Gestione strategica del rischio nei processi di internazionalizzazione
L’internazionalizzazione delle imprese italiane rappresenta, al giorno d’oggi, un vero e proprio must per rimanere competitivi in un contesto sempre più globalizzato.
Se da un lato l’approccio strutturato ai mercati internazionali genera un aumento di valore significativo per l’impresa, dall’altro espone l’azienda a maggiori rischi e ad una complessità, prettamente relativa alla gestione aziendale, maggiore.
Come si è potuto constatare a seguito della crisi economica dovuta alla pandemia Covid-19, considerata la peggiore crisi dalla Seconda Guerra Mondiale, il rischio generale è aumentato drasticamente, generando grande incertezza, instabilità e volatilità nei mercati finanziari.
I dati relativi al primo trimestre 2020 evidenziano un crollo del 16% del commercio italiano con l’estero che ha segnato, per la prima volta dopo anni, un saldo negativo della bilancia commerciale; un deficit di 4 miliardi di euro in meno rispetto al surplus dell’anno precedente.
L’export italiano ha, dunque, sofferto particolarmente, registrando decrementi significativi in quasi tutti i settori e, in primis, in quelli dei beni intermedi, di consumo e di investimento. I comparti dell’agroalimentare e farmaceutico hanno, invece, resistito alla crisi Covid-19, seppur raggiungendo percentuali di crescita inferiori rispetto al 2019 e alle previsioni stimate per il 2020.
Nonostante alcune note positive in un panorama economico travolto da una crisi quasi inaspettata, è bene notare come le aziende che hanno retto e fronteggiato al meglio la pandemia sono state quelle che hanno saputo gestire il rischio in maniera strategica, adottando un approccio proattivo.
L’errore che spesso si commette e che accomuna la stragrande maggioranza delle aziende italiane è l’approccio reattivo, piuttosto che proattivo, al rischio, ovvero la gestione dello stesso solo quando si presenta, senza contemplarlo in anticipo e pianificare una strategia per mitigarlo. Diventa, dunque, essenziale, non solo per le grandi imprese ma anche per le piccole-medie, dotarsi, in anticipo, di una risk governance aziendale, al fine di pianificare una strategia ottimale e determinare quale sia il livello di tolleranza al rischio in chiave strategica.
Ciò assume un’importanza ancor più rilevante nel caso in cui l’azienda non sia attiva esclusivamente nel mercato locale, ma anche nei mercati globali. Diversificare la strategia internazionale su più mercati, stilando per ognuno di essi uno studio dei rischi a cui ci si espone, consente all’impresa di avere una panoramica completa non solo delle opportunità di business, ma anche dei rischi annessi e degli eventuali piani d’azione per fronteggiarli.
I rischi paese legati al processo di internazionalizzazione sono molteplici; tuttavia, è bene partire dall’analisi dei tre principali in modo da avere un primo screening dei paesi meno rischiosi e più appetibili per la definizione di un progetto di espansione estera.
Il rischio di credito, concernente l’eventualità che la controparte – corporate, bancaria e/o sovrana – non onori le proprie obbligazioni finanziarie, assume particolare rilevanza, in quanto l’eventuale inadempienza del debitore genera, molto spesso, perdite sostanziali che impattano negativamente sulla sostenibilità economico-finanziaria del creditore, in questo caso dell’azienda. Onde evitare ciò, l’impresa può far ricorso all’assicurazione dei propri crediti verso l’estero, sottoscrivendo un pacchetto di misure assicurativo-finanziare che le permettano di muoversi sui mercati con le “spalle coperte”.
Molte, infatti, sono le istituzioni, bancarie e non, che si occupano di supportare le aziende nel loro percorso di internazionalizzazione fornendo servizi di export credit, quali soluzioni assicurative all’esportazione, garanzie di finanziamento e credit factoring.
Il rischio di cambio, relativo alle fluttuazioni dei tassi di cambio tra due valute, influisce direttamente sugli investimenti esteri condizionando la volontà dell’impresa ad investire nel paese target, specie se il mercato di destinazione è caratterizzato da un’alta volatilità valutaria. Quest’ultima, tuttavia, può essere coperta operando sui mercati valutari in modo da minimizzare le fluttuazioni ed evitare che la moneta detenuta perda valore d’acquisto. Generalmente, gli investitori ed, in particolare, quelli risk-averse dissuadono dall’idea di investire in un determinato paese caratterizzato da un’alta instabilità valutaria, in quanto il costo per coprire tale rischio rende l’investimento poco vantaggioso.
Di più difficile analisi e previsione è, invece, il rischio politico, prettamente legato all’ambiente legale e sociale del paese target. Lo stesso viene stimato esaminando attentamente la dimensione politica del paese straniero, nonché le dinamiche di interscambio internazionale e le eventuali politiche riguardanti i diritti di proprietà di un investitore estero, onde evitare, tra le altre cose, l’esproprio, la nazionalizzazione e/o la violazione contrattuale. L’impresa che, analizzando le dinamiche interne del paese, constata l’eventuale mancanza di un quadro legislativo stabile, nonché l’adozione di forti restrizioni e/o vincoli nei confronti di imprese non nazionali, coscientemente dovrebbe spostare la sua attenzione su nazioni complessivamente più affidabili in modo da minimizzare eventuali ripercussioni negative che impatterebbero sull’attività aziendale e renderebbero vulnerabile il progetto d’investimento estero.
I tre principali rischi sopra elencati necessitano essere studiati e valutati per ogni paese estero che si vuole approcciare, al fine di sviluppare una strategia di risk management ottimale per far fronte alle incertezze dell’ambiente esterno in cui l’azienda opera.
Come sottolineato precedentemente nel testo, la gestione strategica del rischio, che permette all’impresa di sopravvivere anche in periodi di crisi inaspettati, si ha, solo e soltanto, se l’azienda assume un comportamento proattivo, considerando tutte le possibili sfaccettature e probabilità d’incidenza dei rischi stimati e pianificando anticipatamente le azioni opportune che garantiscano il conseguimento degli obiettivi prefissati e la creazione di valore sostenibile nel tempo.
1 Comment
Condivido le considerazioni generali ma vale la pena di rappresentare che il settore bancario non supporta gli esportatori solo tramite pacchetti di misure assicurativo-finanziare ma anche con la consulenza specifica su paesi e modalità di pagamento che meglio si adattano ai mercati di sbocco scelti dal cliente. Strumenti specifici quali la conferma di lettere di credito hanno avuto in questo periodo di pandemia un’importanza particolare, soprattutto nel caso di esportazioni di beni intermedi o di investimento dove spesso non c’è un fatturato definito e ciclico e le vendite possono essere più saltuarie.