Gestire se stessi in 10 semplici step
Oggi più che mai siamo concentrati sul mercato. Siamo focalizzati sui nostri prodotti e servizi. Sulla produttività della nostra azienda. Sugli indicatori economici del nostro business. E quando ci occupiamo di noi stessi?
Qualunque sia la nostra attività e il nostro ruolo attuale, ognuno di noi è l’unico responsabile di una carriera, che continua a dilatarsi nel tempo. Quale imprenditore, imprenditrice, professionista va “in pensione”? E anche quando passa il testimone, nelle PMI italiane quasi sempre ad un famigliare, la delega a gestire è realmente totale e incondizionata?
Da quanto tempo non riflettiamo sui nostri punti di forza e di debolezza, sul nostro modo di imparare e di lavorare con gli altri, e dove siamo in grado di dare il contributo più rilevante, di fare davvero la differenza?
Ci guida in questa riflessione Peter Drucker, storico guru del management. Che sostiene:
“Solo quando riusciamo a combinare i nostri punti di forza con una disciplinata conoscenza di noi stessi possiamo raggiungere la vera e duratura eccellenza”.
Ecco 10 domande per riflettere su noi stessi e poterci gestire al meglio:
1. Quali sono i miei punti di forza?
Cosa so fare, cosa mi riesce bene? non so fare?
Dovremmo sprecare il minor tempo possibile nel tentativo di migliorare nelle aree dove siamo mediocri. Si fa più fatica e si spende molta più energia per passare dalla incompetenza alla mediocrità in qualche campo, che nel far diventare eccellente una performance già di buon livello.
2. Sono un lettore, un ascoltatore o uno scrittore?
Come lavoro? Come imparo? Come mi concentro?
Il nostro carattere determina il modo in cui lavoriamo.
La maggior parte di noi non ha mai osservato la differenza fra essere un lettore, un ascoltatore o uno scrittore.
Vediamo qualche esempio, tratto dalle analisi di Peter Drucker.
Dwight Eisenhower, quando era ancora Comandante delle forze alleate in Europa era eccellente nelle conferenze stampa. Aveva grande controllo degli argomenti che trattava e sapeva descrivere e spiegare le sue decisioni con poche frasi efficaci.
Ma quando divenne Presidente degli Stati Uniti la situazione cambiò. Alle conferenze stampa divagava, non dava risposte dirette e appariva spesso incoerente.
Eisenhower forse ignorava di essere un “lettore” e non un “ascoltatore”. Quando era Comandante supremo il suo staff chiedeva ai giornalisti in anticipo le domande in forma scritta, almeno 30 minuti prima della conferenza stampa. E lui preparava con calma le risposte.
i due Presidenti che lo avevano preceduto, Roosevelt e Truman, erano brillanti “ascoltatori” e si prestavano a rispondere a domande libere dei giornalisti. Ma Eisenhower non aveva quella caratteristica, e nell’improvvisare era carente.
Alcuni anni dopo, anche Lyndon Johnson entrò in crisi per ragioni simili. Il suo predecessore, John Kennedy era un “lettore”. Si era circondato di un gruppo di brillanti “scrittori” come assistenti. Prima di discutere qualunque argomento a voce, chiedeva loro una breve nota scritta.
Johnson mantenne lo stesso staff, perché composto da persone così in gamba. Da senatore si era dimostrato eccellente nelle sue doti di “ascoltatore”, doti che si addicono ad un parlamentare. Non era un “lettore”, quindi non interagiva bene con uno staff che scriveva promemoria per comunicare. Da Presidente la sua caratteristica avrebbe richiesto uno staff differente.
Poi ci sono gli “scrittori”. Sono le persone che non imparano ascoltando o leggendo. Imparano e si concentrano scrivendo. Winston Churchill era uno “scrittore”. Lo era anche Beethoven. Era solito prendere molti appunti. Sosteneva: “Se una cosa non la scrivo immediatamente, me la dimentico. Se la scrivo, non la dimentico più e non ho più bisogno di rileggerla.”
Alcune persone imparano facendo. Chi ha una forma mentis tecnica.
Altri ascoltandosi mentre parlano. Molti avvocati hanno questa caratteristica.
3. Lavoro bene con gli altri o lavoro meglio da solo?
Ci sono persone che lavorano meglio in team. Alcuni anzi danno il meglio di sé come team leader, altri che non lo sanno fare per niente. C’è chi lavora bene circondato da stimoli vari, persone, musica, e chi ha bisogno di silenzio e nessuno intorno per concentrarsi. “Qualunque capolavoro ha bisogno di silenzio assoluto per essere fatto” (Pablo Picasso).
4. Sono un decisore o un consigliere?
Ci sono persone che lavorano meglio da numeri uno, come decisori, e altri da numeri due, come consiglieri. Questa è la ragione per cui il numero due di un’azienda spesso fallisce quando viene promosso al ruolo di numero uno. Conosce la decisione giusta ma non ha la forza di metterla in pratica. Ci sono leader che traggono utilità dall’avere accanto un consigliere che li costringe a pensare. Poi sanno prendere decisioni e attuarle velocemente.
5. Lavoro bene sotto stress, con imprevisti frequenti?
Oppure in un ambiente ben strutturato e prevedibile?
In una organizzazione grande, con ruoli gerarchici definiti e formali, oppure in una realtà piccola, dove tutti si conoscono a livello personale e le relazioni sono più semplici e dirette?
6. Quali sono i miei valori, la mia visione?
Stabilire se un’azienda deve essere gestita per ottenere risultati di breve termine o di lungo termine è una questione di valori. Ovviamente servono entrambi. Ma quando si verifica un conflitto tra scelte per risultati di breve o di lungo termine, l’imprenditore deve definire le sue priorità.
Un direttore del personale può essere convinto di valutare per un ruolo vacante le persone interne all’azienda prima di cercare figure dal mercato. Oppure ritenere di assumere dall’esterno per “portare aria nuova”. Visioni diverse.
Perché una persona possa operare efficacemente in un’organizzazione bisogna che i suoi valori siano compatibili con quelli dell’organizzazione.
7. Quale è la mia vocazione? E Quale non è?
Chi ha una vocazione forte e irrinunciabile lo sa fin da piccolo. Chi è un genio per la musica o la matematica lo scopre molto presto. E noi? Quale è la nostra vocazione? Ce lo siamo mai chiesti veramente? E quale non è?
8. Qual è il progetto più importante per me ora?
Un progetto di solito non può coprire più di 18 mesi. Dove e in che modo posso produrre risultati rilevanti entro i prossimi 18 mesi? I risultati dovrebbero essere difficili da conseguire, cioè richiedere un certo sforzo, essere visibili e misurabili, ma raggiungibili. Porsi obiettivi di difficilissima probabilità non significa essere ambiziosi. Solo sciocchi.
9. In cosa faccio la differenza?
Sono pochissime le persone che raggiungono risultati da soli, qualche grande artista, atleta, scienziato…La maggior parte di noi lavora con altre persone. Raggiunge i risultati, è efficace con gli altri. Saper fare la differenza significa assumersi la responsabilità delle relazioni e della comunicazione con gli altri.
10. So comprendere gli altri?
Gli altri sono esseri umani, proprio come noi. La stessa riflessione che facciamo sulle nostre caratteristiche e motivazioni occorre farla sugli altri. Essere disponibili e motivati a conoscere i punti di forza, il modo di lavorare, i valori di colleghi, collaboratori, capi, clienti, fornitori…
Ma per far questo occorre “tenere a bada quell’incontenibile bulletto che è il nostro ego” (James Hillman).
La frase di oggi
«La tua visione diventa chiara solo quando guardi dentro te stesso. Chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si sveglia» – Carl Gustav Jung