Il Design Thinking rivoluziona la gestione dell’innovazione digitale nelle imprese, rendendola a misura d’uomo
Il Design Thinking si diffonde fra le società di consulenza, caratterizzando un numero crescente di progetti e iniziative, attira l’attenzione di sempre più imprese italiane, che lo applicano nei settori economici e nelle funzioni aziendali più diverse, e spinge l’ingresso sul mercato di nuovi attori innovativi. Il Design Thinking, approccio alternativo all’innovazione che integra capacità analitiche con attitudini creative, è una realtà in fermento, che sta vivendo un vero e proprio boom nei settori più investiti dalla trasformazione digitale e trova applicazione nella risoluzione di problemi complessi (approccio Creative Problem Solving), nella fase di realizzazione e verifica rapida di prodotti e servizi (Sprint Execution), nelle attività pensate per coinvolgere più profondamente i dipendenti nei processi creativi (Creative Confidence) nella ridefinizione della visione strategica aziendale (Innovation of Meaning). Ai tempi di clausura forzata e vasto impiego di tecnologie digitali, il Design Thinking rende queste ultime “a misura d’uomo” e abilita approcci human-centered all’innovazione. In altre parole il Design Thinking consente, in un momento di grande sfida e trasformazione, di recuperare la centralità dell’essere umano, inteso sia come destinatario dell’innovazione che come protagonista dell’innovazione stessa.
L’analisi condotta in Italia su 289 “innovatori” che hanno adottato il Design Thinking evidenzia come tale approccio sia adottato da diversi ruoli aziendali: top manager, designer, esperti di marketing, business development e information technology. Il campione evidenzia inoltre una pervasività crescente in diversi settori, soprattutto finanza e assicurazioni, Sistemi Informativi e Pubblica Amministrazione. Il 72% del campione è costituito da utenti esperti che adottano la metodologia da più di un anno (oltre quattro anni, in media), la cui impresa investe in media 1,8 milioni di euro in innovazione e utilizzano il Design Thinking principalmente per progettare nuove esperienze utente, sviluppare nuovi prodotti o servizi e rispondere a uno specifico bisogno dell’utenza. Il restante 28% ha un’esperienza media nell’applicazione del Design Thinking di sei mesi e investe in media 1,2 milioni di euro in innovazione.
Sono stati mappati oltre 450 progetti di consulenza in Europa basati sul Design Thinking, sviluppati da società di consulenza strategica. Fra questi, 200 sono stati avviati in Italia, dove è coinvolto mediamente il 54% dei dipendenti di ogni unità aziendale e che hanno generato in media poco meno di 30 milioni di euro, pari al 45% dei ricavi, soprattutto nei settori finanza e assicurazioni, manifattura e retail. Gli approcci che producono più ricavi in Italia sono il Creative Confidence (27% del fatturato) e la Sprint Execution (26%), mentre i modelli più in crescita sono il Creative Confidence (+11%) e l’Innovation of Meaning (+10%).
La domanda di nuovi approcci all’innovazione nelle imprese spinge l’ingresso di nuove realtà innovative sul mercato. Sono 279 le startup a livello internazionale che offrono strumenti, soluzioni e servizi digitali a supporto dei processi di Design Thinking, per un totale di 2,1 miliardi di dollari di finanziamenti raccolti, pari in media a 7,6 milioni a startup. Fra queste, solo 4 sono italiane, segno di un ecosistema nazionale ancora embrionale, ma che registra progressi rispetto allo scorso anno, quando nessuna startup analizzata era italiana.
Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Design Thinking for Business della School of Management del Politecnico di Milano, presentata oggi durante il convegno online “Humanizing digital technologies through Design Thinking: transformations, applications and evolutions” (osservatori.net)*.
“Siamo ormai catapultati in una dimensione lavorativa in cui riunioni digitali e collaborazione a distanza stanno diventando la nuova normalità. I dati raccolti dall’Osservatorio ci mostrano come l’Italia abbia già iniziato nel corso dello scorso anno ad adottare tecnologie digitali per facilitare e supportare i processi creativi di innovazione. Non c’è giorno in cui non saltiamo da uno strumento di conference call a un altro. In questo ginepraio digitale la dimensione umana è lasciata a margine – afferma Claudio Dell’Era, Direttore dell’Osservatorio Design Thinking for Business – Il Design Thinking ci mostra invece come questo aspetto sia fondamentale. Non basta portare in digitale quello che si faceva nel mondo fisico perché, così facendo, la dimensione umana dei prodotti e dei servizi è completamente stravolta”. In questo contesto l’Osservatorio sta mappando e analizzando tutti i tool che oggi ci sono resi disponibili per facilitare la collaborazione e l’innovazione da remoto: Miro, Mural, Google Docs sono solo tre tra le piattaforme che in questi mesi di emergenza sono entrati nel modo comune di gestire Design Thinking workshop per consulenti e innovatori.
“Il Design Thinking è uno strumento che consente alle persone, in un momento di esposizione a una mole crescente di informazioni e a tecnologie sempre più complesse e in costante evoluzione, di cogliere ciò che è veramente di valore in un prodotto o servizio e ciò che può portare davvero innovazione e coinvolgimento nelle aziende – afferma Roberto Verganti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Design Thinking for Business -. Non è un caso che il Design Thinking stia crescendo in quei settori in cui la trasformazione digitale richiede nuove competenze per sviluppare un’esperienza utente realmente efficace e dove tecnologie come Big Data, Artificial Intelligence e Internet of Things hanno effetti più dirompenti”.
“Il Design è ormai un fattore fondamentale per creare e gestire l’innovazione in tutti i settori economici e le funzioni aziendali – commenta Francesco Zurlo, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Design Thinking for Business -. L’ecosistema del Design Thinking è più maturo rispetto allo scorso anno, con più progetti di consulenza, innovatori più esperti e strutturati e la nascita delle prime startup italiane che offrono soluzioni in questo ambito, ma per coglierne tutte le potenzialità deve diventare centrale non soltanto per le singole unità di business ma per l’intera strategia aziendale”.
I progetti di consulenza – Sono 452 i progetti di consulenza mappati dall’Osservatorio Design Thinking For Business, di cui 200 in Italia, 103 in Svezia, 36 nel Regno Unito, 42 nei Paesi Bassi e 71 in altri paesi. Le società di consulenza, attraverso i progetti di Design Thinking. hanno generato mediamente ricavi per 225 milioni di euro. I settori con la più elevata domanda di progetti di Design Thinking sono finanza e assicurazioni (12% dei progetti censiti), manufacturing (10%) e retail (9%), seguiti da ICT (8%), automotive (7%), PA (67%), energia (6%) e consulenza (6%). I principali obiettivi dei progetti di Design Thinking sono la progettazione di nuove esperienze utente e lo sviluppo di nuovi prodotti o servizi e rispondere a uno specifico bisogno dell’utenza. In media durano 7 mesi e coinvolgono 19 persone, di cui un terzo in forza alle società di consulenza e due terzi appartenenti alle aziende clienti. Nelle società di consulenza i progetti sono sponsorizzati perlopiù dal Board (33% dei progetti), dal Business Development (14%) e dalla funzione Ricerca e Sviluppo (11%), marginale il ruolo della funzione Design (9%). Nelle aziende clienti le funzioni più coinvolte nei progetti sono Business Development (15%), Ricerca e Sviluppo (14%) e Marketing (13%), mentre ICT (63%) è quella più coinvolta nelle società di consulenza.
Sono quattro i modelli principali di Design Thinking utilizzati per affrontare tutti i problemi posti dai processi di innovazione. Il più adottato è il Creative Confidence (27% del campione), che punta principalmente al coinvolgimento dei dipendenti aziendali per creare e alimentare una cultura organizzativa e una mentalità adatte ad affrontare con fiducia i processi di innovazione. Il secondo è il Creative Problem Solving (26%), l’approccio per il quale le imprese innovano comprendendo i bisogni dell’utente e immaginando la più elevata gamma di soluzioni possibili per rispondere alle sue esigenze, per poi restringere il campo fino a trovare la soluzione dominante. Segue la Sprint Execution (22%), che punta a realizzare molto velocemente una soluzione in linea con le esigenze degli utenti, per poi migliorarla dopo aver analizzato l’interazione e la reazione dei consumatori. Chiude l’Innovation of Meaning (19%), il modello col quale le imprese ridefiniscono la visione aziendale, i messaggi e i valori legati ai prodotti e ai servizi che offrono; il 6% adotta altri approcci. Un terzo del fatturato raccolto dalle società di consulenza attraverso iniziative di Design Thinking è generato da progetti basati sull’approccio Creative Problem Solving (34%), circa un quarto dai modelli Sprint Execution (24%) e Creative Confidence (25%), e solo il 17% dall’approccio Innovation of Meaning.
Le società di consulenza coinvolte nei 200 progetti di Design Thinking italiani hanno generato attraverso queste iniziative circa 270 milioni di euro. Gli approcci che producono più ricavi sono il Creative Confidence (27% del fatturato) e la Sprint Execution (26%), mentre i modelli più in crescita sono il Creative Confidence (+11%) e l’Innovation of Meaning (+10%). In Italia i progetti durano in media 7 mesi e coinvolgono 21 persone, di cui 7 delle società di consulenza e 14 delle aziende clienti. I settori più interessati dalle iniziative sono finanza e assicurazioni (14%), manifattura (11%) e retail (10%), mentre le funzioni aziendali dei clienti più coinvolte sono Board (31%), business development (12%) e marketing (12%).
Il Design Thinking aiuta a sfruttare le opportunità offerte dalle tecnologie digitali e queste ultime influenzano l’adozione del Design Thinking, stimolandone l’applicazione. Solo il 23% dei progetti di consulenza di Design Thiking analizzati non punta a sviluppare innovazioni digitali e i Big Data sono la tecnologia più diffusa (52% dei progetti), seguita da Artificial Intelligence (40%) e Internet of Things (37%). Solo il 38% dei progetti Design Thinking di consulenza non è stato portato avanti utilizzando almeno una tecnologia digitale (il 43% in Italia) e anche in questo caso al primo posto figurano i Big Data (48%, il 56% in Italia), seguiti da IoT (25%), AI (16%, il 34% in Italia), realtà aumentata e virtuale (15%) e additive manufacturing (15%).
“La ricerca di quest’anno conferma un sostanziale equilibrio nell’adozione dei 4 approcci di Design Thinking fra le società di consulenza, anche se diminuisce il peso dell’Innovation of Meaning, che è il modello potenzialmente più innovativo e su cui sarà necessario puntare in futuro – afferma Claudio Dell’Era, Direttore dell’Osservatorio Design Thinking for Business -. Segnali positivi vengono dall’Italia, dove gli ambiti più in crescita sono il Creative Confidence e l’Innovation of Meaning, segno del progressivo spostamento del Design Thinking da approccio legato all’innovazione di prodotto a nuovo modello culturale e organizzativo, capace di influenzare la visione strategica”.
Gli Innovatori in Italia – In Italia è stato analizzato un campione costituto da 289 innovatori che utilizzano il Design Thinking, operanti in 221 aziende di diversi settori dell’economia italiana, di cui 208 sono “Adopter”, con un’esperienza in questo ambito superiore ai 12 mesi (pari in media a oltre 4 anni), e 81 “Wannabe”, che lo applicano da meno di un anno (6 mesi in media). “Nel 2019 i Wannabe hanno recuperato molto terreno rispetto ai più esperti Adopter – afferma Stefano Magistretti, Research Platform Development dell’Osservatorio Design Thinking for Business –, ma gli Adopter evidenziano investimenti in innovazione superiori rispetto ai Wannabe: 1,8 milioni di euro (di cui 0,5 milioni di euro in Design Thinkng), contro i 1,2 milioni di euro. Il 56% delle realtà più esperte è costituito da grandi imprese, il 2% in più dei Wannabe, mentre fra le realtà meno avanzate figurano più micro imprese (17% contro 12%)”.
I settori con più innovatori che applicano il Design Thinking sono la finanza col 26% del campione complessivo (26% fra gli Adopter e 22% fra i Wannabe), l’ICT con il 21% (19% Adopter e 25% Wannabe) e la PA col 10% (19% Wannabe e 7% Adopter). Seguono manufacturing (6%), energia (5%) e retail (4%). Il 17% degli innovatori è un C-Level (18% Adopter, 14% Wannabe), il 15% è un esperto di innovazione (14% Adopter, 17% Wannabe), il 12% lavora nella funzione Marketing & Sales, l’11% è un Designer (solo il 3% fra i Wannabe), il 9% si occupa di ICT e il 10% delle Operations.
I progetti gestiti dagli Adopter durano in media 9 mesi e coinvolgono 20 persone fra colleghi della stessa unità di business e consulenti esterni, sono sponsorizzati principalmente da Board (28% dei casi), Marketing (18%) e Business Development (13%) e fra le tecnologie impiegano soprattutto Big Data (26%) e Artificial Intelligence (24%). Il budget dedicato alle iniziative di Design Thinking è cresciuto complessivamente del 16% rispetto al 2018, con differenze marcate nella scelta dell’approccio in base ai settori o alle funzioni aziendali coinvolte. Il Creative Problem Solving ottiene un +22% di investimenti nella funzione Design, +24% nelle Operations, +20% nel settore ICT. Sul Creative Confidence puntano la funzione HR (+33%) e i settori energia (+10%) e PA (+16%). Alla Sprint Execution sono particolarmente attenti i C-Level (+15%), la funzione ICT (+11%) e i settori Finanza (+18%) e Manufacturing (+16%).
Le startup – Sono 279 le startup finanziate da venture capitalist e mappate dall’Osservatorio a livello internazionale che offrono strumenti, soluzioni e servizi digitali a supporto dei diversi modelli di Design Thinking, per un totale di 2,1 miliardi di dollari di finanziamenti, pari in media a 7,6 milioni di dollari raccolti da ogni startup. L’area con la maggior presenza di nuove imprese innovative rimane il Nord America con 146 startup, di cui 137 negli USA. Seguono Europa (80) e Asia (41).
“Il baricentro dell’ecosistema delle startup Design Thinking si sta progressivamente spostando – afferma Luca Gastaldi, Direttore dell’Osservatorio Design Thinking -: se nel 2015 il 65% delle startup finanziate quell’anno aveva sede negli USA, nel 2019 questa percentuale è scesa al 49%, mentre è salito dal 13% al 22% il numero di startup finanziate con sede al di fuori degli Stati Uniti. Nell’ultimo anno hanno ricevuto finanziamenti anche le prime startup italiane, segno che anche da noi il Design Thinking è una realtà in crescita”.
Gli approcci di Design Thinking più adottati dalle startup sono Creative Problem Solving (82 startup), Sprint Execution (80) e Creative Confidence (79). Solo 38 startup applicano il modello Innovation of Meaning. Le startup che si concentrano sull’approccio Creative Problem Solving sono anche le più finanziate con un totale di 739 milioni di dollari di investimenti raccolti, pari a un finanziamento medio di 9 milioni, seguite dalle startup Sprint Execution (481 milioni complessivi, 6 milioni in media), Creative Confidence (606 milioni totali, 7,7 milioni in media) e Innovation of Meaning (289 milioni totali, 2,9 milioni in media).
“L’Artificial Intelligence è la tecnologia più utilizzata dalle startup che supportano i processi di Design Thinking – afferma Cabirio Cautela, Direttore dell’Osservatorio Design Thinking -. L’AI e, più in generale, le tecnologie digitali sono prevalentemente impiegate nelle fasi di Design Thinking con cui si raccolgono informazioni dagli utilizzatori di prodotti e servizi, entrando in empatia con loro e re-interpretandone le necessità. Le fasi di ideazione, prototipazione e lancio di un’innovazione rimangono invece appannaggio di progettisti e designer. Al momento pare che le tecnologie non possano ancora sostituire la creatività e l’innovatività individuale. Tuttavia, i Design Thinkers che sanno usare bene le tecnologie digitali sono estremamente più efficaci”.