suo valore reale. Tuttavia, la crescita economica e la quota rilevante sul prodotto dei servizi e (ancora) dalle costruzioni, a maggiore intensità di lavoro, sosterranno l’occupazione e la quota del lavoro dipendente nella distribuzione del reddito.
Una politica economica vincolata
L’uscita dall’emergenza mette in discussione l’approccio di politica economica degli ultimi anni, in cui il bilancio pubblico pareva non avere vincoli in nome della difesa di famiglie e imprese. Nel 2022, il deficit dovuto al Superbonus 110% e agli interventi per mitigare gli alti prezzi dell’energia è stato superiore al 6% del Pil; nell’anno in corso, si prevede che sarà di circa il 2,8% e scenderà quasi a zero nel 2024.
Le previsioni di politica monetaria e di crescita economica internazionali
Siamo verosimilmente alla fine di questa fase rialzista mondiale dei tassi di politica monetaria – nel nostro scenario i tassi di policy negli Stati Uniti e area euro rimangono fermi nei prossimi mesi. Ma non sono certamente esauriti i suoi effetti, né si è annullato interamente il rischio che i prezzi tornino a rialzare la testa e inducano le banche centrali a intensificare la restrizione monetaria.
Le difficoltà cinesi, soprattutto quelle legate all’immobiliare, pongono forti limiti alla crescita e rischi alla stabilità finanziaria. Altro fattore di debolezza per la crescita globale è il venire meno nei principali Paesi del supporto delle politiche fiscali, dopo i forti stimoli del periodo Covid. Tuttavia, nel nostro scenario la UEM e gli Stati Uniti rallentano in modo significativo verso livelli poco al di sotto delle rispettive crescite potenziali, con un Pil 2023 rispettivamente a +0,6% e a +2%. Evitando così una recessione, con il buon andamento dell’occupazione, specie oltreoceano, che si riflette in una tenuta dei redditi disponibili delle famiglie e dunque dei consumi.
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