Effetto Dunning Kruger
Un giorno un tizio si presenta a volto scoperto per rapinare una banca. Le telecamere lo riprendono mentre punta una pistola sul cassiere e si fa consegnare alcune migliaia di dollari. il rapinatore, tal McArthur Wheeler, incensurato, torna a casa con il bottino e nel giro di mezz’ora la polizia irrompe a casa sua e lo arresta. L’uomo è sconcertato: come hanno potuto riconoscerlo, che si era cosparso il viso di limone? e aveva anche prestato grande attenzione a non passare vicino a fonti di calore? I poliziotti pensano che sia sotto effetto di droghe o ubriaco, ma in realtà non è così. È che alcuni giorni prima un amico gli aveva dimostrato che se scrivi parole su un foglio di carta con del succo di limone queste non si vedono e diventano leggibili soltanto se passi il foglio vicino una fonte di calore. Beh, aveva fatto lo stesso, no? Come mai non aveva funzionato?
Questo episodio di cronaca portò due ricercatori della Cornell University, il professor David Dunning e il suo collaboratore Just Kruger ad approfondire come funziona il cervello rispetto alle nostre false convinzioni di essere veri esperti in campi in cui non lo siamo affatto. Il chè può indurre a ritenerci capaci in ambiti dove invece abbiamo solo opinioni, spesso errate o parziali, perché tratte da fonti inattendibili, come amici inesperti o fake news lette sui social.
Se siamo convinti di saperne molto anche quando non è così prendiamo decisioni sbagliate.
Anzi, più siamo esperti nell’area della nostra effettiva competenza, più riteniamo, per la proprietà transitiva, di esserlo anche in terreni confinanti.
Effetto Dunnig Kruger significa:
- tendere a sovrastimare il proprio livello di abilità;
- non rendersi conto dell’effettiva capacità degli altri;
- non essere consapevoli della propria inadeguatezza;
- spesso, anche quando si riceve un addestramento per l’attività in questione si accetta di cambiare la convinzione precedente.
Tocchiamo con mano nelle PMI Italiane l’effetto Dunning Kruger in varie situazioni, poco rilevanti in alcuni casi, ma in altre molto più strategiche.
Il nostro Paese è il quarto costruttore al mondo di macchine utensili, dopo Cina, Germania e Giappone e davanti agli Stati Uniti.
Per operare al meglio e mantenere tale primato dovremmo assumere la progettualità evoluta dell’Industria 4.0. Cioè, dotarci di sistemi informativi in grado di scambiare dati verticalmente, dalle macchine all’ERP o cloud, con integrazione delle informazioni lungo tutto il processo produttivo, tutte le funzioni aziendali, comprese gli scambi di dati con clienti e fornitori.
La maggior parte delle grandi aziende (il 70%) ha un piano di sviluppo definito, messo a punto con professionisti esperti e ha introdotto tecnologie innovative e di industria 4.0, assumendo giovani tecnici e sfruttando anche i benefici fiscali previsti in tema di innovazione. Industria 4.0 non significa solo introdurre nuovi macchinari in azienda, ma anche e soprattutto cambiare modello di organizzazione e di governance del cambiamento e di strategia dello sviluppo.
Le piccole e medie realtà arrancano nell’adottare tecnologie digitali e nell’accesso stesso agli incentivi. Certamente ci sono freni esterni, come l’eccessiva fiscalità, e situazioni di incertezza tipiche delle PMI, come i molti insuccessi dei passaggi generazionali o il difficile accesso al credito.
Emerge tuttavia da molte ricerche e dai dati Istat che la difficoltà di due imprese su tre nell’adottare una nuova architettura produttiva, più adeguata all’economia globalizzata è culturale, cioè dipende dall’atteggiamento dell’imprenditore, che resta il decisore ultimo.
C’è un freno enorme: è l’effetto Dunning Kruger nella mente dei capi azienda.
Convinzioni radicate
L’orgoglio di avere fatto sopravvivere l’impresa fino ad oggi, nonostante tutto, determina comportamenti difficili da rimuovere:
- un’organizzazione chiusa e gerarchica, grazie ad una vita di sacrifici del proprio tempo e denaro, a una gestione da padre-padrone,
- l’ossessione per il taglio dei costi più che un approccio di investimento,
- la difficoltà a delegare qualunque decisione,
Insomma, sappiamo quello che serve sapere. Possiamo continuare come abbiamo sempre fatto.
Consideriamo 3 possibili soluzioni:
- Sui temi dell’innovazione, utilizzare di professionisti affidabili, che hanno già affrontato e risolto questioni simili, con un approccio di formazione effettiva del personale dell’azienda cliente, rendendolo progressivamente capace di risolvere da sé le criticità operative.
- Farci opinioni basate su conoscenze attendibili, leggendo fonti autorevoli e che sostengono tesi diverse e contrastanti.
- Scambiare esperienze e veri confronti in Community, dove si parla con autenticità e non succede nulla se siamo imperfetti.
Ciascuno di noi può avere a volte la vista appannata dall’Effetto Dunning Kruger.
L’importante è di esserne consapevoli ed evitare il rischio.
Passare dalla “cultura delle convinzioni” alla “cultura delle Conoscenze”.
E riscoprire una caratteristica che va poco di moda oggi. L’umiltà.
La frase su cui riflettere:
“L’unica cosa che so è di non sapere”, Socrate, filosofo, 400 a.C.