Fase 2: Unimpresa, cassa integrazione inferiore al 50% della busta paga
Brutte sorprese per i lavoratori in cassa integrazione: l’indennità versata a marzo, infatti, è risultata generalmente assai più bassa rispetto alle aspettative e alle previsioni. Il sussidio, pari a 938,89 euro lordi, si è tradotto in un assegno netto di circa 750 euro, vale a dire, in molti casi, meno del 50% delle retribuzioni riconosciute ai lavoratori dipendenti dalle loro aziende. L’indennità pagata (solo a una parte degli aventi diritto) dall’Inps per il mese di marzo è, su base oraria, pari a 5,34 euro lordi, cifra che, al netto delle trattenute fiscali, diventa circa 4 euro l’ora. Il calcolo è contenuto in un documento realizzato dal consigliere nazionale di Unimpresa, Giovanni Assi, secondo il quale «con la Naspi i lavoratori licenziati percepirebbero somme maggiori rispetto ai lavoratori cassaintegrati, ma i decreti del governo legano le mani alle imprese. Il divario tra l’indennità assicurata ai dipendenti, ai quali viene interrotto il rapporto di lavoro, rispetto al sussidio garantito a chi usufruisce della Cig è, infatti, piuttosto ampio». Secondo Unimpresa, i tetti per la cassa integrazione guadagni versati dall’Inps, per marzo e aprile, hanno un importo massimo mensile di 939,89 euro lordi, assai più basso della Naspi grazie alla quale un lavoratore percepisce una somma parti al 75% effettivo della retribuzione fino al tetto di 1.227,75 euro, soglia oltre la quale si aggiunge una cifra aggiuntiva pari al 25% della parte eccedente il tetto.
«La cassa integrazione – osserva il consigliere di Unimpresa – oltre a portare con sé ritardi ingiustificati (milioni di lavoratori sono in attesa ancora della Cig deroga di marzo), gravemente dannosi per le aziende e, soprattutto, per i loro lavoratori, ha dunque creato sorprese amare. Tutto ciò con conseguenze devastanti sull’economia familiare: non solo non hanno percepito il salario per due mesi, ma, quando è arrivato il sussidio, hanno scoperto che è non percepire uno stipendio per quasi due mesi e poi vedersene arrivare uno “tagliato” del 50% metterebbe in ginocchio qualunque famiglia italiana. La Naspi darebbe un po’ di respiro ai dipendenti, grazie, appunto, a importi maggiori. Tuttavia, il decreto legge “rilancio” ha prorogato a cinque mesi il divieto di licenziamento introdotto dal decreto “Cura Italia”, lasciando inspiegabilmente alle imprese la sola possibilità prorogare gli ammortizzatori sociali per appena cinque settimane, spostando più in là un problema che creerà solo enormi scompensi».
Secondo Assi il divieto di licenziamento è di fatto scaduto il 17 maggio ed è stato prorogato dal decreto legge “rilancio” anche se con un pastrocchio e conseguente vuoto normativo di un paio di giorni, poiché il secondo provvedimento d’urgenza è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale soltanto oggi». Per il consigliere di Unimpresa «regna l’incertezza, ma in ogni caso per la quasi totalità delle imprese le nove settimane di ammortizzatori sociali introdotte per l’emergenza Covid-19 sono terminate ormai da un pezzo, considerando che molte aziende hanno fatto decorrere la loro cassa integrazione a partire dal 23 febbraio 2020. Non solo. Molte di queste aziende non hanno ancora riaperto o hanno riaperto ad organico ridotto, i consumi sono fiaccati dai problemi economici dei cittadini e dai paletti sulle riaperture: ne consegue che ad oggi milioni di lavoratori si ritrovano a casa senza un sostegno al reddito. Tutto questo senza dimenticare i ritardi ancora registrati sul fronte Inps per l’erogazione degli ammortizzatori sociali (soprattutto per i lavoratori in Cassa integrazione in deroga) di marzo 2020». I divieti di licenziamento, però, «non consentono alle imprese di risolvere i contratti di lavoro, con benefici non indifferenti, sul piano economico, per i loro dipendenti. Fatto sta che sia i datori di lavoro sia i dipendenti hanno le mani legate, con i primi costretti a subire costi maggiori e i secondi a percepire sussidi meno generosi». Secondo il consigliere nazionale di Unimpresa «questi paletti creeranno da qui a pochissimi giorni solo delle fortissime tensioni all’interno delle aziende, con da un lato gli imprenditori che vedranno terminare il periodo massimo di cassa integrazione entro fine maggio, non saranno ovviamente nelle condizioni di riprendere “a pieno organico” la loro attività (anche per via delle norme sul distanziamento fisico nei luoghi di lavoro), ma al tempo stesso non potranno neanche licenziarli (almeno fino al 17 agosto 2020) consentendo così ai lavoratori stessi di accedere alla più vantaggiosa Naspi che invece assicurerebbe un’indennità mensile immediata e più cospicua».