Il «momento Harajuku»

 Il «momento Harajuku»

Nella situazione in cui ci troviamo oggi, di cambiamenti veloci e imprevedibili su tutti i fronti, economico, sociale, geopolitico, climatico, molti di noi pensano che sarebbe bello riuscire a dare una sterzata, cambiare radicalmente qualcosa, nella attività di business, nel proprio lavoro, nella situazione sentimentale o abitativa, nella propria vita.

La maggior parte della gente si limita a desiderare, a sperare in un risultato, ma non agisce di conseguenza.

Cosa occorre allora per agire? Serve un «momento Harajuku».

Di che si tratta? Non è una forma di meditazione orientale. Neppure una sofisticata tecnica di arti marziali.

È quella situazione, quel flash che trasforma il tuo pensiero da «sarebbe bello» in «è necessario». Funziona per tutto. Per decidere di dimagrire o di cambiare qualcosa di rilevante nella tua impresa.

Racconta Chad Fowler, noto esperto IT, che passa gran parte del suo tempo a risolvere complessi problemi di programmazione software per conto dei suoi clienti:

“Ero a Tokyo con un gruppo di amici. Andammo tutti nel quartiere alla moda della città, il quartiere Harajuku.” Come dire Brera o San Babila per Milano. “Volevamo comprarci quei favolosi vestiti per i quali il quartiere è famoso. Dopo essere entrati e usciti da diversi negozi senza mai pensare seriamente di prendere qualcosa, io e un amico ci arrendemmo e restammo fuori ad aspettare mentre gli altri proseguivano con lo shopping. Così mi ritrovai a dirgli: -A me non importa nemmeno cosa mi metto. Tanto non sto bene comunque-. Credo mi abbia dato ragione. Non ricordo, ma non è questo il punto. Il punto è che, non appena le ebbi pronunciate, quelle parole restarono sospese nell’aria come quando capita di dire qualcosa di super imbarazzante in una stanza rumorosa e si becca esattamente l’unico istante di silenzio in tutta la serata. Tutti ti guardano come un idiota.

Ma stavolta ero io il critico di me stesso. Mi sentii pronunciare quelle parole e mi colpirono non per il contenuto ma per quel loro tono impotente.

Le persone si lamentano che le cose non vanno. Se solo facessero qualcosa, scoprirebbero di poter raggiungere in qualche modo l’obiettivo che inseguono. L’ho sempre pensata così. È sempre stato questo il mio segreto nel lavoro.

Eppure, mi trovavo lì, a parlare della parte probabilmente più importante della mia vita – la salute – come di qualcosa su cui non avevo alcun controllo.

Avevo seguito la corrente per anni. Sperando in un risultato e restando ad aspettare che venisse da sé. Ero l’ego fiacco e impotente che negli altri detesto.

Dopo questa prima intuizione, il modo che mi consentì di prendere le decisioni giuste fu quella di usare i dati.

Scoperto cos’era il tasso di metabolismo basale (BMR), cioè il tasso metabolico a riposo, mi stupì il numero di calorie che avrei dovuto assumere per conservare lo stesso peso. Era enorme. Renderci conto di fare grossi errori è positivo: significa poter rimediare velocemente. Fu così che persi 30 kg in 18 mesi.”

Smetti di sperare e comincia a fare!

È la logica conseguenza dell’episodio, che Tim Ferriss riferisce nel suo libro “4 ore la settimana”. E aggiunge:

Misurare qualcosa è fondamentale.

Ancorarci ai dati, da dove partiamo, e vedere i progressi nei numeri che cambiano rende affascinante agire e ripetere e genera un circolo virtuoso. Ancora una volta è la misurazione in sé, e non tanto ciò che si misura, a essere importante. Quello che si può misurare si può gestire (Peter Drucker).

4 passi per riuscire.

Secondo Tim Ferriss, sono come un’assicurazione contro le debolezze della natura umana, le tue, le mie, quelle di tutti:

  1. Sii consapevole (Pensa: spendi qualche minuto a chiederti: sono veramente felice in questa situazione? Cosa voglio migliorare? Aumentare il mio reddito del 20%? la mia reputazione del doppio? il mio tempo libero di un giorno la settimana? Decidi e agisci.)
  2. Prendila come un gioco (Vediamo cosa succede se…)
  3. Prendila come una gara (Se ci riesce tizio- tizia, che non è certamente migliore di me, perché non posso farcela?)
  4. Prendila come qualcosa di limitato e momentaneo. (Solo per ora…)

Fallo 5 volte.

E se ho paura di non farcela? Che la spinta iniziale crolli? Far leva ogni volta sull’autodisciplina è faticoso e si rischia di abbandonare. Quante volte devo ripetere qualcosa perché diventi automatico? Quante volte occorre annotare i dati per farmi prendere da un cambiamento e non fermarmi più?

Secondo l’esperienza del team di Nike, e secondo quella dei suoi iscritti, più di 1,2 milioni di runner che hanno corso per più di 200 milioni di chilometri, il numero magico è cinque.

Chi carica sul sito un paio di corse, forse sta solo facendo una prova. Ma chi inserisce i dati di cinque corse è infinitamente più probabile che continui a correre e a inserire i propri dati di performance. È ormai affascinato da quello che le informazioni caricate raccontano di lui o di lei.

Grazie a questo principio la IBM è stata per decenni leader nel mondo dei computer portatili. Le quote-obiettivo assegnate ai venditori erano le più basse del settore. La ragione? Perché la Direzione voleva che i commerciali non avessero paura di fare una cosa: prendere in mano il telefono e chiamare i potenziali clienti. Il resto veniva di slancio e, trimestre dopo trimestre, le quote venivano superate.

I cambiamenti radicali sono difficili. Spaventa anche solo immaginarli. Eppure, è sufficiente un piccolo passo e cominciare. È sufficiente fare qualcosa di nuovo cinque volte. Cinque allenamenti, cinque pasti sani, cinque di quello che vogliamo.

Quando sei in dubbio, la regola che ti serve è «fallo cinque volte».

Bastano cinque fiocchi di neve per dare inizio a una nevicata di decisioni coerenti.

Allenta la pressione e inizia le tue cinque facili ripetizioni. Il resto verrà da sé.

La frase di oggi

«Siamo ciò che facciamo continuamente»

Aristotele

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