Fase 2: Unimpresa, la crocieristica rischia un “buco” da 8 miliardi
Con 23 milioni di turisti in meno, che quest’anno non andranno in vacanza sulle navi, il settore crocieristico italiano corre il rischio di fare i conti con un “buco” da 8 miliardi di euro.
È questa la previsione di Unimpresa secondo cui per le imprese e gli artigiani italiani specializzati nei servizi di mantenimento a bordo nave sarà un’ecatombe: si tratta di imbianchini, idraulici, saldatori, elettricisti, camerieri, cuochi, macchinisti, ingegneri, facchini, personale di bordo.
Dal punto di vista geografico è Napoli, il maggior porto italiano per attracco di navi da crociera, a intravedere il peggior “buco” nel fatturato complessivo, tra valore diretto ed indotto, ma anche altre città come Palermo, Catania, Genova e Venezia subiranno un danno economico enorme. A farne le spese saranno anche i venditori di souvenir, gli organizzatori di gite ed escursioni, i ristoranti e i bar.
Secondo Unimpresa, oltre agli 8 miliardi di euro legati ai lavori “a bordo” e ai mancati incassi “a terra”, vanno aggiunti 2,3 miliardi di gettito fiscale, tra tassazione diretta e imposizione indiretta, che potrebbero sfumare e non entrare nelle casse dello Stato.
«Quando il settore ripartirà, si dovrà trovare la soluzione per far convivere i crocieristi a bordo e questa non è a portata di mano. Una nave trasporta una media di 3.800 persone tra equipaggio (40%) e crocieristi (60%). Le grandi compagnie di navigazione come Costa o Msc sono in grado di far fronte all’emergenze mentre per le compagnie più piccole potrebbe essere vicino il baratro» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.
«Il paradosso è che in questo momento le navi sono ferme dei porti e potrebbero quanto meno essere manutenute, ma non si può viaggiare. In pratica, se una impresa italiana di manteinance ha l’appalto per una nave ormeggiata in Spagna, in questo momento, col trasporto aereo sostanzialmente fermo, gli operai non possono viaggiare e raggiungere il luogo di lavoro» aggiunge Spadafora secondo il quale «prima della pandemia, questo era un settore in crescita e generava nuove assunzioni ogni anno. La tipologia di crisi non fa sperare in una rapida riapertura, figuriamoci una ripresa. Il rischio è che oltre a lasciare a casa migliaia di operai specializzati, il settore possa passare di mano al migliore offerente. Per l’Italia sarebbe un danno gravissimo, perdita di know-how e aumento di disoccupati».