Il 55,7% delle imprese ha svolto attività innovative nel triennio 2016-2018
Il 49,7% delle imprese ha introdotto con successo nel mercato un’innovazione di prodotto oppure un’innovazione di processo all’interno dell’azienda.
L’industria in senso stretto si conferma il settore con il 58,7% di imprese innovatrici. Seguono i servizi con il 46,0% e le costruzioni con il 29,3%.
Hanno investito in nuovi prodotti o processi il 76,3% delle grandi imprese, il 64,1% delle medie e il 47,3% delle piccole.
Rispetto al triennio precedente, in forte aumento la propensione innovativa delle piccole e medie imprese.
Cresce molto la propensione all’innovazione delle piccole e medie imprese
Nel triennio 2016-2018 si stima che il 55,7% delle imprese industriali e dei servizi con 10 o più addetti abbia svolto attività finalizzate all’introduzione di innovazioni. Rispetto al periodo precedente (2014- 2016), la quota di tali imprese è aumentata di 7 punti percentuali.
Si conferma che la propensione all’innovazione cresce all’aumentare della dimensione aziendale: la percentuale di imprese con tale caratteristica passa dal 53,3% nella fascia di imprese con 10-49 addetti al 71,4% in quella con 50-249 addetti, fino a raggiungere l’81,0% nelle grandi imprese (250 addetti e oltre). Tuttavia, emergono segnali di un riposizionamento delle piccole e medie imprese verso una più elevata propensione all’innovazione (+7,7 punti percentuali per le prime e +3,1 per le seconde), mentre si manifesta una sostanziale stabilità per le grandi imprese.
L’industria in senso stretto resta il settore con la maggiore propensione innovativa, con il 65,7% di imprese con attività innovative (+8,6 punti percentuali rispetto al triennio precedente). In particolare, per quasi la totalità delle grandi imprese industriali l’innovazione si conferma un aspetto centrale delle scelte strategiche aziendali (90,3%) anche se si riduce leggermente il loro impegno per l’innovazione (-1,6 punti rispetto al triennio 2014-2016).
La propensione all’innovazione varia sensibilmente tra i diversi settori industriali – i più innovativi sono farmaceutica, chimica ed elettronica con oltre l’85% delle imprese che svolgono attività innovative – ma è rilevante anche nei settori della produzione di macchinari, articoli in gomma e materie plastiche, altri mezzi di trasporto (dove innovano 3 imprese su 4) e in settori più tradizionali (ad esempio il tessile con il 71% di imprese). Sopra la media dell’industria si collocano anche la produzione di coke e derivati del petrolio, il settore delle apparecchiature elettriche e quello dei prodotti in metallo.
La propensione ad innovare più bassa si rileva nei settori estrattivo (poco più di un terzo di imprese innovatrici,) fornitura di acqua, gestione dei rifiuti e risanamento e fornitura di energia elettrica e gas (poco più della metà di innovatori).
Nei servizi la propensione all’innovazione maggiore è nelle telecomunicazioni, nell’informatica, nel settore assicurativo, nelle attività degli studi di architettura e d’ingegneria e, ovviamente, nella ricerca e sviluppo: in tutti questi settori oltre l’80% delle imprese ha svolto attività innovative nel triennio 2016- 2018.
Settori leader: chimica, elettronica, informatica, ricerca e telecomunicazioni
La maggior parte delle imprese innovatrici (49,7% delle imprese) ha introdotto con successo sul mercato o nel proprio processo produttivo almeno un’innovazione nel 2016-2018. Gli innovatori di successo sono più frequenti tra le grandi imprese (76,3%) a fronte di una percentuale sensibilmente più bassa rilevata nelle piccole (47,3%). In cinque settori oltre il 75% delle imprese ha introdotto con successo un’innovazione: l’industria chimica (86,5%), la ricerca e sviluppo (80,9%), l’elettronica (79,7%), le telecomunicazioni (79,3%), l’informatica (78,6%).
Il 31,2% delle imprese ha introdotto almeno un’innovazione di prodotto nel triennio 2016-2018. Anche la diffusione dell’innovazione di prodotto è caratterizzata dalle stesse dinamiche dimensionali e settoriali: mentre nelle piccole imprese gli investimenti in nuovi prodotti riguardano solo il 29,3% delle unità, l’impegno cresce nelle imprese della fascia intermedia (42,5%) e interessa oltre la metà (55,2%) delle grandi imprese.
A livello settoriale, le imprese industriali sono le più propense ad introdurre nuovi prodotti (39,1%). Seguono le imprese dei servizi con il 27,3% e le costruzioni con il 15,5%. Nell’industria le principali protagoniste dell’innovazione di prodotto sono l’elettronica (tre imprese su quattro), la chimica con oltre due imprese su tre e la fabbricazione di altri mezzi di trasporto con oltre la metà di imprese innovatrici di prodotto. Nei servizi alcuni settori, quali le assicurazioni, la ricerca e sviluppo, l’informatica e le telecomunicazioni guidano la classifica, registrando percentuali superiori sia alla media dei servizi sia a quella nazionale.
Meno di un’impresa su dieci ha introdotto prodotti nuovi nel proprio mercato
Solo l’8,5% delle imprese ha introdotto prodotti nuovi nel proprio mercato di riferimento. Protagoniste di queste innovazioni sono, indipendentemente dal settore economico di appartenenza, le grandi imprese. In particolare, il 29,7% ha introdotto prodotti nuovi sul mercato, con valori massimi nell’industria (39,2% delle grandi imprese). I settori con la maggiore presenza di questo tipo di innovazioni sono l’industria farmaceutica (35,5%), l’informatica (26,1%) e il settore della fabbricazione di altri mezzi di trasporto (25,5%).
Nel 2018 la quota di fatturato derivante dalla vendita di prodotti nuovi è pari al 20,2%vi, di cui il 10,4% è associato alla vendita di prodotti “nuovi per il mercato”, cioè introdotti per la prima volta dall’impresa sul suo mercato di riferimento.
Importanti differenze si rilevano a livello dimensionale: la quota di fatturato associata alle innovazioni di prodotto è pari al 9,3% nelle piccole imprese mentre sale al 28,8% nelle grandi. La stessa tendenza si riscontra nella quota di fatturato attribuibile alla vendita di prodotti nuovi per il mercato: per le piccole imprese è solo l’1,3% contro il 18,1% delle grandi.
Nell’industria il maggior impatto economico delle innovazioni di prodotto si registra nell’estrattivo (81,0%) e nei settori ad alta-media intensità tecnologica, come la fabbricazione dei mezzi di trasporto (32,9%) e l’elettronica (30,5%). Nei servizi, quote importanti sono segnalate nella ricerca e sviluppo (29,5%) e nell’informatica (25,6%). Punte massime nell’impatto delle innovazioni sul fatturato si raggiungono nelle costruzioni, dove si stima una quota pari al 63,7% attribuibile alle innovazioni di prodotto.
Un’impresa su quattro innova i sistemi informativi aziendali
L’innovazione di processo è indubbiamente la più diffusa: interessa il 47,3% delle imprese e anche per questo tipo di innovazione si rilevano importanti differenze a livello dimensionale e settoriale. Nel triennio 2016-2018, fra le grandi imprese circa tre su quattro hanno introdotto una forma di innovazione di processo, contro il 45% delle piccole imprese. Gli innovatori di processo sono oltre la metà delle imprese nell’industria, mentre scendono al 43,8% nei servizi e nelle costruzioni dove raggiungono il 28,1%. Chimica ed elettronica nell’industria e telecomunicazioni, assicurazioni e ricerca e sviluppo nei servizi rappresentano i settori più innovativi nei processi aziendali.
Le innovazioni di processo più frequenti sono quelle relative ai sistemi informativi (28,5%), seguite dalle innovazioni nell’organizzazione del lavoro e nella gestione delle risorse umane (24,7%) e dalle innovazioni nei processi e nei metodi di produzione (24,3%). Solo due imprese su dieci hanno, invece, investito in innovazioni nei sistemi contabili e amministrativi (21,4%) e nelle pratiche di marketing (20,3%).
Le innovazioni meno diffuse sono quelle introdotte nelle pratiche di organizzazione aziendale e nelle relazioni con l’esterno (18,8%) e nella logistica, distribuzione e fornitura dei prodotti e servizi (18,1%). Rispetto a tutte le categorie delle innovazioni di processo, le piccole imprese innovano meno della media nazionale.
In tutte le categorie, l’impegno delle imprese cresce all’aumentare della dimensione aziendale: il livello più alto è registrato dalle grandi imprese che hanno innovato i sistemi informativi (58,1%). A livello settoriale, le innovazioni di processo più diffuse riguardano i processi e i metodi di produzione nell’industria (39,6%), i sistemi informativi nei servizi (29,0%) e l’organizzazione del lavoro e la gestione delle risorse umane (16,7%), i sistemi contabili e amministrativi (15,1%).
L’elettronica, la chimica, l’industria della gomma e delle materie plastiche e l’industria automobilistica sono i settori industriali in cui almeno un’impresa su due ha investito in nuovi processi e metodi di produzione. Assicurazioni, telecomunicazioni e informatica sono i settori dei servizi che, insieme all’elettronica, sono impegnati più frequentemente ad innovare i sistemi informativi.
Nelle innovazioni di prodotto poco diffusa la collaborazione con soggetti esterni
La tendenza ad attivare pratiche di innovazione combinate di prodotto e processo è più frequente (58,0% delle imprese innovatrici) della tendenza opposta a innovare solo i processi (37,3%) o solo i prodotti (4,8%).
Questo aspetto interessa tutte le classi dimensionali ma raggiunge il livello più alto nelle grandi imprese, dove il 68,6% innova contestualmente prodotti e processi. A livello settoriale, la tendenza è più evidente nell’industria, dove oltre un terzo delle imprese (61,8%) adotta pratiche di innovazione multidirezionale. In particolare, la propensione all’integrazione delle due forme di innovazione è molto elevata nell’elettronica, nella fabbricazione dei mezzi di trasporto e nella chimica (75% delle imprese). Tale attitudine è molto diffusa anche in alcuni settori dei servizi, quali la ricerca e sviluppo, le assicurazioni, le telecomunicazioni e l’informatica (70% di imprese).
La maggior parte delle innovazioni introdotte dalle imprese sul mercato (innovazioni di prodotto) o al proprio interno (innovazioni di processo) sono realizzate dall’impresa ex novo e prevalentemente senza la collaborazione di soggetti esterni. In particolare, questa modalità di innovazione interessa il 77,6% degli innovatori di prodotto e il 77,9% degli innovatori di processo.
Tuttavia, un terzo degli innovatori sviluppa le innovazioni in collaborazione con altri soggetti (imprese o istituzioni), mentre meno del 20% acquista innovazioni realizzate all’esterno. Infine, solo il 14,1% degli innovatori di prodotto e l’8,1% degli innovatori di processo realizzano innovazioni adattando o modificando prodotti o processi già esistenti (originariamente sviluppati da altri).
Se all’aumentare della dimensione aziendale la quota di imprese che sviluppano innovazioni internamente e senza collaborazioni esterne resta stabile (o si riduce lievemente), la quota di imprese che optano per forme di collaborazioni esterne cresce sensibilmente, passando dal 33,1% delle piccole al 60,1% delle grandi tra le innovatrici di prodotto e dal 31,1% al 61,8% nelle innovatrici di processo. Tra le grandi imprese cresce anche la quota di imprese che adottano innovazioni sviluppate da altri soggetti, soprattutto le Università.
A livello settoriale, lo sviluppo interno di innovazioni senza alcun supporto esterno è una tendenza più diffusa nell’industria, la collaborazione con altri soggetti è una modalità mediamente più frequente nei servizi (soprattutto per le innovazioni di prodotto), mentre l’acquisto di innovazioni dall’esterno è più importante nelle costruzioni. Quest’ultimo settore, insieme ai servizi, è anche quello caratterizzato dalla maggiore attitudine a creare innovazione modificando e adattando prodotti e processi già esistenti.
Spesa per innovazione: aumenta il divario tra grandi e piccole imprese
Nel 2018 la spesa sostenuta per le attività innovative è stata in media di circa 9mila euro per addetto, in crescita rispetto al 2016 (7.800 euro. Aumenta in misura significativa nelle grandi imprese (9.800 euro contro i 7.700 del 2016) e nelle imprese di media dimensione (8.300 euro contro i 7.100 del periodo precedente), mentre si riduce lievemente nelle piccole imprese (8.200 euro contro i precedenti 8.900 euro).
La crescita interessa tutti i settori: dai servizi dove si registra l’aumento più importante (8.500 euro per addetto contro i 6.000 del 2016), alle costruzioni (5.400 euro per addetto contro i precedenti 4.900), all’industria che, pur registrando un modesto aumento della spesa per addetto (9.700 euro per addetto contro gli 9.600 del 2016), conferma il primo posto in termini di spesa per addetto.
In particolare, nell’industria i valori di spesa più elevati si registrano nella fabbricazione di altri mezzi di trasporto (27.500 euro), nell’industria farmaceutica (22.600 euro), nella fabbricazione di autoveicoli (20.600 euro) e nell’elettronica (19.100 euro), ma livelli di spesa per addetto sopra la media si rilevano anche in settori con una minore propensione all’innovazione, quali la fornitura di energia elettrica, gas (16.000) e l’industria estrattiva (11.100 euro). Nei servizi, la maggiore spesa per addetto è stata sostenuta dalla Ricerca e Sviluppo (62.000 euro), dalle telecomunicazioni (25.300 euro), dal commercio e manutenzione di autoveicoli (18.500 euro) e dalla produzione di software e informatica (13.100 euro).
R&S principale voce di spesa per innovazione nell’industria
La ricerca e sviluppo si conferma la voce principale degli investimenti per l’innovazione in quanto rappresenta circa la metà della spesa complessiva (con il 36,9% relativo alle attività intra-muros e il 12,0% relativo all’extra-muros). Tra le altre spese per l’innovazione (cioè, senza alcuna componente di R&S), la voce più importante è costituita dalle spese per l’acquisto di beni e servizi destinati all’innovazione che coprono il 21,4%, seguite dalle spese in conto capitale per l’innovazione (15,4%) e dalle spese per il personale interno impegnato nelle attività di innovazione (14,3%).
Differenze importanti emergono a livello dimensionale. In media, l’incidenza della R&S aumenta al crescere della dimensione aziendale, passando complessivamente dal 38,1% delle imprese con 10- 49 addetti al 54,0% in quelle con 250 addetti e oltre. All’aumentare della dimensione aziendale si riduce, invece, la quota delle spese per l’acquisto di beni e servizi destinati all’innovazione (dal 27,2% al 18,9%) e quella relativa al personale interno impegnato nelle attività di innovazione (dal 18,4% al 10,6%).
I principali investitori in R&S sono i settori dell’industria, dove in media oltre il 63% della spesa per innovazione è destinata a tali attività (svolta all’interno dell’impresa o commissionata ad altri soggetti). In particolare, le maggiori quote si rilevano nella fabbricazione di autoveicoli e altri mezzi di trasporto (rispettivamente 90,0% e 93,5%), nell’industria farmaceutica (80,0%), nell’elettronica (73,1%), nelle attività estrattive (72,3%) e nella chimica (71,8%).
Nei servizi, gli investimenti in R&S (intra ed extra-muros) superano sensibilmente la quota media del macro-settore nella ricerca (83,1%), nelle altre attività professionali, scientifiche e tecniche (66,9%) e nelle telecomunicazioni (49,6%). Le altre spese per l’innovazione (cioè, quelle non destinate ad attività di R&S) rappresentano, invece, la modalità innovativa prevalente in alcuni settori industriali a elevate economie di scala, quali la fornitura di energia elettrica e gas (90,5%) e nella produzione di coke e derivati del petrolio (79,7%), nelle costruzioni (61,7%) e nei servizi (67,7%). In particolare, nell’ambito dei servizi oltre i tre quarti della spesa è indirizzata verso attività diverse dalla R&S nei trasporti (89,0%), nelle attività finanziarie e assicurative (85,2%) e nel commercio al dettaglio (77,0%).
Agevolazioni fiscali principale forma di sostegno pubblico all’innovazione
Nel triennio 2016-2018 solo il 15,7% delle imprese con attività innovative ha ricevuto finanziamenti pubblici per l’innovazione.
A livello dimensionale, la frequenza delle imprese beneficiarie di finanziamenti pubblici per l’innovazione aumenta lievemente tra le grandi imprese (20,2% contro il 15,0% delle piccole). La percentuale è leggermente più alta nell’industria (19,4%) rispetto alle costruzioni (11,1%) e ai servizi (11,5%). In particolare, ottengono più frequentemente i finanziamenti pubblici alcune industrie storicamente più innovative, quali la fabbricazione di altri mezzi di trasporto (49,0%) e la fabbricazione di computer e prodotti di elettronica (31,9%), e alcuni dei servizi ad alta intensità di conoscenza, come ricerca e sviluppo (57,4%) e informatica (25,4%).
I finanziamenti pubblici per l’innovazione sono concessi soprattutto dalle amministrazioni territoriali e centrali: nel complesso, l’8,1% delle imprese con attività innovative ha dichiarato di aver ricevuto finanziamenti da amministrazioni pubbliche centrali e un altro 8,1% da amministrazioni regionali o locali, mentre solo il 3,2% ha ottenuto un sostegno da parte dell’Unione europea.
La dimensione di impresa ha un ruolo importante nel finanziamento ottenuto. In generale, le piccole imprese sono quelle che stentano ancora a beneficiare di una qualche forma di finanziamento, compresi quelli provenienti dalle amministrazioni locali e regionali (7,6% contro il 10,0% di quelle di media dimensione e il 9,9% delle grandi). Marcate differenze emergono riguardo ai finanziamenti europei (ricevuti dal 10,2% delle grandi contro il 2,7% delle piccole). Dei settori più innovativi solo la ricerca e sviluppo accede più facilmente a questi finanziamenti: quasi la metà delle imprese del settore (47,6%) lo ha ottenuto.
L’utilizzo delle agevolazioni fiscali è invece molto più frequente: il 29,0% delle imprese ne ha fatto ricorso per le attività di R&S e innovazione. Anche per questo tipo di agevolazioni le piccole imprese sono poco presenti, sono il 25,9% contro il 45,1% delle medie e al 41,3% delle grandi.
È l’industria a ricorrere maggiormente alle agevolazioni fiscali: oltre un terzo delle imprese con attività innovative (36,3%) è coinvolto in questa attività contro il 21,6% nei servizi e il 16,0% nelle costruzioni. Le più attive in questa direzione sono le industrie a medio-alta propensione innovativa, quali la farmaceutica e la produzione di macchinari e apparecchiature (oltre la metà delle imprese ne è interessata), la chimica e l’elettronica, il tessile e la fabbricazione di apparecchiature elettriche. La stessa tendenza si rileva nei servizi: nella ricerca e sviluppo, nell’informatica e nelle telecomunicazioni, ossia nei settori più innovativi, oltre il 50% delle imprese ha fatto ricorso alle agevolazioni fiscali per le attività di innovazione svolte.
Poco frequente il ricorso al credito per l’innovazione
Soltanto il 16,5% delle imprese ha ottenuto crediti per le attività di innovazione svolte nel triennio 2016-2018. Ha avuto un ruolo del tutto marginale anche il finanziamento azionario, appena il 2,0% delle imprese
La differenza tra piccole e grandi imprese risulta poco significativa rispetto a queste due forme di finanziamento: il ricorso al capitale di debito si riduce al crescere della dimensione aziendale, anche se in minima misura (interessa il 16,9% delle piccole contro il 13,5% delle grandi), mentre il ricorso al capitale proprio è poco diffuso in tutte le imprese, indipendentemente dalla dimensione aziendale. Le differenze sono minime anche livello settoriale, nell’industria è leggermente più frequente l’uso di entrambe le fonti (20,1% per il finanziamento con capitale di debito, il 2,6% per quello con capitale proprio).
Le grandi imprese cooperano soprattutto con Università e soggetti stranieri
Il 21,6% delle imprese con attività innovative ha stipulato accordi di cooperazione per l’innovazione nel triennio 2016-2018 contro il 13,6% del periodo precedente. A livello dimensionale, la frequenza delle imprese cooperanti aumenta, indipendentemente dal settore economico di appartenenza, al crescere della dimensione aziendale: la percentuale di imprese che cooperano passa, infatti, dal 18,7% delle piccole imprese (con 10-49 addetti), al 33,6% delle imprese di media dimensione (con 50-249 addetti) e al 46,9% delle grandi (250 addetti e oltre).
Il macro-settore in cui è più diffusa la tendenza a cooperare per l’innovazione è l’industria con il 24,6% contro il 19,2% dei servizi e il 13,2% delle costruzioni. Nell’industria, si raggiungono punte massime nel settore farmaceutico (73,6%), nell’elettronica (38,1%) e nella chimica (34,1%). Nei servizi, si conferma il primato della ricerca e sviluppo (69,7%), delle assicurazioni (50,0%), dell’informatica (43,8%) e delle attività finanziarie (40,9%).
I partner sono prevalentemente italiani: il 21,3% delle imprese con attività innovative si allea con soggetti residenti sul territorio nazionale contro il 5,3% delle imprese che sceglie partner stranieri. La cooperazione con questi ultimi sale però sensibilmente nelle grandi imprese (26,5% contro il 3,6% delle piccole imprese).
L’apertura verso forme di cooperazione con partner stranieri è leggermente più frequente nell’industria (6,6% contro il 4,3% dei servizi e il 2,0% delle costruzioni). In particolare, i settori con la maggiore propensione alla cooperazione con partner stranieri sono l’industria farmaceutica (38,4%) e l’elettronica (23,4%) nell’industria, e la ricerca e sviluppo (46,2%) e le assicurazioni (20,9%) nei servizi.
I partner principali sono soggetti privati: laboratori o istituti di ricerca privati (15,6%), fornitori (13,9%), altre imprese (8,6%), imprese clienti (8,3%). Una percentuale non trascurabile è rappresentata anche dalle imprese che cooperano con le Università (7,2%). Gli accordi con le Università interessano prevalentemente le grandi imprese (28,3%) le quali spesso cooperano anche con altre imprese del gruppo (28,6%) e oltre un terzo delle imprese coopera con consulenti o istituti di ricerca privati e con i propri fornitori.
Gli accordi di cooperazione con le Università sono una modalità di innovazione relativamente più diffusa nei settori più innovativi, quali la farmaceutica (52,8%) e l’elettronica (20,4%) nell’industria, il settore della ricerca (54,7%) e le assicurazioni (26,4%) nei servizi. Questi settori, insieme all’industria chimica e alle attività finanziarie, sono gli stessi che hanno fatto ricorso con maggiore frequenza anche ai laboratori e istituti di ricerca privati.