Per definire cosa si intenda con made in Italy, è bene partire da un chiarimento semantico: l’origine di un prodotto è l’indicazione del luogo di produzione; la provenienza indica, invece, l’ultimo stabilimento nel quale il prodotto è stato trattato. Le merci importate da paesi esteri si suddividono in merci di origine doganale preferenziale e merci di origine doganale non preferenziale.
L’origine doganale preferenziale riguarda i prodotti, che soddisfano precisi requisiti, importati da alcuni Paesi e consiste nella concessione di benefici daziari all’importazione in base a un accordo, per esempio dell’UE.
Per origine doganale non preferenziale si intende, invece, il luogo di produzione o in cui è avvenuta l’ultima sostanziale trasformazione. Per acquisire l’origine non preferenziale italiana, un prodotto deve, quindi, subire una trasformazione sostanziale sul territorio italiano indipendentemente dalle eventuali percentuali di merce nazionale o estera impiegata nella produzione. Sono queste le regole che sanciscono il “Made in” ossia la «nazionalità» di un prodotto, secondo i regolamenti UE n. 952/2013 del 2013 che istituisce il codice doganale dell’Unione CDU e quello n. 2446/2015.
Ma come determinare l’origine non preferenziale di un prodotto quando siano due o più paesi che partecipano alla fabbricazione del prodotto? Per l’art. 60, secondo comma, CDU: “Le merci alla cui produzione contribuiscono due o più paesi sono considerate originarie del paese in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione“.
Nello specifico, le principali regole di trasformazione per acquisire l’origine non preferenziale sono:
a) regola del cambio di voce tariffaria, che stabilisce che le lavorazioni effettuate sui materiali non originari abbiano come effetto la classificazione dei prodotti ottenuti in una voce tariffaria diversa da quella di ciascuno dei materiali utilizzati.In sostanza, tutte le materie prime utilizzate devono avere una voce doganale diversa da quella del prodotto finito.
b) lavorazioni o trasformazioni specifiche che conferiscono o meno l’origine del Paese in cui vengono effettuate;il concetto di «ultima trasformazione» o «lavorazione sostanziale» fa riferimento a un processo lavorativo dei materiali utilizzati tale da ottenere un nuovo prodotto, per composizione e proprietà specifiche che prima non possedeva. In sintesi, dopo l’intervento il prodotto cambia nella sostanza: piccole modifiche non sono sufficienti a ottenere il marchio Made In Italy, ma serve una evoluzione particolare e sostanziale.
Inoltre bisogna seguire la regola – alternativa alla regola del cambio di voce doganale – del valore aggiunto oltre il 45%: può essere considerata sostanziale per l’origine la trasformazione che determini un incremento in valore almeno pari al 45% del prezzo franco fabbrica del prodotto finito.
c) regola del valore aggiunto: l’aumento di valore dovuto a operazioni di assemblaggio e incorporazione di materiali originari rappresenta un valore minimo predefinito del prezzo franco fabbrica del prodotto (45%); anche in questo caso la regola si applica solo con riferimento ai materiali non originari utilizzati e se essa risulterà soddisfatta in un dato Paese, questo costituirà il luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale, conferendo l’origine al prodotto. Per applicare correttamente la regola occorre determinare le varie componenti di costo e l’aumento di valore determinato da:
- assemblaggio;
- operazioni di preparazione, finitura e controllo;
- incorporazione di qualsiasi parte originaria del Paese dove sono effettuate le operazioni;
- profitto e costi generali sorti in quel Paese.
d) combinazione di due regole sopra elencate: per esempio regola del valore aggiunto e lavorazione specifica.
Alcune attività, quali ad esempio, la progettazione dei prodotti, il collaudo, l’apposizione sui prodotti e sul loro imballaggio di marchi, etichette, sono qualificate quali operazioni minime, non idonee a concorrere all’incremento di valore del prodotto, trattandosi di attività volte soltanto a migliorare l’aspetto esteriore del prodotto: non sono, pertanto, sufficienti a conferire l’origine.
La nuova Legge n. 166/09 ha avuto il pregio di introdurre un nuovo marchio di origine: il “100% Made in Italy”, a vantaggio delle imprese che hanno mantenuto la produzione sul territorio italiano e non sono ricorse alla delocalizzazione. Possono considerarsi interamente italiani soltanto i prodotti per i quali il disegno, la progettazione, la lavorazione e il confezionamento sono avvenuti esclusivamente sul territorio italiano. Soltanto questi prodotti potranno fregiarsi di diciture quali “100% Made in Italy”, “100% Italia” “tutto italiano” o simili.
Con ciò viene introdotta una figura qualificata di marchio d’origine che si distingue dal semplice “Made in Italy”. Mentre di quest’ultimo possono fregiarsi tutti i prodotti per i quali sia avvenuta in Italia l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, il “100% Made in Italy” è riservato alle produzioni interamente italiane.
Avvocati dello Studio Legale Casa & Associati