Investimenti esteri: outlook stabile per l’Italia
Investimenti esteri: Italia stabile per il triennio 2021-2023. Le prospettive degli investimenti esteri in Italia per il triennio 2021-2023 sono stabili, considerando sia il calo dei flussi d’investimento dall’estero che si era verificato già nel 2019, dopo alcuni anni di crescita, sia la situazione critica del 2020. È quanto emerge dall’Instant survey di primavera realizzata dal Censis per l’Aibe (Associazione Italiana delle Banche Estere) a partire dalle opinioni di un panel di esperti internazionali (istituzioni e società finanziarie, aziende multinazionali, strutture di consulenza professionale, stampa economica estera). Per quanto riguarda gli investimenti greenfield o brownfield, il 38,8% converge su un outlook di continuità con il passato, il 35,2% traccia uno scenario positivo, il 25,9% prefigura una tendenza negativa. Per le operazioni di fusione e acquisizione, il 45,5% indica prospettive di stabilità, il 45,5% un trend positivo, per il 9% è atteso un peggioramento. La classifica dei primi 10 Paesi stilata in base alle potenzialità di ripresa economica dopo la crisi del 2020 vede sul podio Cina, Stati Uniti e Germania, seguiti da Regno Unito, Giappone e Francia. Nella graduatoria l’Italia occupa solo l’8ª posizione (su 10), dopo gli altri grandi partner europei e anche dopo la Russia, alla quale vengono riconosciute maggiori chances di ripartenza. Nelle ultime due posizioni figurano l’India e il Brasile, penalizzati dalla difficile gestione della pandemia ancora in corso, che prolunga in modo imprevedibile la fase di incertezza.
Un cauto ritorno alla globalizzazione: preoccupano l’alto debito pubblico degli Stati e lo spettro di guerre commerciali. A livello globale viene segnalata la tendenza dei Paesi a cercare una maggiore autosufficienza nella produzione di alcuni beni e servizi ritenuti strategici: una tendenza molto o abbastanza probabile secondo il 91% del panel. Al secondo posto, preoccupano le difficoltà che i Paesi incontreranno nella gestione di debiti pubblici crescenti, dopo le forti pressioni sulla spesa imposte dalla necessità di contrastare la crisi legata all’emergenza sanitaria (82%). Il 77% segnala il rischio di guerre commerciali tra le grandi aree economiche del mondo (Usa, Cina e Unione europea). Il 73% indica il pericolo di una riduzione della libertà economica, a causa di una maggiore presenza dello Stato nell’economia per presidiare le reti e le produzioni strategiche, e contenere così le vulnerabilità di sistema messe a nudo dall’emergenza sanitaria. Le politiche di deficit spending, cui gli Stati sono stati costretti per contrastare l’impatto economico della pandemia, causeranno un’alta inflazione, secondo il 71% del panel. I rischi di fragilità dei sistemi bancari, tali da riproporre gli scenari della crisi finanziaria del 2008, sono invece segnalati da un più ridotto 59%. L’ingresso in una fase di deglobalizzazione, con una contrazione degli scambi commerciali a livello globale, è una eventualità ritenuta probabile solo dal 43%.
Giudizio sospeso sul Pnrr italiano. Il panel esprime in prevalenza (65%) un grado medio di fiducia sulle probabilità di successo dell’Italia nel portare a compimento gli interventi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza di qui al 2026. Ampia è la quota degli scettici, con un basso livello di fiducia: il 28%. Solo l’8% confida pienamente nella sua riuscita finale. Il giudizio sul buon esito del Pnrr sembra sospeso. Data l’ambizione delle riforme e l’ammontare degli investimenti previsti sulla carta, il panel non mostra una completa fiducia. Le opinioni raccolte nella survey, oltre a mettere in luce i fattori di incertezza che persistono a livello mondiale, indicano che la scommessa da vincere per il Recovery plan italiano sarà quella di riuscire a curare i nuovi mali procurati dalla pandemia senza avere ancora sanato le patologie del passato.