Illegittimi i maggiori contributi dopo l’accertamento fiscale
Lo scritto trae spunto da una vicenda in cui un contribuente salentino impugnava dinanzi al Tribunale di Lecce, sez. lavoro, due avvisi di addebito (relativi alle annualità 2013-2014) riguardanti maggiori contributi previdenziali richiesti da Inps a seguito di un accertamento fiscale.
Il motivo è semplice: se il Fisco presume dei redditi “in nero” il contribuente deve pagare una percentuale di maggiori contributi anche su tali redditi ma Inps può intimare i maggiori contributi SOLO laddove gli accertamenti fiscali risultano definitivi.
In particolare, il contribuente, tramite il suo legale, l’Avv. Matteo Sances, deduceva nel primo grado di giudizio che i predetti avvisi erano già stati impugnati dinanzi alla Commissione Tributaria e dunque non vi era certezza che fossero dovuti. Relativamente a ciò, deduceva la violazione dell’art.24, co.3 del D.Lgs. 46/99 a mente del quale “Se l’accertamento effettuato dall’ufficio è impugnato davanti all’autorità giudiziaria, l’iscrizione a ruolo è eseguita in presenza di provvedimento esecutivo del giudice”; (in parole povere, la norma prevede che l’Ente deve attendere una pronuncia sugli accertamenti da parte della Corte di Giustizia Tributaria per poter iscrivere a ruolo i crediti).
Tale situazione si riproponeva anche in appello dove la Corte oltre ad accogliere la tesi del contribuente prendeva comunque atto che gli accertamenti nel frattempo erano venuti meno a seguito di condono; comunque anche tale situazione non comportava la definitività degli accertamenti e dunque la debenza dei maggiori contributi previdenziali.
Invero, la Corte d’Appello di Lecce, condividendo tale posizione, dichiarava con sentenza n.79/2024, pubblicata il 18.03.2024 e passata in giudicato che: “Nel testo legislativo che lo disciplina (DL. 98/2011, con. In L. 111/2011) non si rinviene alcun elemento che permetta di ritenere che la definizione concordata del giudizio tributario estenda gli effetti sulla rideterminazione totale o parziale del presupposto impositivo accertato dall’Agenzia ai fini extrafiscali, quali i contributi previdenziali calcolati a percentuale sul reddito… La mancanza della definitività dell’accertamento reddituale ai fini contributivi sulla base del condono fiscale comporta che ogni giudizio nel merito della pretesa contributiva derivante dal maggior reddito debba essere effettuato dal Giudice nel rispetto degli oneri della prova incombenti sulle parti”. La Corte, poi, continua “Per consolidata Giurisprudenza, a prescindere dalla formale posizione processuale delle parti, nelle controversie di opposizione ad avviso di addebito o a cartelle esattoriali, l’INPS e l’INAIL vanno considerati attori sostanziali, con la conseguenza che su essi grava, ai sensi dell’art.2697 del codice civile, l’onere di fornire la prova dei fatti costitutivi delle pretese”.
I due avvisi di addebito sono stati dunque annullati e l’Ente condannato al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio (sentenza visibile in https://www.studiolegalesances.it/ sezione documenti).
Alla luce delle dichiarazioni dei Giudici, emerge come l’Inps non possa chiedere maggiori contributi rifacendosi solamente agli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate ma debba fornire ulteriori elementi, soprattutto se gli accertamenti fiscali risultano contestati.
Nulla rileva, poi, il fatto che in corso di causa il contribuente abbia chiuso le pretese aderendo al condono poiché la prova della debenza di maggiori contributi spetta comunque a Inps.
Dott. Danilo Romano